La consulta ha rigettato il ricorso contro il divieto di ricevere e spedire libri e pubblicazioni per i detenuti sottoposti al regime di “41 bis”.
Cosa comporta il regime del 41 bis, e perché è da considerarsi nel suo complesso una forma di tortura lo scrivevamo nel numero de La città invisibile del 15 dicembre 2015:
“L’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario è il punto più rigido della scala del trattamento differenziato che regola il sistema carcerario italiano. Nato come provvedimento emergenziale, come sempre succede è diventato norma permanente e questo processo di stabilizzazione determina inasprimenti anche di altri regimi carcerari, come l’Alta Sicurezza 1 e 2 o l’isolamento prolungato dell’art. 14 bis. Dal regime di 41 bis non si esce, se non attraverso la collaborazione con lo Stato: esci da lì solo se fai l’infame e al posto tuo vi fai entrano un altro!
Il 41 bis prevede: 1. isolamento per 23 ore al giorno (soltanto nell’ora d’aria è possibile incontrare altri/e prigionieri/e, comunque al massimo tre, e solo con questi è possibile parlare); 2. colloquio con i soli familiari diretti (un’ora al mese) che impedisce per mezzo di vetri, telecamere e citofoni ogni contatto diretto; 3. esclusione a priori dell’accesso ai “benefici”; 4. utilizzo dei Gruppi Operativi Mobili (GOM), il gruppo speciale della polizia penitenziaria, tristemente conosciuto per i pestaggi nelle carceri e per i massacri compiuti a Genova nel 2001; 5. “processo in videoconferenza”: l’imputato/a detenuto/a segue il processo da solo/a in una cella attrezzata del carcere, tramite un collegamento video gestito a discrezione da giudici, pm, forze dell’ordine, quindi privato/a della possibilità di essere in aula; 6. censura-restringimento nella consegna di posta, stampe, libri.
E’ evidentemente un regime che mira all’annullamento de prigioniero, di ogni suo pensiero e autonomia. Solo in questo senso è spiegabile la restrizione della possibilità di accesso a libri e pubblicazioni. Chi è sottoposto al 41 bis non può ricevere libri, né qualsiasi altra forma di stampa, attraverso la corrispondenza e i colloqui sia con parenti sia con avvocati: è un’ulteriore restrizione in aggiunta a quella che già prevede che il prigioniero possa avere al massimo tre libri in cella.”
Da allora le sezioni di 41 bis sono rimaste luoghi di sospensione di ogni diritto e dignità, senza un reale motivo se non la punizione e la rivalsa feroce dello Stato. Scrive Patrizio Gonnella, presidente di Antigone: “Il diritto a informare ed essere informati, il diritto alla formazione della propria coscienza, il diritto allo studio, il diritto alla libertà di opinione e pensiero non c’entrano nulla con la prevenzione del fenomeno mafioso. Vietare libri, riviste, giornali significa vessare, non prevenire”.
Del resto se l’universo carcerario italiano versa in condizioni tali da consentire violenze, pestaggi, tassi di suicidi, tentati suicidi ed episodi di autolesionismo elevatissimi, condizioni di vita dei detenuti ritenute dagli organismi internazionali inumane e degradanti, tanto da condannare l’Italia a pagare multe e risarcimenti, perché i “reparti d’elite” di quel mondo dovrebbero aprirsi a gesti e decisioni dettati anche solo da semplice umanità? E soprattutto ormai sappiamo che giocare con la declinazione sempre più feroce della “sicurezza” ha il suo tornaconto in termini di consenso, perciò non ci stupisce che la prima reazione alla pronuncia della Consulta sia stata quella di un deputato PD membro delle commissioni giustizia e antimafia.
Noi continuiamo a stare da un’altra parte rispetto a chi gioca con la vita di esseri umani facendosi scudo del legalitarismo e della sicurezza dei cittadini e, per convenienza o convinzione, persegue la costruzione di uno stato sempre più autoritario, escludente, e violento, nelle piazze e nelle galere. E di una giustizia di classe che colpisce col pugno di ferro prevalentemente poveracci, marginali, migranti e ribelli, mentre tace sui potenti che si arricchiscono saccheggiando il bene comune o contribuiscono alla devastazione della cosa pubblica. Come ebbe a dire il cav. Moretti, che l’interno di una cella certo non vedrà mai, i 32 morti di Viareggio sono “uno spiacevolissimo incidente”, evidentemente niente in confronto ai benefici effetti dei bilanci in ordine di Ferrovie, ottenuti anche tagliando ferocemente sulla sicurezza.
*Maurizio De Zordo
Maurizio De Zordo
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