Il piano di sostituzione delle alberature stradali in corso in questo mese d’agosto a Firenze ha sollevato molte perplessità nella cittadinanza. Molti si chiedono le ragioni della sostituzione non solo delle piante malate, senescenti o non più stabili, ma di interi tratti di viali, anche non particolarmente vecchi.
La scuola di pensiero più in voga in Europa sin dal XVIII secolo è quella basata sull’estetica formale, condivisa dalla Soprintendenza ancora oggi: alberi tutti della stessa età e della stessa specie, ciascuna caratterizzante un preciso tratto stradale, che può essere denominato in base alla specie arborea. Esempio antico è Unter den Linden (F. 1) a Berlino, soggetto nei secoli a ripetute sostituzioni delle piante componenti (benché il tiglio sia longevo), non solo per la senescenza delle stesse, ma anche per mutarne l’assetto in funzione della viabilità carrabile (da sei file si passò a quattro) o dell’introduzione di nuove infrastrutture trasportistiche (la U-Bahn comportò la soppressione di numerosi tigli nel 1935, molti lamentarono quella perdita); quel viale è ora principalmente composto da tigli giovanotti, a seguito della progressiva, ma generalizzata rinnovazione negli ultimi decenni. Anche gli Champs Elisées a Parigi sono stati in massima parte rinnovati con quattro filari di giovani platani.
La coppia Poggi-Manetti, in occasione della creazione dei viali di circonvallazione fiorentini, adottò i criteri d’oltralpe: singoli tratti coetanei e monospecifici (F. 2), a tigli, olmi, platani, ippocastani, questi ultimi impiegati anche nel viale Corsica. L’idea originale prevedeva ulteriori due filari di lecci al centro dei viali principali, lontani dalla facciate dalle case, molto spazio al passeggio, poco ai veicoli. I filari centrali non furono realizzati. Il pino domestico, simbolo d’italianità, fu impiegato in viale Torricelli. L’olmo si ammalò di grafiosi e fu poi sostituito col bagolaro. Le specie scelte nel XIX secolo non paiono più troppo adatte al mutato clima odierno e peraltro si mostrarono poco adatte all’ambiente urbano già a Poggi e a Manetti, che ne osservarono crescita modesta e precoce senescenza.
Nel secondo dopoguerra i tigli di viale Belfiore furono quasi interamente sostituiti con pino domestico, in questi giorni abbattuto circa settantenne, approfittando dall’occasione creata dalla costruzione della tramvia linea 2, che ha comportato la soppressione di alcuni esemplari di tiglio e di pino, da sostituire; della sostituzione di specie con ritorno al tiglio si era discusso in assemblea pubblica già nel 2008.
Nel caso di viale Guidoni vengono sostituiti pini neri, imprudentemente piantati fuori zona fitoclimatica e mai cresciuti, divenuti anzi attrattori di processionaria, e specie troppo esotiche come Magnolia grandiflora e Lagerstroemia indica.
Nei viali appena piantati l’ombra è scarsa per circa un decennio; è stato così in via Benedetto Marcello quando ero bambino; ora godo di un’ampia ombra, mentre in viale Belfiore i nuovi tigli sono giovinetti. La rotazione interessa il 2% delle piante ogni anno, prima o poi tocca a tutti lo spiacevole vuoto. Importante è che le nuove piantagioni siano in grado, da adulte, di svolgere le funzioni ambientali di corridoio ecologico, mitigazione climatica, depurazione dell’aria e regimazione delle acque meteoriche; quest’ultima non pare assicurata dall’attuale prevalente sistemazione superficiale dei viali, con asfalto che giunge quasi a cingere i tronchi, mentre sarebbero necessarie ampie aiuole di terra non calpestata, anche a scapito dei posti auto; del resto automobilisti e alberi raramente vanno d’accordo, spesso si lamentano danni per caduta di frutti, melate, ecc….
Al posto delle alberature abbattute si pianteranno giovani esemplari di specie diverse, abbastanza piccoli da poter superare agevolmente la crisi d’attecchimento; mi pare si stia abusando del Pyrus calleryana (F. 4), benefico attrattore d’api durante la fioritura marzolina e splendido nella livrea tardo autunnale; le sue virtù segretamente preferite dai gestori del verde pubblico sono tuttavia la chioma stretta, l’occupare poco posto e aver bisogno di poca manutenzione. Verranno introdotte nei viali anche essenze esotiche sinora confinate a collezioni botaniche.
In pochi casi, motivati dalla coerenza storica e urbanistica, si ripianterà il pino domestico, specie molto soggetta ad essere sradicata dal vento o dal peso della neve, anche quando in buona salute.
Si tratta dunque di una selvicoltura urbana difensiva, centrata sulla sicurezza delle persone e dei veicoli, che di riflesso risparmia spiacevoli procedimenti giudiziari ai tecnici e ai politici di turno. L’esigenza difensiva è una reazione a fatti di cronaca anche tragici avvenuti negli ultimi anni e al mutato paradigma antropologico di molti italiani, che hanno sostituito al concetto di responsabilità quello di imputabilità e che ricorrono facilmente alla giustizia, praticando un’antipolitica giustizialista, peraltro giustificata dalla frequenza dei processi, anche in materia di verde pubblico.
Lo stesso concetto di responsabilità vacilla leggendo le risposte al Corriere Fiorentino della Direzione Ambiente, che lamenta l’insuccesso della piantagione di tigli su viale Morgagni, troppo vicini alle case; chi mai avrà commesso quell’errore, per evitare il quale i cittadini si erano mobilitati inutilmente?
La motivazione difensiva emerge chiaramente nelle interviste rilasciate in questi giorni dall’assessora Bettini, dal prof. Ferrini e, con sfumature minacciose, da Francesco Mati, rappresentante della categoria economica vera protagonista del piano di sostituzione.
D’altro canto ho molti dubbi su come potrebbe funzionare quella selvicoltura d’albero propugnata da comitati di cittadini, che chiedono abbattimenti graduali e la scelta individuale delle piante, il che produrrebbe viali disetanei, “a scaletta”, struttura aborrita dai puristi dell’estetica formale e poco adatta alle specie più esigenti di luce.
*Paolo Degli Antoni
Paolo Degli Antoni
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