Affaire Castello: l’interesse pubblico questo sconosciuto

La recente sentenza della Corte di Cassazione relativa alle vicende dell’area di Castello a Firenze sembra aver messo tutti a tacere. I presunti corrotti e corruttori sono stati assolti e prontamente anche riabilitati, mentre sono cresciute le recriminazioni nei confronti dei tempi “eccessivamente lunghi” della Magistratura.

A dire il vero non è tutto così semplice e chiaro. Intanto permangono ampie zone d’ombra visto che in alcuni casi non si parla di assoluzione ma di prescrizione per fatti compiuti o presumibilmente commessi (http://www.astampa.rassegnestampa.it/comunefirenze/PDF/2016/2016-05-08/2016050833138185.pdf).

images (2)In secondo luogo, per meglio comprendere cosa sia successo realmente nella piana di Castello, è utile rispolverare due dichiarazioni apparse sulla stampa quotidiana durante gli anni dell’inchiesta della magistratura fiorentina.

La prima è di Andrea Bottinelli, all’epoca considerato vicino alle posizioni della Fondiaria-Sai, proprietaria dell’area. In un’intercettazione del 2008, quando si preannuncia la costruzione dello stadio a Castello, si sfoga dicendo “Mi sembrano matti tutti […] non so come fa ad andare lì la Provincia, la Regione, l’aeroporto, lo stadio, 1.500 famiglie e le scuole… boh…io penso che ci metteranno sul giornale perché mai vista una discarica più intasata di quella che state facendo lì…dai…ma poi solo i flussi di traffico, di trasporti…quindi per vincere le elezioni si parla dello stadio a Castello, ma ti pare? Vicino alla Provincia magari … vicino alle scuole. Chi abita lì ha il rumore dell’aeroporto…il rumore del traffico… il rumore dello stadio…cazzo e mandiamo lì 1.500 appartamenti…boh…” (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/11/27/castello-sequestrata-tutta-area.html).

La seconda è dell’avvocato Pierluigi Lucibello, difensore dell’allora sindaco Leonardo Domenici, che, in relazione all’indagine in corso, dichiara che “… si stanno delineando accuse evanescenti: la Procura sembra caduta in equivoco confondendo le contrattazioni giornaliere tipiche dell’urbanistica contrattata e tutte funzionali alla convenzione sull’area di Castello, come atti di corruzione. Ma la corruzione non c’è.” (P. Berdini, “Firenze, l’urbanistica negoziata è servita”, Eddyburg, 5 gennaio 2009 http://archivio.eddyburg.it/article/articleview/12407/0/353/ ).

L’avvocato sembra proprio avere ragione. Questo stato di cose è semplicemente coerente con la prassi perversa dell’urbanistica contrattata che, in nome di un disinvolto e pericoloso pragmatismo, è diventata la regola di riferimento della pianificazione territoriale.

Gli amministratori locali dimenticano di essere gli unici depositari del potere di regolare, in nome della tutela degli interessi di tutti i cittadini, l’assetto del territorio e delle città che amministrano. Con la proprietà immobiliare si affidano invece ad estenuanti trattative nelle quali rappresentano immancabilmente la parte debole, subalterna. Dal soddisfacimento delle pressanti richieste di valorizzazione economica che la proprietà privata presenta, riescono solo ad ottenere brandelli di strutture pubbliche (qualche giardino, la sistemazione di alcune strade, l’immancabile centro commerciale, ecc.) oppure il pagamento dell’obolo degli oneri di urbanizzazione. Briciole rispetto ai ricavi economici che invece consentono di realizzare agli investitori che speculano.

Il più delle volte, questi interventi di trasformazione, isolati e singolarmente contrattati, finiscono con il peggiorare sensibilmente le condizioni di vivibilità delle città perché non sono stati programmati all’interno di un quadro di compatibilità urbana.

Il problema è proprio questo. La piana di Castello per decenni ha alimentato i sogni faraonici di una classe politica mediocre, imbelle, subalterna agli interessi del dominus di turno, incapace di una proposta urbanistica che rappresentasse gli interessi della città. La contrattazione urbanistica, che lega intimamente la carriera politica alla valorizzazione della rendita urbana, ha caratterizzato tutto l’affaire Castello. Se realizzato, il mastodontico intervento edilizio da un milione e 400.000 metri cubi avrebbe anche provocato la distruzione di una delle ultime zone “franche” del territorio, essenziale per gli equilibri residui della Piana Fiorentina.

Su questa falsa riga si aggiunge, negli ultimi tempi, la proposta del nuovo aeroporto intercontinentale, tenacemente sostenuta dal governo Renzi e fortemente contrastata dalle popolazioni locali.

Certo, non siamo di fronte alla corruttela delle mazzette, la verità processuale afferma che non c’è stata. Siamo invece di fronte al continuo bisbiglio delle “contrattazioni giornaliere”, come afferma l’avvocato Lucibello, dello scambio dei desiderata, delle consultazioni organiche tra le parti in causa per definire e verificare il reciproco gradimento delle scelte compiute, scelte che poi saranno trasformate in piani urbanistici vincolanti.

Non si può non concordare con il gip dell’inchiesta di Castello, quando sostiene che “l’interesse pubblico, ‘questo sconosciuto’, è lasciato in un angolino, asservito ora a logiche di guadagno ora a logiche di competizione politica”. Per carità, reati non ci sono, non sono infrante le regole formali del diritto, sono infrante le auree leggi dell’etica politica in base alle quali gli amministratori pubblici sono al servizio della collettività, ne tutelano gli interessi, ne promuovono l’equilibrata convivenza.

*Antonio Fiorentino, architetto, attivo in perUnaltracittà