Una riflessione sul genere e sulla discriminazione delle donne da parte di un maschio nonché prete (che comunque abbandonò il sacerdozio per i conflitti con l’establishment cattolico), può suscitare non pochi dubbi sulla sua opportunità. In realtà le ipotesi e i quesiti messi in campo non sono da trascurare, anzi. In questo testo l’autore racconta il passaggio tra una situazione nella quale gli uomini e le donne appartenenti al genere maschile e a quello femminile si confrontano all’interno di una complementarità, ed un’altra (quella attuale) nella quale questa complementarità si è persa per restituirci un essere univoco (unisex) semplicemente dotato di attributi sessuali distinti.
Per Illich il genere fa riferimento ad un qualcosa di diverso e di più ampio dal sesso. Una polarità inserita nei contesti sociali che lavora, agisce e si manifesta con caratteri anche complementari per i quali il dominio di un genere sull’altro non è mai definitivo, perché si definisce a partire dalla correlazione con l’altro polo. La differenza sessuale che ha soppiantato quella di genere è intrinseca al capitalismo, e in questo contesto la discriminazione e l’assoggettamento sono per Illich più acuti e più efficienti che nelle culture nelle quali si distinguevano i generi. Questo aspetto della teorizzazione dell’autore ha fatto sì che venisse frainteso il suo pensiero attribuendogli l’idea che in un ipotetico passato la condizione femminile fosse riconosciuta paritaria a quella del maschio. Per Illich il concetto di genere va di pari passo con il concetto di vernacolare che è un termine tecnico del diritto romano che copre il campo semantico delle cose di uso e consumo che non sono delle merci, in un certo senso sarebbero il suo opposto. Vernacolare si riferisce infatti alle cose fatte in casa e non destinate al mercato. «Vernaculum, quid quid domi nascitur, domestici fructus; res quae alicui nata est et quam non emit» (Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinatis, VIII, p. 283).
In origine dunque il significato del termine è molto più ampio della sua sinonimia con “dialetto”. Si parlerà ad esempio di lingua vernacolare per descrivere l’uso della stessa, nella sua complementarità, da parte ora di un genere, ora dall’altro. Si fa dunque riferimento ad un’intera visione della realtà sociale che così viene interpretata e percepita dagli uomini e dalle donne di quella società. I caratteri precipui del genere sono il modo di esprimersi vernacolare di un genere in rapporto e in differenza tra il proprio genere e l’altro. Descrivono come l’apparato, il dispositivo forse, i modi della relazione e le loro interconnessioni agiscono all’interno di un contesto sociale. Questo fa emergere i modi, i sensi e i valori che ogni concetto ha nel momento che viene utilizzato, nel momento e in relazione alla sua espressione. Ci dà la chiave di una sua interpretazione perché richiede di essere descritto e capito a partire da come viene percepito dagli attanti sociali che appartengono anche a generi diversi. Si potrebbe parlare di una storia dei mutamenti dei modi della percezione del senso delle cose. E, quest’ultimo aspetto, è quello che più rende atto del lavoro di Illich tanto che “Genere” (il libro in questione) non parla soltanto dei conflitti tra i sessi, ma dell’insieme delle strutture sociali e degli apparati che agiscono nella modernità (e la modernità è per Illich il liberismo occidentale nord atlantico).
Un altro modo di fare archeologia del sapere (oltre a quello di Focault), ma anche, in un certo senso, lo stesso modo di interpretare la storia che ci restituisce gli strumenti per smascherare e interpretare gli apparati di controllo e consenso che hanno agito e agiscono nei vari momenti della storia stessa. Questa nuova edizione per Neri Pozza nella collana diretta da Giorgio Agamben che l’arricchisce con una bella introduzione, vede anche la presenza della premessa alla seconda edizione tedesca del 1995 (l’anno originario della pubblicazione di Gender è il 1982) nella quale l’autore ci dà una chiave di lettura che dovrebbe rispondere ad alcuni dubbi che l’opera aveva suscitato dopo la prima uscita. A trenta anni di distanza, non soltanto non si è persa la sua attualità, ma, come dice Agamben citando Benjamin, soltanto oggi l’opera di Illich conosce “l’ora della leggibilità”. E questa considerazione non è da riferire soltanto a “Genere”, ma a tutta l’opera di Illich che spazia dai temi della scolarizzazione a quelli delle professioni – la medica in particolare – ai trasporti ed altri caratteri della cultura dell’occidente liberista.
Ivan Illich, Genere. Per una critica storica dell’uguaglianza, Neri Pozza, Vicenza 2013. Pagine 266, € 18.00.
Ivan Illich, Vienna 4 settembre 1926 – Brema 2 dicembre 2002. Da padre croato e madre ebrea sefardita. Studiò a Firenze al liceo scientifico Leonardo Da Vinci, poi, sempre a Firenze, citologia e cristallografia. Successivamente si laureò in Filosofia e in Teologia. Un po’ per predisposizione, un po’ per il suo volontario nomadismo, conosceva e parlava una decina di lingue. Prese i voti e prestò servizio come assistente parrocchiale a New York in un ambito frequentato principalmente da migranti portoricani. Nel 1956, fu nominato vice-rettore dell’Università Cattolica di Porto Rico, e nel 1961 fondò il Centro Intercultural de Documentación (CIDOC) a Cuernavaca in Messico, un centro di ricerca che realizzava corsi per i missionari del Nord America. Nel 1976 Illich, in accordo con gli altri membri, chiuse il centro di studi. In conseguenza dei conflitti aperti con il Vaticano, alla fine degli anni sessanta Illich abbandonò il sacerdozio dopo aver raggiunto il rango di monsignore. Insegnò sociologia anche nell’Università di Trento (1977).
Gilberto Pierazzuoli
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