Debito statale e crisi economica: le bugie che ci hanno detto

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Sono ormai passati così tanti anni da quando tutto è cominciato che sembra opportuno perdere qualche riga a ricordare alcuni, probabilmente banali, eventi. Questo perché l’avvertita situazione di continua emergenza che viviamo non faccia annegare tutto in un indefinito ed imprecisato presente, dove sviluppi storici e trasformazioni di lungo periodo vengono avvertiti come transitori e passeggeri – eccezionali, nel loro supposto carattere di straordinarietà.

Come molti ricorderanno, l’esplosione della bolla dei mutui sub-prime negli Stati Uniti sul finire del 2007 si riverberò, nel giro di pochi mesi, sull’altra sponda dell’Atlantico, facendo sprofondare i paesi europei in una profonda ed ancora oggi insuperata crisi economica.

crisi-euro-greciaMolti economisti e studiosi, persino a sinistra, interpretarono questa come il frutto maligno di una crescita sconsiderata della finanza, variamente apostrofata come parassitaria oppure fittizia. Altri, con una cassetta degli attrezzi meglio equipaggiata e più robusta, scorsero invece nell’esplosione quantitativa del capitale finanziario l’epifenomeno che mascherava la crescente incapacità del capitale di valorizzarsi all’interno del processo produttivo.

Per quanto diverse, queste due correnti di pensiero sono state accumunate dalla perdurante incapacità di sfidare una terza vulgata, destinata ad affermarsi, soprattutto a livello inconscio, come assolutamente egemone nel discorso pubblico. Quest’ultima ha ripetutamente affermato che la crisi economica globale, particolarmente severa nell’area euro, era il portato di un’esorbitante ed insostenibile debito statale.

Questo fardello, ci è stato costantemente ricordato, sarebbe stato determinato dall’aver vissuto da parte di molti al di sopra delle proprie opportunità nei precedenti decenni. Più specificatamente, un alto debito avrebbe rappresentato un pericoloso cappio al collo per molti stati facenti parte della moneta unica che, costretti a rifinanziarsi sui mercati internazionali, erano costretti ad esborsare crescenti tassi di interesse per ottenere credito. In una perfida spirale, questo avrebbe a sua volta alimentato un incontrollato aumento del debito con le supposte conseguenze sui nuovi prestiti che venivano richiesti.

La soluzione veniva quindi individuata nel perseguimento di una serie di politiche (dalle privatizzazioni delle compagnie statali al taglio della spesa sociale; dal blocco di salari e pensioni allo snellimento della macchina statale) che avrebbero dovuto, a loro volta, determinare una minore spesa corrente ed il positivo liberarsi di risorse ed energie che avrebbe alimentato un nuovo processo di crescita.

mito-debiti-pubbliciSintetizzando quindi, la vulgata dominante può essere ricondotta a due grandi assunti teorici. Accettati come incontestabilmente veri dalla quasi totalità della carta stampata e dai vari rotocalchi televisivi, vengono in questo breve articolo degradati a mere ipotesi di lavoro, al fine di testarne la veridicità empirica.

H1: La crisi economica è il portato dell’alto debito statale. Immaginando una relazione deterministica e monotonica tra le due variabili si conclude che all’aumentare del debito statale cresce la possibilità che uno stato sia colpito da difficoltà economiche.

H2: Il perseguimento delle cosiddette misure di austerity produce un effetto positivo sul debito statale, riducendolo quindi in rapporto al Pil, anche grazie al processo di crescita economica che viene attivato.

La prima ipotesi risulterebbe verificata se i paesi dell’unione monetaria maggiormente colpiti dalla crisi economica fossero quelli che alla vigilia della stessa presentavano un più alto debito statale. L’ipotesi è ovviamente testata per quegli undici paesi che hanno adottato la moneta unica fin dal suo concepimento, mentre sono esclusi i membri entrati nelle varie ondate di allargamento dei confini dell’unione monetaria che si sono successe a partire dal 2007. Inoltre, per le sue fin troppo evidenti particolarità e per il carattere di città-stato, il Lussemburgo è escluso.

Senza bisogno di produrre una dettagliata e noiosa analisi statistica, pensiamo che i dati non presentino la possibilità di differenti interpretazioni. Come sappiamo, quattro paesi sono stati severamente colpiti dalla crisi economica: Grecia, Portogallo, Spagna, ed Irlanda. Con l’esclusione del paese ellenico, tutti gli altri mostravano una situazione di indebitamento assolutamente in linea con i dogmi imposti da Francoforte. Assurdamente, l’Irlanda era il paese meno indebitato di tutti, la Spagna rimaneva ampiamente sotto la famosa soglia del 60% di rapporto tra debito e Pil imposta dal trattato di Maastricht, mentre il Portogallo che sforava leggermente questa “barriera” faceva comunque meglio di Francia e, addirittura, Germania.

In conclusione quindi, la prima ipotesi è completamente da rigettare. La crisi economica non è il portato di un alto debito statale.

Rapporto Debito/Pil nel 2007 e gravità dell’imminente crisi economica

Paese Debito/Pil 2007 Crisi economica
Italia 104.0 Media
Grecia 89.5 SERIA
Belgio 84.6 Limitata-Media
Germania 64.9 Limitata
Francia 63.9 Limitata
Portogallo 63.6 SERIA
Austria 59.1 Limitata
Olanda 45.5 Limitata
Spagna 36.2 SERIA
Finlandia 26.1 Limitata
Irlanda 24.9 SERIA

La seconda ipotesi sarebbe invece confermata se i paesi che hanno adottato con più solerzia i dettami neo-liberisti avessero riscontrato un sensibile miglioramento nel rapporto tra debito e pil. Considerata l’aleatorietà di questo parametro, abbiamo deciso di utilizzare l’intervento della famigerata Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea, e Fondo Monetario Internazionale) come elemento discernente.

Infatti, quei paesi che sono stati costretti a sottostare alle sue imposizioni, sono indiscutibilmente quelli che con più forza hanno adottato le cosiddette misure di austerity. Ovviamente, il campione preso in esame qui è il medesimo. Questo è diviso tra paesi che hanno subito l’intervento della Troika (Grecia, Portogallo, Spagna, ed Irlanda) e gli altri che invece sono riusciti a sfuggire alle sue grinfie.

I risultati non potrebbero essere più chiari. I quattro sfortunati paesi hanno visto esplodere il loro debito statale da una media del 53,6 percento ad oltre il 123 percento, mentre per tutti gli altri la variazione è stata decisamente più contenuta, mediamente dal 64 a poco meno del 90 percento. La conclusione è quindi che l’attuazione di misure di chiaro impianto neo-liberista fa esplodere, invece di ridurre, come generalmente creduto, il debito statale. In altri termini quindi, il paziente viene volontariamente curato con la malattia, piuttosto che con il farmaco.

Rapporto Debito/Pil nel 2007 e nel 2014 nei paesi dove è intervenuta/non intervenuta la Troika

Paese Debito/Pil 2007 Debito/Pil 2014
INTERVENTO TROIKA
Grecia 89.5 177.1
Portogallo 63.6 130.2
Spagna 36.2 97.7
Irlanda 24.9 109.7
Media 53.6 128.7
NON INTERVENTO TROIKA
Italia 104.0 132.1
Belgio 84.6 106.5
Germania 64.9 74.7
Francia 63.9 95.0
Austria 59.1 84.5
Olanda 45.5 68.8
Finlandia 26.1 59.3
Media 64.0 88.7

Il caso più significativo tra quelli dove vi è stato un intervento della Troika è certamente quello greco nel quale si è registrata la più pesante caduta della domanda, della produzione, dell’occupazione, e dei redditi mai registrata in epoca di pace.

Domenica, come noto, si terrà un importante referendum ad Atene. Questo non riguarda la decisione se abbandonare, oppure restare, nella moneta unica da parte del paese ellenico. Più nello specifico, una vittoria dei “no” non sarebbe neanche il rigetto completo e totale delle misure di austerity imposte. Il quesito, da questo punto di vista, ha una portata ancora più limitata e fa esclusivo riferimento all’ultimo giro di trattative tra Atene ed i suoi aguzzini.

Al tempo stesso però, a nessuno sfugge che la partita giocata sia molto più grande di quella strettamente referendaria. In una settimana caldissima, da tutti i punti di vista, con molti nostrani impegnati a sostenere la battaglia di Syriza, oppure protesi a denunciarne un eccessivo e blando attendismo e formalismo, noi possiamo solo tifare l’esplodere di nuove e più profonde contraddizioni che si possano riverberare sull’intero continente. La detonazione delle quali sembra oggi legata alla vittoria del “no”. Per tale ragione tifiamo “no”.

*Gianni Del Panta, studioso di scienze politiche e attivista

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Gianni Del Panta

Gianni Dal Panta, studioso e attivista politico, è autore di "L'Egitto tra rivoluzione e controrivoluzione. Da piazza Tahrir al colpo di stato di una borghesia in armi" (Il Mulino, 2019).

4 commenti su “Debito statale e crisi economica: le bugie che ci hanno detto”

  1. Roberto Renzoni

    ….. e bravo Maurizio, nella esposizione e nelle conclusioni. Io, che sono un marxista, vedo nella attuale crisi economica – che non parte da ora ma dall’inizio degli anni ’70 – una classica crisi di sovrapproduzione del capitale che non riuscendo più ad estrarre un valore dal lavoro necessita di speculazioni finanziarie volte allo stesso scopo. E quando anche questo non sarà più possibile occorrerà distruggere tutto – come con la II guerra mondiale – che altro non fu che la conclusione della crisi esplosa nel 1929 e non una lotta del bene contro il male….. Siamo ancora lì? Siamo sempre lì, fino a che il sistema non sarà rimosso. Roberto.

    1. Gianni Del Panta

      Caro Roberto Renzoni,
      Maurizio non sono..ma ti rispondo certamente volentieri. In realtà non ho molto da aggiungere, visto che condivido al 100% quello che hai scritto. Posso solamente, con riferimento alla tua chiusa sulla guerra come “uscita naturale” utilizzata dal capitale per fronteggiare le sue crisi strutturali, ricordare le parole di Lewis Mumford: “la produzione di massa dipende, per ottenere successo, dal consumo di massa, e nulla assicura questo consumo quanto la distruzione organizzata (…) la guerra è (…) la salute della macchina”.
      Grazie per il commento e a presto,
      Gianni Del Panta

  2. carlo ballantni

    Poche righe per dare atto a Gianni del Panta di aver visto giusto quando ne “La città invisibile” del 29 gennaio 2015 scriveva: “ Se vince Tsipras: c’è spazio nell’Europa della troika per una socialdemocrazia?” per poi concludere che” Se la risposta dovesse essere il tentativo di disarcionare il governo monocolore di Syriza… attraverso una destabilizzazione interna della Grecia, il segnale per tutti gli altri sarebbe chiarissimo: neanche moderati social-democratici sono più degni di cittadinanza in Europa. “ Bingo! Infatti politico-simbolica più che economica è stata la partita tra la troika la Germania i media scodinzolanti di regime e la Grecia di Tsipras: bastonarne uno per educarne cento! Così hanno sempre fatto i tiranni e i cattivi pedagogisti. Ma stavolta hanno perso. E l’intolleranza arrogante al pensiero divergente (è la democrazia bellezza! ) che si leggeva nella faccia indispettita della Merkel, dei suoi cavalier serventi e del comitato di affari che li dirige di fronte alla vittoria del NO non ha solo radici ideologico-politico-economiche, ma ha anche implicazioni di natura psicologica: assuefazione incontrastata al dominio, il Padrone c’è perché c’è il Servo, a meno che il Servo, come ci insegna Hegel, rischiando la morte non metta a repentaglio la propria vita per riscattarne la dignità e la libertà. E’ ciò che hanno fatto Tsipras e il popolo greco; è ciò che avrebbero dovuto fare i rappresentanti della socialdemocrazia europea, taciti e zelanti zerbini della Merkel e del pensiero neoliberista. E’ ciò che dovremmo fare d’ora in poi anche noi cittadini europei per non sprecare la lezione del popolo greco: nelle piazze, nelle fabbriche (prima che scompaiano del tutto), in tutti i luoghi di lavoro occorre cominciare a ribellarsi a non fare più i compiti a casa a dire No all’ Europa delle banche e delle oligarchie finanziarie, per costruire l’Europa della solidarietà del lavoro dei diritti civili e, soprattutto, dei diritti sociali.

  3. Gianni Del Panta

    Caro Carlo Ballantini,
    Ti ringrazio molto per il commento e soprattutto per aver ricordato alcuni passaggi di un articolo che avevo scritto a fine gennaio alla vigilia delle elezioni parlamentari in Grecia. Noto con dispiacere, però, che il livello generale della dibattito non si è arricchito molto, con il campo della “sinistra” ancora diviso in accaniti sostenitori di Tsipras da un lato e solerti critici dell’operato di Syriza dall’altro. Entrambe le vulgate negano così, peraltro da prospettive opposte, quello che mi sembra essere il portato maggiore di questa esperienza: ovvero, il palese smascheramento del carattere iper-liberista dell’Unione Europea. A chi ironicamente chiedesse: perché ci voleva Tsipras ed un referendum per capirlo? Risponderei sì e no. No, perché gli elementi per capire e comprendere erano già tutti sul tavolo da moltissimi anni. Sì, perché tutta la vicenda greca costituisce di gran lunga il test più probante per dare fiato e forza a tutti quelli che del test stesso non avevano alcun bisogno. Il governo Tsipras è tutto fuorché rivoluzionario, ma ha aperto delle contraddizioni. Quanto profonde e foriere di future trasformazioni è però presto per dirlo. La domanda resta quindi, tornando a quanto hai scritto, se il processo in atto in Grecia riuscirà a destare lo schiavo fino al punto di portarlo a mettere a repentaglio la propria vita per sconfiggere il padrone. Vedremo.
    Grazie per il commento e a presto,
    Gianni Del Panta

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