“Robot fra noi”, di Ilah Reza Nourbakhsh

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Quartier generale della Furniture Nation, ufficio del presidente. Fayteville, Arkansas, agosto 2030.

«Un’eccedenza di dieci milioni di orrende sedie di plastica con ombrello personale incorporato. Stai scherzando? Non sono tutte blu come questa, vero?»

Sì, tutte blu. Fanno parte della linea di accessori “Acquamarina per piscine”. Il buco nella sedia ha una flangia speciale che tiene l’ombrello. Non è possibile vendere la sedia senza l’ombrello o il contrario. Sono dieci milioni di pezzi».

«Quanto ci stiamo rimettendo di magazzino?»

«Trentamila al mese. Gli ombrelli sono di tessuto scadente, se non riusciamo a venderli quest’anno perdiamo il capitale».

«Bene, allora vendeteli. Perché avete portato la questione qui davanti al consiglio?»

«Perché l’adbot, il robot pubblicitario, ha esaminato attentamente l’ecologia dei consumatori e sostiene che queste cinque città possano assorbire tutti i dieci milioni di pezzi. Possiamo arrivare ad un tasso di conversione del 10 per cento per tutti gli acquirenti già nel network e del 3 per cento per chiunque altro venga persuaso grazie ai cellulari interattivi. Per una diffusione virale avremmo bisogno di quattro settimane, guardi però che cosa succede in questo quartiere (ed è un caso tipico). Ecco, questa famiglia ne compra uno e quando ci si siede sopra si guarda intorno e vede spuntare altre cinque sedie identiche nei cinque giardini vicini nel giro di una settimana. Le recinzioni sono troppo basse per nascondere i dannati ombrelli. E il problema si ripete per ognuna delle regioni bersaglio. Abbiamo pensato che questo fatto potesse innervosire la gente e forse provocare una reazione negativa».

«Allora questa è una mappa della distribuzione degli ombrelli? Perché è così disomogenea?»

«È una storia interessante. L’abbiamo esaminata a fondo. Ricorda il successo della crema solare ad alta protezione a portland un anno fa?»

«Sì?»

«Quella volta l’adbot ha sperimentato la vendita basata sul passaparola nei social network. Avevamo un’eccedenza di crema solare e il robot ha individuato una via molto valida: ha diffuso il timore del cancro nei network scolastici. Ha personalizzato il marketing sui singoli insegnanti sottolineando il rischio che si corre di sviluppare il cancro della pelle a causa dell’esposizione solare e da lì è partito il passaparola ai genitori degli studenti. Nei quartieri scelti era particolarmente diffuso il dubbio sulla qualità del sistema sanitario (l’assistenza sanitaria governativa e l’istruzione scolastica locale): una ricetta perfetta. I tassi di conversione sono stati molto alti, nonostante fossimo a Portland, a dicembre, con il cielo nuvoloso. È stato fantastico. L’adbot ora sta applicando la medesima strategia, basata sul timore del cancro alla pelle, agli ombrelli usando lo stesso target di insegnanti».

«State cercando di aggiungere altri plessi scolastici periferici in altre città per vendere ancora più ombrelli?»

«In sostanza abbiamo pensato di puntare su un ombrello a quartiere aggiungendo sei grandi zone, ma a quel punto i margini scendono da 65 a 45 per cento. Venti milioni di verdoni».

«E se l’adbot contatta soltanto persone i cui vicini non hanno già comprato?»

«L’idea è buona. Possiamo distribuirli in modo capillare ma allora avremmo bisogno di dieci settimane perché il computer deve tener conto delle decisioni dei singoli utilizzatori prima di raggiungere interattivamente gli insegnanti».

«Okay. Avete fatto il controllo con l’auto Intendo dire che se perdiamo centomila verdoni e li vendiamo più lentamente, possiamo piazzare un ombrello per isolato. Però se poi con l’auto si passa nei quartieri, si vede lo stesso ombrello in una casa per ogni isolato, oppure è nascosto dietro la casa? La gente noterà la distribuzione regolare?»

«Abbiamo provato. Nell’80 per cento dei casi gli ombrelli sono nascosti dalla facciata, quindi la distribuzione non è visibile».

«Bene. Datevi due mesi. Fate vendere all’adbot un ombrello per ogni isolato nelle prime cinque città. Avete licenziato l’agente degli acquisti che ci ha incastrato con questa roba invendibile?»

«Se n’è andato. L’ha fatto apposta e poi si è licenziato una settimana dopo. Dopo l’approvazione, prima della consegna. Non accadrà più: l’abbiamo rimpiazzato con un robot».

Ilah Reza Nourbakhsh, Robot fra noi, Le creature intelligenti che stiamo per costruire, Bollati Boringhieri, Torino, 2014. Il brano è a pag. 23-25.

Questa non è una ipotesi fantascientifica è lo scenario che l’autore suppone possibile nell’anno 2030, ma che in realtà si basa su tecnologie già a disposizione. Forse soltanto gli algoritmi di calcolo per attuare il programma devono ancora essere affinati. Per altro alcune tecnologie già a nostra disposizione sono più efficienti ed economicamente meno dispendiose di quella ipotizzata: si tratta per esempio della verifica in auto delle posizioni che gli ombrelli avranno sul territorio. Operazione questa superflua e perfettamente sostituibile con l’opzione Stret View di Google Maps. L’autore di questo breve racconto, in “Robot tra noi”, non è un luddista, non è un anti modernista, nemico della scienza e di ogni innovazione. Si tratta di Ilah Reza Nourbakhsh uno dei leader mondiali dell’innovazione robotica. Docente presso il Robotics Institut della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Pennsylvania. È stato a capo del Robotics Group presso l’Ames Research Center della NASA. Attualmente è Direttore del laboratorio Community robotics, Education and Technology Empowerment (CREATE) e a capo del Robotics Masters Program presso il Robotics Institute. Autore di decine di articoli scientifici è anche coautore del manuale di riferimento del settore: Introduction to Autonomous Mobile Robots (dalla terza di copertina).

Se come possiamo intuire questo è uno scenario dove si assiste alla manipolazione del mercato con mezzi e tecniche ormai a disposizione delle grandi multinazionali (ogni nostro gusto è tracciato ed inserito in un enorme database a disposizione di chi se lo può permettere). Allora, nello stesso modo nel quale si può così manipolare il mercato, si possono anche indirizzare le opinioni politiche. Le domande da porsi non sono soltanto quelle per esempio se è ancora possibile parlare di lotta di classe e se la classe è qualcosa di ancora individuabile nel panorama contemporaneo. La vera domanda è, che si chiami classe, proletariato, moltitudine oppure 99%, perché queste entità non trovino la strada per una rivolta. Se esiste un soggetto che ha subito in tutto l’arco della storia (ma anche nella preistoria) un dominio al quale a tutt’oggi non è riuscito a sottrarsi, è quello del genere femminile. Su di esso si adoperano meccanismi e dispositivi che oltre a soggiogarlo lo rendono acquiescente. In questo caso si potrebbe parlare di somatizzazione dei rapporti sociali di dominio.

«Quando i dominati applicano a ciò che li domina schemi che sono il prodotto del dominio o, in altri termini, quando i loro pensieri e le loro percezioni sono strutturati conformemente alle strutture stesse del rapporto di dominio che subiscono, i loro atti di conoscenza sono, inevitabilmente, atti di riconoscenza, di sottomissione»

Pierre Bourdieu, Il dominio maschile, Feltrinelli, Milano, 1998, edizione nei Saggi 2009, pag. 22.

Il problema tornerebbe ad essere quello di una presa di coscienza che riesca anche a smascherare gli apparati di controllo che regolano la soggezione. Modo d’essere del soggetto, ma anche stato dell’ente che subisce il proprio mettersi in essere. Il compito diviene svelare, decostruire e denunciare i dispositivi e gli apparati, le macchine del dominio che le tecnologie asservite rendono sempre più efficienti. La guerra, ora più che mai è un conflitto di saperi.

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Gilberto Pierazzuoli

Attivista negli anni 70 . Trasforma l'hobby dell'enogastronomia in una professione aprendo forse il primo wine-bar d'Italia che poi si evolve in ristorante. Smette nel 2012, attualmente insegnante precario di lettere e storia in un istituto tecnico. Attivista di perUnaltracittà.

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