Il parlamento della riforma renziana: seconda pillola costituzionale

Nella riforma Renzi/Boschi il parlamento resta a composizione bicamerale: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. Quello che cambia, come vedremo, è il c.d. “bicameralismo perfetto” sistema nel quale le due Camere hanno gli stessi identici compiti.
In questa “pillola” concentreremo la nostra attenzione sulla composizione di quello che si vorrebbe far diventare il nuovo parlamento, rimandando al prossimo appuntamento le funzioni.

Nel sistema che si intende introdurre la Camera conserverebbe gli stessi parlamentari (630) e l’elettività, e rimarrebbe l’unico ramo del parlamento a votare la fiducia al Governo: “il Governo deve avere la fiducia della Camera dei deputati” recita il primo comma dell’articolo 94 riscritto.

download (5)Cambia invece radicalmente il Senato riducendo drasticamente i suoi membri (da 315 a 100) e diventando un organo non elettivo.

La Camera dei deputati, dunque, resta l’unico ramo del parlamento elettivo e la legge c.d. Italicum è già pronta per entrare in vigore. Il Senato, come abbiamo visto, scende a 100 componenti di cui 95 nominati dalle Regioni e 5 dal Presidente della Repubblica. E’ una precisazione da sottolineare con forza visto che, certa propaganda, ha fatto passare un messaggio non veritiero in merito alla soppressione della “Camera alta”.
I senatori non rappresenteranno più la “Nazione” ma saranno rappresentativi delle “istituzioni territoriali”, tranne i cinque nominati dal Presidente della Repubblica che non se i capisce bene di chi e di cosa siano rappresentativi.

Nei parlamenti i membri, in genere, rappresentano il “popolo sovrano”. I senatori rappresenterebbero le istituzioni territoriali, ma non è ben chiaro con quale meccanismo. Se fossero dei reali rappresentanti dovrebbero essere nominati dalle giunte regionali e rappresentare gli esecutivi. Nella legge Boschi/Renzi invece i senatori vengono “eletti/nominati” dai consigli regionali, con “metodo proporzionale”, ragione per cui non rappresenteranno le “istituzioni” bensì le forze politiche presenti nei consigli regionali.

Altra contraddizione evidente è evidenziata dall’articolo 67 che conferma che i “parlamentari” (e quindi anche i Senatori) agiscono “senza vincolo di mandato”. Delle due l’una: se rappresentano le istituzioni devono agire con “vincolo di mandato” rispetto all’ente di cui sono rappresentanti; se non le rappresentano – e rappresentano il “popolo” (ma non è così) – è giusto farli agire senza vincolo di mandato. Inoltre rappresenteranno le “istituzioni territoriali” sia “senatori” nominati dalla maggioranza che dall’opposizione, che potranno quindi votare in modo completamente opposto nonostante rappresentino le stesse istituzioni.

La contraddizione del sistema viene resa ancora più stridente nel momento in cui l’articolo 121 della Costituzione continua a stabilire che i presidenti della giunta regionale “rappresentano la regione”. I presidenti rappresentano la regione ma non in parlamento. Parlano a nome della regione, impegnano la regione, sono in un qualche modo la regione, ma non possono fare sentire la loro voce in parlamento, mentre al loro posto ci potranno essere anche i loro oppositori.

Diverso è per i sindaci che rappresenteranno – sembra capire – i propri comuni. Non è chiara la ratio della presenza dei sindaci. Se rappresentano i loro comuni si porrebbero quei 22 comuni – su circa 8000 – in una condizione di privilegio ingiustificato rispetto agli altri, senza che vi sia un motivo logico.

Un pasticcio giuridico e logico che raramente si è visto in queste proporzioni e certo mai nella Carta costituzionale.

I Consigli regionali e le province autonome di Trento e di Bolzano devono, dunque, “eleggere/nominare” il nuovo Senato per un totale complessivo di loro spettanza di novantacinque membri. Devono sceglierli con metodo proporzionale tra i “loro componenti” (quindi consiglieri regionali) e, nella misura di “uno per ciascuno” tra i sindaci dei loro territori. Nessuna regione potrà avere un numero di senatori inferiori a due. La composizione del Senato, al netto dei nominati della Presidenza della Repubblica, sarà quindi di 22 sindaci e di 73 consiglieri regionali.

Sulla loro “elezione/nomina” la chiarezza di quella che si vorrebbe far diventare la nuova Carta costituzionale cessa di esistere. Non è chiaro neanche se si tratti di una elezione o una nomina in senso stretto. La proposta di Costituzione riscritta non chiarisce il metodo, ma rimanda al legislatore ordinario, “con legge approvata da entrambe le Camere” le modalità di elezione e di attribuzione dei seggi con la precisazione – criptica – che “i seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio”.

Qui il mistero si infittisce. Dopo la fase transitoria – sono state infatti emanate delle norme intertemporali in attesa della legge bicamerale che verrà fatta successivamente – non è chiaro cosa significhi quanto previsto dal nuovo articolo riscritto. I seggi saranno attribuiti in ragione dei voti espressi o in ragione della composizione dei gruppi consiliari? In pressoché tutte le regioni esiste una legge elettorale maggioritaria, con premio di maggioranza, ragione per cui i seggi non sono la rappresentazione dei voti espressi dai cittadini, ma frutto proprio del premio della legge elettorale.

Gli ex senatori a vita diventano “a tempo determinato” e vengono nominati per avere illustrato la patria” per altissimi meriti nel campo sociale, artistico, scientifico e letterario”. Non si capisce chi rappresentino esattamente, certo non le istituzioni territoriali. Vengono nominati dal presidente della Repubblica, rimangono in carica per sette anni, esattamente come il presidente. Il loro peso nel Senato riformato numericamente crescerebbe moltissimo (5 su 100 anziché su 315) e potrebbero essere anche l’ago della bilancia: i “nominati tra i nominati”.

Altra novità rilevante: il Senato non scade mai e rimane sempre in carica mentre la Camera dei deputati scadrà ogni cinque anni per poi andare al rinnovo elettivo. Nel Senato scadono i singoli senatori in quanto la durata del mandato coincide con quella dei loro organi (Regioni o Comuni). Impossibile quindi predeterminare o sapere se la maggioranza del Senato coincida con quella della Camera. Può verificarsi il fatto che abbiano due maggioranze politiche opposte tra di loro, non certo un buon viatico per il funzionamento di un parlamento bicamerale.

Nel bicameralismo in salsa renziana sarebbe quindi prevista una camera ipertrofica di 630 membri e un senato ridotto a 100 e per di più non elettivo.

La riforma della composizione del parlamento si presenta come un pasticcio nel pasticcio motivata da elementi demagogici e populisti: la riduzione dei costi della politica. Obiettivo che poteva essere perseguito prevedendo una riduzione proporzionale di camera e senato oppure abolendo il senato e lasciando la Camera con una legge proporzionale.

*Luca Benci