Dopo l’assoluzione del 2013, la questione Castello a Firenze sembrava sopita. Nell’attesa dell’appello ciascuno degli imputati era tornato a curare i propri interessi, decisamente fallimentari quelli di Ligresti, esaltanti quelli dell’architetto Casamonti, prontamente riabilitato dalla committenza privata e pubblica. Il professionista, tornato ad essere una delle figure di punta del panorama architettonico nazionale e non solo, ha recentemente ottenuto un importante riconoscimento dalle mani del sindaco Nardella, alla presenza del presidente Rossi, il premio “Cave Michelangelo” istituito per “omaggiare personaggi di rilievo internazionale che si sono distinti nei campi in cui eccelse il grande artista fiorentino”. In realtà qui, di fronte a una condanna per corruzione, certo non ancora definitiva, abbiamo ben poco da omaggiare.
Bisognerà seguire con attenzione i tempi della vicenda perché il tutto rischia di finire in una bolla di sapone, visto che i termini della prescrizione del reato di corruzione scadono tra cinque mesi, nella primavera del 2016. Auspichiamo che la magistratura svolga fino in fondo il proprio compito e non lasci spazio a incertezze procedimentali.
Qual è la lezione che questa vicenda sembra suggerirci? A Firenze, attorno all’area di Castello, da sempre, si sono addensati gli interessi politici ed economici più aggressivi di un ceto imprenditoriale parassitario e avido e di una classe politica subalterna, se non servile. Noi di perUnaltracittà lo abbiamo denunciato, direttamente dai banchi del consiglio comunale, in incontri pubblici, in documenti, fin dal 2005, come risulta da numerosi atti ufficiali e pubblicazioni.
Attorno all’ultima area verde del territorio comunale la politica locale, da anni monopolizzata dal PD, si è volentieri prostrata ai piedi del dominus di turno. Alla città nella città voluta dai Ligresti, oggi siamo giunti alla cittadella viola dei Della Valle, mentre sull’area incombe la nuova pista internazionale dell’aeroporto da 2400 metri, al servizio del Luxury towncenter in cui Firenze si deve trasformare.
Le varie amministrazioni “dem” hanno brillato per l’assenza di una proposta urbanistica al servizio degli interessi generali della città e dei suoi abitanti, i cui tentativi di intervenire nel processo decisionale sulle sorti della piana di Castello sono sempre rimasti inevasi.
Grande attenzione agli interessi dei privati, cinismo nei confronti della cittadinanza. Questa è la politica locale, questa è l’urbanistica contrattata. A volte è tanto contrattata che i confini tra il lecito e l’illecito sbiadiscono, le sfere di interessi si sovrappongono e si annebbia la trasparenza delle operazioni. La sentenza di secondo grado della Corte d’appello, almeno sul piano giuridico, ha rimesso per ora le cose al proprio posto.
Sulle implicazioni urbanistiche di una sentenza che considera, di fatto, illegittimi i permessi tuttora in vigore, ci sarà da porre molta attenzione. Lo farà di sicuro l’attuale proprietario dell’area, cioè Unipol, ma lo faranno anche quei cittadini che hanno sempre sostenuto che quell’area, per la sua collocazione ambientale, non dovesse essere cementificata.
*Antonio Fiorentino, architetto, attivo in perUnaltracittà