Il 5 maggio è stata una giornata memorabile di lotta, a Firenze e in tutt’Italia: la grande maggioranza delle scuole sono rimaste chiuse per lo sciopero generale e centinaia di migliaia di docenti, ata, studenti, genitori e cittadini sono scesi in piazza per chiedere l’immediato ritiro dell’inemendabile Ddl sulla cosiddetta Buona Scuola di Renzi.
L’intero popolo della scuola pubblica si è mobilitato per respingere un modello culturale che, presentato come riforma epocale dalla falsificazione della propaganda massmediatica, è in realtà la definitiva distruzione del sistema dell’istruzione statale, in perfetta sintonia politica con le altre “riforme” antidemocratiche e antisociali renziane del Jobs Act e dell’Italicum. Infatti il Ddl “risolve” il problema del precariato con licenziamenti di massa dei precari esclusi dalla stabilizzazione, usando i neoassunti e i sopranumerari come tappabuchi tuttofare su reti di scuole, precarizzando tutti i docenti con l’incarico triennale rinnovabile a discrezione del Dirigente scolastico.
Invece di ricorrere a un decreto d’urgenza per garantire le assunzioni per il regolare inizio dell’anno scolastico 2015/2016, Renzi ha vincolato in modo ricattatorio l’incerta assunzione di parte dei precari all’accettazione complessiva di un progetto che liquida la democrazia scolastica collegiale per instaurare un autoritarismo dirigenziale di tipo aziendalistico. È per questo che al Dirigente scolastico, responsabile dei risultati gestionali secondo piani triennali, sono riconosciuti enormi poteri discrezionali nella propria scuola. Poteri che riguardano il fabbisogno dell’organico triennale del personale e le convenzioni con le aziende, la chiamata diretta dei docenti da albi territoriali, la valutazione e la premiazione del merito, fino alla messa in mobilità degli indesiderati attraverso il non rinnovo dell’incarico triennale.
Il progetto originario della Buona Scuola renziana straparla dell’importanza fondamentale dell’istruzione come investimento del paese per la propria crescita, ma alla fine dichiara l’impossibilità dello Stato ad assolvere un suo preciso compito e dovere inderogabile: “Le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola”. Così si legittima definitivamente l’inapplicazione della Costituzione, peraltro aggravata dai finanziamenti pubblici a favore delle scuole private. In quest’ottica, il futuro della Scuola, nel significato unitario di sistema statale d’Istruzione, non esiste più. Esiste solo il futuro separato di ciascuna entità scolastica pubblica o privata, diretta responsabile della propria sorte in base a logiche di mercato e capacità competitive dei soggetti in gioco.
A sorvegliare su tutto questo, ecco la nuova figura del preside-padrone. Infatti, nell’era della mercificazione globale e del totalitarismo neoliberista, prioritaria è la Governance, “l’abilità di governare” secondo una “tecnica” incompatibile con l’universalità dei diritti e con qualsiasi intervento statale di tutela sociale. Una capacità gestionale di tipo economico-aziendalistico, applicata a istituzioni e servizi pubblici, che presuppone il primato del potere esecutivo in ogni ambito. L’obbedienza non torna a essere “una virtù”, ma diventa “competenza”, anzi “la Competenza” per eccellenza, l’automatismo esecutivo-riproduttivo che tutti/tutte devono introiettare; specialmente nell’istruzione, che con gli opportuni innesti della tecnologia digitale diventa il principale strumento di formazione di massa del nuovo suddito-produttore-consumatore globale, allevato nelle batterie delle classi-pollaio e già sfruttabile come forza-lavoro (gratuita o sottopagata) per un consistente pacchetto di ore nell’apprendistato in azienda e nelle esperienze di alternanza scuola/lavoro.
È questo il modello scolastico di Renzi, fondato su competizione e decisionismo gerarchico, con il DS che è “il timoniere a cui affidare il cambiamento”; sulla premialità di un merito misurabile e utilitaristico che riproduce le disuguaglianze del sistema produttivo; sull’insegnamento ridotto a tecnica standardizzata, addestramento standardizzante e arbitrari indicatori valutativi, invece che pratica educativa critica, fatta di relazioni vive valorizzanti le differenze. E poiché «il finanziamento per l’offerta formativa sarà in parte legato all’esito del piano di miglioramento scaturito dal processo di valutazione», le scuole saranno condizionate ad adeguarsi ai parametri decisi dall’Invalsi, sacrificando la libertà d’insegnamento e la specificità dei singoli istituti. Gli OOCC vengono degradati da organi di governo (le cui delibere sono vincolanti) a semplici organismi consultivi, ai quali affiancare non meglio identificati “attori economici, sociali e culturali del territorio”, che segnano l’ingresso dei privati nel Consiglio d’Istituto.
È per questo che la lotta non si deve fermare dopo il grande successo del 5 maggio. Il boicottaggio delle prove Invalsi è fondamentale perché i test seriali sono gli strumenti principali dell’omologazione conformistica indispensabile alla costruzione del nuovo regime totalitario che si sta cercando di imporre.
Partecipiamo dunque alle manifestazioni che si terranno anche il 12 maggio, in occasione dello sciopero indetto dai Cobas contro la somministrazione dei quiz Invalsi alle superiori. A Firenze appuntamento in piazza San Marco alle ore 9.00.
*Stefano Fusi, COBAS Scuola-Firenze
Stefano Fusi
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