Firenze 2004-2014. Un caso nazionale

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«Cambiare verso». È questa la chiave vincente che a partire dal 2009 ha permesso a Matteo Renzi di conquistare Palazzo Vecchio, la segreteria del PD e il ruolo di primo ministro. Nel governo urbano fiorentino di discontinuità c’era enorme bisogno perché fu proprio a causa dello scandalo urbanistico del novembre 2008 che iniziò la rapida fine della giunta guidata da Leonardo Domenici. L’inchiesta che ha fatto crollare il sistema di potere urbanistico del PD riguardava la vicenda Castello, area decisiva per lo sviluppo della città che da decenni riempie le cronache urbane. In quello stesso mese, appena tre giorni prima delle dimissioni dell’assessore all’urbanistica fiorentino Gianni Biagi colpito dall’indagine della Magistratura, il consiglio comunale aveva respinto la richiesta sostenuta da Ornella De Zordo per istituire una commissione d’inchiesta sul progetto urbanistico Castello.

Il blocco di potere che reggeva Palazzo Vecchio appariva fortissimo: nel giro di pochi mesi si sarebbe liquefatto. Quel blocco veniva da lontano, già nel 2006 il sindaco si era fatto ritrarre a tavola con Salvatore Ligresti proprietario delle aree di Castello con cui decise di dare nuovamente il via all’urbanizzazione dell’area. Nel 2008 è sempre il sindaco ad aprire un nuovo fronte di interlocuzione con Diego Della Valle, nuovo player urbano in qualità di presidente della Fiorentina calcio. In questo caso il sindaco di Firenze baratta la previsione di un grande parco urbano che residuava dall’alluvione di cemento di Ligresti con il nuovo stadio della squadra di calcio.

Nell’aprile del 2009 Domenici, con dirigente e assessore all’urbanistica nel pieno dell’inchiesta della Procura della Repubblica, tenta comunque di portare in attuazione il Piano strutturale della città che avrebbe condannato Firenze ad un futuro di speculazioni. Contro questo piano si forma, grazie all’azione incisiva nella città e all’interno del consiglio comunale del gruppo perUnaltracittà guidato da Ornella De Zordo, un vasto movimento di opinione che riesce a coinvolgere le numerose realtà associative, i comitati di cittadini e – elemento inedito nel panorama nazionale – urbanisti e ricercatori precari della facoltà di architettura fiorentina. Dopo pochi mesi nell’ottobre 2009 l’intero gruppo dirigente dell’urbanistica fiorentina dominato dal PD, dall’ex capogruppo in Consiglio comunale, il geometra Alberto Formigli, il capo dei servizi tecnici e il presidente dell’Ordine degli architetti locale saranno colpiti dall’indagine. Domenici è costretto a ritirare il piano.

Nella campagna per le primarie del PD della primavera del 2009, Matteo Renzi riesce a far dimenticare che il suo partito è stato il principale pilastro dell’urbanistica del malaffare fiorentino e con notevole fiuto politico imposta la sua campagna alla ricerca di consensi proprio sulla necessità della discontinuità. Afferma infatti che il Piano urbanistico esecutivo (PUE) verrà abbandonato e verrà aperta la strada di un piano urbanistico «a cemento zero». Anzi, preso da giovanile entusiasmo rincara la dose e in molte uscite pubbliche afferma ad esempio che di fronte al dramma di chi non ha casa si devono utilizzare i grandi immobili pubblici abbandonati invece di venderli alla speculazione immobiliare.

È da questa premessa che occorre partire se si vuole verificare la coerenza tra gli assunti iniziali e i risultati concreti degli anni in cui Renzi ha ricoperto il ruolo di sindaco di Firenze. Il libro edito da Aión e curato da Ilaria Agostini è in tal senso la prima sistematica analisi degli avvenimenti del decennio trascorso e traccia un quadro tanto rigoroso quanto impietoso della distanza tra gli annunci e le azioni concrete.

Il tema fondamentale della critica di perUnaltracittà all’urbanistica fiorentina è quello di non aver nessuna idea sul futuro della città pubblica e di aver assecondato in pieno i voleri della grande proprietà immobiliare e degli operatori economici legati al turismo di massa. Renzi conferma questo vuoto di prospettive e aggrava le scelte del precedente piano urbanistico. Le due sfide più importanti per l’assetto della città sono da tempo quelle dell’assetto della pianura nord-ovest con l’ultima area ancora inedificata da tempo nel mirino della speculazione (gruppo Fondiaria-Sai e Ligresti, oggi UnipolSai) e il destino dei grandi contenitori pubblici presenti nella città storica e da cui dipende se Firenze continuerà ad essere devastata dal turismo invadente o potrà, attraverso un uso intelligente di quei grandi complessi, tentare di riequilibrare la preoccupante rarefazione di abitanti nel cuore storico della città.

Come abbiamo visto, Domenici aveva impostato il futuro urbano di Firenze perseguendo la saldatura con Prato e nella “valorizzazione” dei grandi contenitori storici pubblici al fine di incrementare oltre misura l’uso turistico della città, a partire dalla nota vicenda della Fortezza da Basso, che caparbiamente riconfermava e potenziava il polo fieristico in pieno centro. Renzi non ha soltanto confermato questo indirizzo sbagliato ma lo ha perfezionato portandolo a sistema.

Due soli esempi tra i numerosi che vengono puntualmente analizzati nel volume. Non solo viene confermata la gigantesca cementificazione di Castello, ma ad essa si aggiunge anche l’ampliamento dell’aeroporto di Peretola. Questa ipotesi non era prevista dalla pianificazione sovraordinata e dallo stesso piano strutturale, ma le regole continuano a non valere in modo universale. Il gruppo di sodali di Renzi che controllano la società proprietaria – tra cui spicca quel Marco Carrai che pagava generosamente l’alloggio fiorentino del sindaco Renzi e che assumerà la guida della società di gestione della struttura, la Toscana Aeroporti Spa – insistono sul raddoppio della lunghezza e sulla nuova localizzazione della pista aeroportuale. Anche in questo caso la denuncia dell’operazione parte dal gruppo di intellettuali di perUnaltracittà che sottolinea l’arroganza del gruppo renziano[1]: in questo caso le consuete falsificazioni della verità si accompagnano con esplicite minacce di denunce penali a chi ha denunciato lo scandalo. Sulle falsificazioni dei fatti è appena il caso di ricordare l’esempio di Roberto Naldi, ingegnere numero uno dell’argentina Corporacion America-Italia, una delle società che gestirà l’aeroporto. Naldi, vista la gravissima mancanza della valutazione d’impatto ambientale cerca di uscire dall’angolo affermando addirittura che «l’intervento migliorerà lo stato idrogeologico dell’area»: la prevista impermeabilizzazione di circa cento ettari di terreno in un’area di grande fragilità idraulica aiuterebbe il deflusso delle acque. La verità capovolta.

Il secondo esempio del percorso scelto riguarda il futuro della ex-Manifattura di Tabacchi ubicata tra il torrente Mugnone e il Parco delle Cascine. Nei sei ettari interamente occupati dagli opifici dismessi si decide di realizzare in aggiunta a quanto già esiste, due torri per alloggi di lusso e un centro commerciale: altro che piano a «zero metri cubi». È questo solo un esempio tra i tanti illustrati nel libro che dimostrano la falsità dell’assunto di un piano fondato sull’opzione zero: la trasformazione delle aree dismesse serve soltanto a fare cassa privilegiando il segmento del lusso (dagli alberghi alle abitazioni). Firenze vetrina del turismo internazionale senza nessuna altra idea. Il piano strutturale di Renzi peggiora dunque l’eredità del piano Domenici.

Anche nel metodo di governo si verifica la stessa continuità: l’urbanistica contrattata viene confermata in pieno. Eppure era stata proprio quella prassi discrezionale a provocare gli scandali urbanistici. Nel 2008, al primo emergere dell’inchiesta della Procura della Repubblica, è già chiarissima la linea difensiva del sindaco Domenici. Il suo avvocato difensore, Pier Matteo Lucibello, riguardo ai contenuti dell’indagine dichiarava che: «È stato fatto un lavoro imponente e documentato, ma si stanno delineando accuse evanescenti: la Procura sembra caduta in equivoco confondendo le contrattazioni giornaliere tipiche dell’urbanistica contrattata e tutte funzionali alla convenzione sull’area di Castello, come atti di corruzione. Ma la corruzione non c’è»[2].

Sono parole fondamentali per capire il baratro che si è aperto in Italia con il trionfo dell’urbanistica neoliberista. L’urbanistica è ridotta a «contrattazione giornaliera» come una qualsiasi attività borsistica: i tempi lunghi delle città vengono sacrificati alle momentanee e mutevoli convenienze della proprietà fondiaria. D’altro canto, è noto che è molto difficile per la magistratura provare episodi di corruzione: il caso Sesto San Giovanni dimostra che le contrattazioni giornaliere attraverso cui si facevano lievitare le volumetrie di milioni di metri cubi venivano onorate attraverso consulenze e incarichi professionali. Fiumi di denaro che girano vorticosamente al riparo dal rischio di corruzione.

È l’urbanistica contrattata nella sua più profonda essenza, insomma, ad essere fonte di malaffare: le quantità edificatorie e le funzioni urbane vengono decise volta per volta con lo strumento della deroga alle indicazioni urbanistiche. Se Renzi avesse voluto riportare la trasparenza nelle decisioni, doveva chiudere questa fase nefasta. Al contrario – l’esempio dell’aeroporto di Peretola è il caso più eclatante ma non è l’unico – si contratta con la proprietà immobiliare volta per volta e caso per caso perdendo di vista la visione complessiva della città.

Nonostante lo scandalo urbanistico del 2008-2009, dunque, tutto continua come prima: il porto delle nebbie generato dalla cancellazione dell’urbanistica viene perpetuato consolidando il processo di trasferimento delle prerogative del governo pubblico del territorio alla proprietà immobiliare. Approvato nel 2011 il nuovo Piano strutturale di Renzi è sottoposto a continue variazioni in sede di attuazione. Significativo il caso della redazione del Regolamento urbanistico 2013 in cui si collazionano senza alcun intervento critico 217 proposte di iniziativa privata. Il presente libro è una miniera inesauribile di questi casi di deroghe approvate nel decennio.

Ma il peggio deve ancora venire perché proprio grazie a tre concreti episodi vissuti da Sindaco, il Renzi presidente del Consiglio perfeziona la distruzione del governo pubblico delle città e del territorio iniziata con il secondo condono edilizio di Berlusconi-Tremonti (1994); con la Legge obiettivo (2001) – finalmente definita da Raffaele Cantone al vertice dell’Autorità contro la corruzione come «criminogena» –, con il Piano casa nazionale (2008) e quelli regionali; con la finanziarizzazione delle città inaugurata con le leggi di bilancio approvate indifferentemente dal centro-destra e dal centro-sinistra.

Il primo episodio che segna l’esperienza da primo cittadino di Renzi riguarda l’uso dei beni culturali. Nel pomeriggio del 29 giugno 2013, Ponte Vecchio viene concesso per consentire la presentazione dell’ultimo modello della Ferrari con l’augusta presenza di Luca Cordero di Montezemolo. Nell’equilibrio dei poteri su cui si basa la nostra Costituzione, i beni artistici vincolati ricadono sotto la giurisdizione del Ministero dei beni culturali cui spetta emanare o meno il nulla osta per il loro utilizzo e non sembrava semplice ottenere quel provvedimento poiché si trattava di chiudere il ponte al passaggio dei cittadini. Nessuna paura: il Soprintendente fiorentino esprime parere positivo in soli sei giorni: la cerimonia viene autorizzata e il ponte viene chiuso al transito pedonale della cittadinanza per l’intero pomeriggio e la serata.

Renzi inaugura insomma la soprintendenza “à la carte” e se ne ricorderà dopo la sua nomina a primo ministro. Dopo alcuni pesanti attacchi all’autonomia delle soprintendenze, si ricorda del precedente episodio di Ponte Vecchio quando nel settembre 2015 porta in approvazione mediante voto di fiducia, la cosiddetta riforma della pubblica amministrazione che prevede la subordinazione dei soprintendenti ai prefetti. Così i pareri potranno essere ancora più velocizzati rispetto al record dei sei giorni, fino a renderli inutili. Una violazione esplicita delle regole e dell’equilibrio dei poteri che passa pressoché inosservata sulla grande stampa nazionale. Del resto, anche lo scandalo della chiusura di Ponte Vecchio passò sotto silenzio della stampa nazionale. Ne parlarono diffusamente soltanto “il manifesto”, Tomaso Montanari sulle pagine del “Fatto quotidiano” e la stampa locale pungolata da perUnaltracittà. Di recente invece, la chiusura per assemblea sindacale del personale del Colosseo, ha come noto portato ad un diluvio di pagine scritte, a ore di trasmissioni televisive speciali e a provvedimenti di limitazione del diritto di sciopero.

Il secondo episodio riguarda la centralità della finanza nelle trasformazioni urbane. Nel dicembre 2013, poco prima di lasciare la guida del comune, Renzi si trova in gravi difficoltà di bilancio: mancano infatti alcune decine di milioni per non incorrere nelle regole del rigore finanziario approvate dal governo Monti. I miracoli talvolta avvengono e la Cassa depositi e prestiti al cui vertice sedeva ancora Franco Bassanini acquista attraverso il Fondo investimenti per la valorizzazione Plus il Teatro Comunale sito nella centrale via Solferino, e questa operazione consente a Renzi di evitare un colpo grave alla sua immagine.

Il prezzo di vendita è modesto: 23 milioni a fronte dell’iniziale valore di 44,5 milioni del 2009, senza tener conto che nel 2012, il Comune aveva ridefinito – una delle tante deroghe puntuali – la destinazione urbanistica del complesso, prevedendo una superficie utile lorda ammissibile compresa tra 18 e 19.000 mq.

All’interno dello “Sblocca Italia” (Dl n. 133 del 12 settembre 2014), e cioè l’ennesimo provvedimento emergenziale che con la consueta retorica viene indicato come indispensabile per rilanciare l’economia nazionale, all’art. 10 (Disposizioni per il potenziamento dell’operatività di Cassa depositi e prestiti a supporto dell’economia) si creano le condizioni per un ulteriore sistematico intervento di CDP nell’acquisto e valorizzazione degli immobili da dismettere. Insomma, la positiva esperienza della vendita del teatro comunale – per Renzi si intende, mica per la città – ha generato una nuova produzione di legislazione di finanza creativa. Ed a perfezionare la volontà di controllo degli interventi, nel luglio scorso vengono nominati i nuovi vertici e a capo di CDP arriva Claudio Costamagna, ex banchiere Goldman Sachs e, al tempo, presidente di Salini Impregilo. Amministratore delegato diventa Fabio Gallia che ricopriva identico ruolo nella Banca Nazionale del Lavoro. Renzi dunque favorisce ulteriormente la finanziarizzazione del mercato immobiliare.

Questa prospettiva viene ulteriormente perfezionata con la facilitazione dell’attività e alcuni benefici fiscali delle società immobiliari quotate. L’art. 20 (Misure per il rilancio del settore immobiliare) dello Sblocca Italia consente infatti alle Società di Investimento Immobiliare Quotate (SIIQ, istituite dal 2007, governo Prodi) di avere una più agevole possibilità operativa in termini di gestione del patrimonio da quotare in borsa proprio in un momento in cui i più grandi istituti di credito italiani sono in forte sofferenza proprio sul versante immobiliare. Un grande aiuto ai principali responsabili dell’ondata speculativa che ha portato alla crisi del 2008-2009.

Renzi sindaco di Firenze si imbatte infine anche nella questione delle grandi opere realizzate in deroga ad ogni disciplina urbanistica e paesaggistica. L’esempio più eclatante nella città di Firenze è rappresentato dalla Scuola dei sottoufficiali dell’arma dei Carabinieri realizzata nell’area di Castello, vicenda nota che ha coinvolto il potente gruppo di potere rappresentato dal gruppo BTP Baldassini-Tognozzi-Pontello di Riccardo Fusi, che vinse l’appalto nel 2001, e da Denis Verdini, all’epoca presidente del Credito Cooperativo Fiorentino in amministrazione controllata dal 2012.

La vicenda della realizzazione della scuola dei marescialli è la dimostrazione tangibile del potenziale «criminogeno» della Legge obiettivo del governo Berlusconi, ma l’attività del governo Renzi è al riguardo molto cauta, soprattutto se confrontata con il disinvolto decisionismo usato in tante altre vicende minori. Alcune opere previste all’interno della Legge obiettivo sono state al momento sospese, ma non c’è nessuna intenzione di chiudere in modo rigoroso e definitivo con la cultura della straordinarietà e delle grandi opere, come dimostra il sostegno, nel 2014, alla candidatura di Roma alle Olimpiadi e il recente recupero dell’ipotesi di realizzazione del ponte sullo stretto di Messina.

Il modello Scuola dei Carabinieri resta dunque il faro della cultura di governo con cui si affronteranno le prossime trasformazioni urbane. Quando gli organismi urbani venivano costruiti attraverso il sistema delle regole liberali, le città erano palestre per abbellimenti e uso oculato delle finanze pubbliche. L’esempio della caserma della Guardia di finanza di Roma che nel 1913 sorse su progetto di Arnaldo Foschini a viale XXI Aprile sta lì a dimostrare ancora che attraverso l’allocazione di risorse pubbliche si può qualificare un’intera zona urbana. La Scuola dei marescialli dimostra invece l’arbitrarietà di una localizzazione avulsa da qualsiasi tessuto urbano fatto di strade di scorrimento e sovrastrutture ferroviarie che è stata decisa in base alle procedure derogatorie dell’urbanistica contrattata e delle grandi opere.

Ma torniamo in conclusione ai due pilastri dell’urbanistica italiana su cui si basa il pensiero di Matteo Renzi: da un lato si attenuano i poteri di tutela e dall’altro si favorisce il dominio delle società finanziarie e immobiliari. Sono questi due ingredienti a consentire l’attacco al patrimonio pubblico localizzato nelle aree storiche.

Il 4 settembre 2015 le cronache parlano del passaggio di proprietà del Teatro Comunale di Firenze da CDP a Nikila Invest, società immobiliare con sedi a Firenze e Londra, che a luglio ha acquistato l’immobile per 25 milioni[3]. Sempre dalle cronache locali si viene a sapere che la nuova proprietà ha intenzione di realizzare appartamenti di lusso «in stile Fifth avenue a New York, con portiere esterno, concierge, palestra, centro benessere, giardini pensili e duecento parcheggi sotterranei»[4]. Meraviglioso, al posto della sede storica del Maggio musicale fiorentino, una istituzione che ha segnato la cultura urbana e nazionale, ci sarà un banale quartiere di appartamenti.

E non c’è soltanto il caso del Maggio Fiorentino o della ex Manifattura tabacchi. Firenze, grazie a Renzi e al suo delfino Nardella, è diventata la città che sperimenta la vendita sistematica e pressoché totale del patrimonio immobiliare pubblico. La vicenda era stata puntualmente denunciata da perUnaltracittà quando fu reso pubblico un fascicolo promozionale del comune di Firenze – Florence City of the Opportunities[5] – che elencava con schede tecniche e foto il prezioso patrimonio di cultura e bellezza che la storia ha sedimentato nella città e che era venuto il momento di mettere all’incanto. Del resto chi si esprime con la complessità di un tweet e il mondo finanziario internazionale non possono neppure supporre che nelle città si celi un giacimento culturale immenso. Sono soltanto luoghi per lucrare ai danni del bene comune.

Negli ultimi venti anni i comuni sono stati portati verso la bancarotta economica e, come il capoluogo toscano, saranno costretti a vendere il patrimonio pubblico. Firenze doveva «cambiare verso». Con Renzi sarà invece l’Italia intera ad uniformarsi allo scellerato modello fiorentino.

*Paolo Berdini

[Il testo è apparso nel libro Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista: perUnaltracittà 2004-2014, a cura di Ilaria Agostini, Aión, Firenze, 2016, pp. 19-27; del libro, abbiamo già pubblicato i capitoli: Un’altra idea di città, della curatrice; Dal Palazzo al città, e ritorno di Ornella de Zordo; L’urbanistica in consiglio comunale di Maurizio Da Re; Comunicare il pensiero critico di Cristiano Lucchi; Piani neoliberisti di Ilaria Agostini]

Note al testo

[1] Per uno sguardo complessivo e dalla parte della cittadinanza, cfr. il dossier Il cielo sopra Firenze. Trafficato e fuori legge, “La Città invisibile”, suppl. al n. 30, 18 novembre 2015.

[2] Cfr. Paolo Berdini, L’urbanistica negoziata è servita, “il manifesto”, 3 gennaio 2009 [N.d.C.].

[3] Cfr. Claudio Bozza, Case a 5 stelle al posto del Comunale, “Corriere Fiorentino”, 4 settembre 2015, p. 2.

[4] Ibidem.

[5] La «brochure» è scaricabile dal sito della Regione Toscana “Invest in Tuscany” (www.investintuscany.com/Real+Estate.html). Cfr. Ilaria Agostini, Firenze svenduta da Nardella, ecco svelato il meccanismo perverso, “La Città invisibile”, 19 novembre 2014, n. 9; perUnaltracittà, Firenze città merce, “il Fatto Quotidiano”, 26 novembre 2015, http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/26/firenze-citta-merce/2247448/

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Paolo Berdini

Urbanista e scrittore, svolge attività di pianificazione e consulenza per le pubbliche amministrazioni.

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