L’Unesco addita Firenze per la malagestione del centro storico. Una lettera da Parigi chiede spiegazioni al sindaco Nardella sulla vendita di edifici monumentali pubblici e sulla loro trasformazione in appartamenti; sul progetto di parcheggi sotterranei nel centro storico; sulla prevista linea tramviaria sotto il Duomo; e infine sul passaggio del tunnel dell’alta velocità che minaccia la fortezza cinquecentesca e l’arco dei Lorena.
Nardella fa lo gnorri. E di tutta risposta emana un regolamento che limita l’apertura di kebab e supermercatini, del tutto fuori tema. Folgorata dalla modestia della proposta, la senatrice Di Giorgi (già assessore di Renzi) annuncia di voler estendere la norma a tutti i centri storici d’Italia.
La situazione è tragicomica. La città è usata per far cassa. Il centro di Firenze è in piena svendita. Centinaia di migliaia di metri quadri di edifici monumentali, pubblici e privati, messi all’incanto e promossi dal sindaco nelle fiere internazionali della speculazione immobiliare. Sulla loro vendita lucrano società frequentate da esponenti del giglio magico. Parcheggi interrati caparbiamente sostenuti dalla giunta, “valorizzano” le trasformazioni in residence a cinque stelle di grandi complessi immobiliari. I residenti abbandonano la città storica, gli appartamenti trasformati in B&B o affittati agli studenti (americani, gli studenti nostrani sono stati buttati anch’essi in periferia, a seguito di antichi decentramenti).
Attrezzature e servizi pubblici sono allontanati dalla città storica. I presìdi sanitari, chiusi. Il trasporto pubblico (privatizzato nell’era renziana), in ginocchio: il centro non è servito e gli autobus, buttati sui viali, procedono a stento su inesistenti corsie protette. La pianificazione è sostituita da mille insensate operazioni di propaganda. Nessun serio provvedimento limita l’espansione del turismo di lusso che cannibalizza il quadrilatero romano. Nei quartieri limitrofi, il tessuto sociale di chi resta è sempre più omogeneo, sempre più borghese. Nei luoghi centrali, la popolazione migrante è gestita con misure securitarie.
Eppure, in Italia esiste una cultura della città storica, una tradizione teorica ed operativa riconosciuta internazionalmente. A partire dalla Carta di Gubbio (1960) che equiparava a monumento l’intero centro storico, che predicava la necessità di restaurare le pietre senza espellere le popolazioni residenti nei centri. Proseguendo con l’esempio di Bologna, che nel 1969 dava il via al recupero delle case storiche del centro e le destinava a residenze popolari, e che, rendendo socialmente disponibili gli edifici monumentali intramuros, attribuiva all’uso popolare i luoghi del potere. E infine con i molti piani particolareggiati per i centri storici che, negli scorsi decenni, hanno dato risultati più che significativi.
Ma Nardella, tutto questo non lo sa. E per togliersi di mano la patata bollente ha scelto la via del travisamento, Renzi-style. Certo, anziché affrontare di petto il sistema delle grandi opere, la liberalizzazione del commercio, la speculazione immobiliare internazionale e i diffusi interessi proprietari, meglio dare addosso ai più deboli. E poi magari sviolinare alla nazione intera che la soluzione è geniale.
*Ilaria Agostini, urbanista, è attiva nel laboratorio perUnaltracittà
Brava Ilaria, faccio circolare l’articolo. Perché non rendere noto a chi magari non c’è ciò che fa quello che c'”è”?