Mancano i soldi per finanziare il Fondo per il clima? Prendiamoli dai paradisi fiscali

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La conferenza internazionale sul clima della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Parigi che si è tenuta a Parigi dal 30 novembre al 11 dicembre (COP21), ha attirato tutta l’attenzione dei media soprattutto per la presenza di un numero considerevole di capi di stato e rappresentanti di governo di tutto il mondo (196 stati saranno infatti i firmatari dell’accordo). La conferenza si era presentata con obiettivi ambiziosi: nel sito ufficiale della COP21 (http://www.cop21paris.org) si dice che per la prima volta in oltre 20 anni di negoziati, si mira a raggiungere un “accordo vincolante e universale” sul clima, con l’obiettivo del mantenimento del riscaldamento globale sotto i 2°C di aumento. In realtà la linea che si è affermata è di non avere vincoli legali ma solo azioni volontarie dei governi.

682384f12e4cbff7a82ef9a65f7c5218Il riscaldamento globale d’altra parte sta seguendo le previsioni più pessimistiche. Da questo punto di vista il vertice di Parigi è stata un’ultima possibilità per innescare un cambiamento rilevante. Finora il clima e la vita di miliardi di persone hanno continuato a dipendere da politici e multinazionali che hanno protetto i propri interessi e niente fa pensare che l’accordo della COP21 contribuisca a gettare i semi di un cambiamento di sistema. Infatti, per citare un aspetto svelato da Alberto Zoratti nel suo resoconto dei lavori della conferenza (http://comune-info.net/2015/12/cambiare-tutto-per-non-cambiare-nulla/), la logica è quella del cambiare tutto per non cambiare nulla: nella bozza di accordo finale è evidenziato come le misure contro il cambiamento climatico non dovrebbero costituire un mezzo di limitazione del commercio internazionale… Perciò, le speranze di cambiamento sono più legate all’azione di comuni cittadini più che all’iniziativa dei loro governi.

Movimenti e organizzazioni della società civile si sono mobilitati da tutto il mondo per seguire DSC00158criticamente la COP21 e proporre delle alternative di sistema. Da parte italiana un ottimo quadro di riferimento è fornito dal sito comune-info.net (http://comune-info.net/2015/10/il-bivio-di-parigi-cop21/). A Parigi la coalizione Climat21 ha coordinato la presenza degli attivisti e organizzato un forum alternativo, che ha fatto base a Montreuil, comune dell’est parigino.

Tra le attività organizzate, una singolare iniziativa chiamata “Faucheurs De Chaises” (https://france.attac.org/se-mobiliser/toutes-et-tous-faucheurs-de-chaises/) ha voluto mettere in risalto l’aspetto finanziario dell’accordo sul clima. I negoziati, durati per venti anni, si sono bloccati soprattutto sul finanziamento del “Green Climate Fund” (Fondo verde per il clima) da parte dei paesi ricchi, deciso a Copenhagen nel 2009: trovare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 per aiutare i paesi in via di sviluppo a ridurre le loro emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici. Ma le politiche pubbliche del debito e di austerità hanno ridotto le casse dei nostri governi all’asciutto. Allo stato attuale questi si rivolgono al settore privato e alle banche per alimentare il Fondo verde, non con donazioni bensì con prestiti.

Ma il denaro non manca: è nei paradisi fiscali ed ammonta a non meno di 20.000 miliardi di dollari secondo il Tax Justice Network. Nella sola Unione europea, l’evasione e l’elusione fiscale costano 1.000 miliardi di euro l’anno ai bilanci pubblici ed è in gran parte organizzata da parte delle banche che svolgono un ruolo chiave, come dimostrato dallo scandalo HSBC (cosiddetto “Swissleaks”, nato dalla lista rivelata da Hervé Falciani). La prima di esse, BNP Paribas, ha 171 filiali in paradisi fiscali, tra cui le Isole Cayman.

Alla base della campagna c’è quindi la necessità, mentre i governi guardano dall’altra parte, di agire sulle banche che continuano a mantenere le proprie pratiche per favorire l’evasione fiscale e sui paradisi fiscali per metterli in condizione di non nuocere. Così si potrebbe contribuire a finanziare il fondo per il clima da parte degli stati membri.

L’articolo 14 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino indica la via: “Tutti i cittadini hanno il diritto di verificare, da soli o attraverso i loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di consentirlo liberamente, di controllarne l’impiego e di determinarne la quantità, la ripartizione, la raccolta e la durata”. E’ nata così in Francia l’idea di un appello pubblico per requisire 196 sedie (tante quanti gli stati firmatari dell’accordo sul clima) dalle agenzie delle banche più impiantate nei paradisi fiscali, per giungere nel pieno svolgimento della COP21 ad un grande evento simbolico, così da incoraggiare i cittadini di tutti il mondo ad entrare in azione. Le azioni sono state poi svolte in pieno giorno, a volto scoperto, con spirito non violento, rispetto delle persone, pur evidenziando la determinazione a cambiare questa ingiustizia. Le azioni e il movimento di solidarietà che possono suscitare i “faucheurs de chaises” (mietitori di sedie) può diventare un movimento popolare per mettere finalmente la grande finanza al servizio dell’uomo e della natura.

Il ​​6 dicembre al Forum di Montreuil sulle 196 sedie requisite nelle banche che praticano l’evasione fiscale si sono seduti 196 rappresentanti di ONG, popoli indigeni e reti di attivisti per la giustizia climatica provenienti da più di 40 paesi: un vero e proprio vertice, in cui sono state proclamate le soluzioni per finanziare la transizione ecologica e sociale: tassa sulle transazioni finanziarie, carbon tax, meccanismi di adattamento per le comunità colpite, smantellamento dei paradisi fiscali, rinegoziazione dei debiti, creazione di moneta per l’impiego e il clima.

*Roberto Spini, Attac Firenze

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Roberto Spini

Roberto Spini, del Forum toscano dei movimenti per l'acqua, è un attivista di Attac Italia e di perUnaltracittà

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