Un manuale di sopravvivenza in rete, forse è questa la definizione che meglio si adatta a Morti di fama. Iper connessi e sradicati tra le maglie del web, pamphlet scritto a quattro mani da Loredana Lipperini, scrittrice, giornalista e conduttrice radio del programma Fahreneheit, tra le prime ad essere sbarcata in rete con il blog Lipperatura, e da Giovanni Arduino, scrittore e traduttore.
I due autori svelano i meccanismi che stanno dietro la presunta democrazia e l’apparente gratuità della rete, ci raccontano storie di personaggi che hanno avuto istanti di notorietà sul web: storie di microfamosi che giocano ad un gioco le cui regole sono dettate da altri.
Non è un caso che il libro si apra con un riferimento preciso a Naomi Klein e al suo No logo, uscito nel 2000, che divenne uno dei testi sacri del popolo di Seattle, sembrano passati secoli e infatti siamo oramai arrivati al ‘Me logo‘, ovvero è ognuno di noi ad essere diventato il prodotto in vendita.
Ma per comprendere il nostro narcisismo on line e per l’odio che scorre a fiumi sui social network, Arduino e Lipperini ci riportano indietro a rileggere la storia degli ultimi 30 anni: dalle prime offese in tv fino ai reality show pieni di personaggi senza alcuna capacità “…le persone non titolate sono il vero brand dei nostri anni. Quel che viene dalla gente è affidabile, sincero, profondo, non contaminato dalla professionalità.”
Ed è proprio questo che funziona della microfama, ovvero che se ce l’ha fatta qualcuno come te, puoi farcela anche tu; e per raggiungere i 15 minuti di celebrità devi essere disposto a tutto, a passare sopra agli altri come uno schiacciasassi, buttando al vento qualsiasi principio etico.
Ma a chi conviene tutto questo? Perché ognuno di noi, dalla web-celebrity fino all’ultimo utente di Facebook, mette in rete dei contenuti siano essi dati personali, i propri acquisti e i prodotti della propria creatività. Ed è questo il prezzo che noi paghiamo per i servizi gratuiti del web, eppure già nel 2009 Chris Anderson, fondatore di Wired e guru del web 2.0, nel suo libro Free spiegava a tutti come arricchirsi con i servizi on line gratuiti. Ma la verità è che chi si arricchisce davvero sono i giganti del web (Google, Facebook, etc) con il loro capitalismo 2.0 che sposa la miglior tradizione dello sfruttamento dei lavoratori con quello dell’appropriazione dei contenuti realizzati dagli utenti.
Eppure, fa notare il collettivo Wu Ming intervistato nel libro, le aziende “identificate con la rete” vengono percepite come “meno aziendali” e mantengono un certo appeal sui consumatori; nonostante le denunce, chi ricorda i suicidi tra gli operai della Foxconn, multinazionale cinese, che assembla i prodotti Apple? Eppure tutti ricordiamo le parole del compianto Steve Jobs “Stay foolish, Stay hungry”, mentre i lavoratori cinesi hungry lo erano e lo sono tuttora e certo non in senso lato.
Anche Amazon è stata oggetto di inchieste impietose con reporter che si sono finti lavoratori ed hanno raccontato le condizioni di lavoro disumano. Fino al caso eclatante, citato nel volume, dello stabilimento di Bad -Hersfeld in Germania dove i lavoratori immigrati sono sorvegliati da vigilantes in odor di neonazismo, e nonostante tutto questo il suo bilancio non conosce crisi.
Morti di fama non ci offre soluzioni, ci regala nuove lenti con cui guardare alla rete: al di là delle stantie posizioni dei tecnoentusiasti e dei tecnofobi, siamo tutti freaks dentro quel circo che è il web, ci dicono gli autori, cominciamo ad esserne consapevoli senza scandalizzarci e senza condannare nessuno.
Ma ricordiamo sempre che neppure in rete ‘uno vale uno’, perché i padroni del circo valgono più di tutti noi che siamo ormai tanto individualisti e individualizzati da sbranarci virtualmente gli uni con gli altri sui social per un briciolo di visibilità in più.
Francesca Conti
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