Sabato 30 settembre le strade di Dublino sono state attraversate da un grande corteo, popolare, creativo, appassionato. Il corteo va sotto la sigla di #repealthe8th: cancella l’ottavo emendamento.
L’ottavo emendamento della costituzione irlandese proibisce l’aborto.
Insieme alla lotta contro la privatizzazione dell’acqua, quella per la legalizzazione dell’aborto è forse la battaglia più sentita dalla popolazione. Ma anche quella che divide di più. Il campo degli anti-abortisti è agguerrito, organizzato e ben finanziato. E forse è questo ultimo elemento che dovrebbe attirare di più la nostra attenzione. La lotta per l’aborto legale non è certo una questione di classe: il campo è eterogeneo e comprende anche molti credenti. Ma è organizzato dalle associazioni della società civile e le forze popolari. La reazione – perché di questo si parla – svela invece il rapporto di classe che si cela all’interno della battaglia. La primavera scorsa, sempre a Dublino, ci fu una grande manifestazione degli anti-abortisti, che si fanno chiamare arrogantemente “pro-life”. Interi pullman vennero noleggiati. I bambini venivano fatti marciare con cartelloni raffiguranti la Madonna o il Cristo crocifisso. Associazioni ecclesiastiche d’oltreoceano, prevalentemente Boston e New York dove l’emigrazione irlandese è più corposa, hanno fatto arrivare un fiume di soldi in sostegno della causa anti-abortista. L’Irlanda diventa quindi terreno di battaglia strategico, dove forze reazionarie, anche globali, si uniscono per mantenere il controllo sulle popolazioni.
Ed è qui che si può inserire qualche riflessione che vada oltre al solo aborto. Ma che riguarda l’Irlanda in generale: una terra di provincia e un laboratorio politico. Lo scoppio della bolla finanziaria e del settore dell’edilizia portò l’Irlanda a perdere la propria sovranità nel 2010, accettando il governo della Troika (Fmi, Bce, Ue). Il caso irlandese fu poi portato come esempio degli effetti positivi della cura Troika: il debito fu quasi abbattuto e il PIL tornò a crescere. In realtà quella che venne definita una cura di successo nascondeva un’altra verità. Il traino del PIL furono i brevetti sulla proprietà intellettuale e la decisiva presenza di grandi aziende, quali Apple, Facebook, Google, Amazon e altre. Il segreto? Una tassazione ridicola sulle attività produttive (12,5%), che quindi ha invogliato le grandi aziende a fatturare in Irlanda piuttosto che altrove. Il risultato? Una continua privatizzazione e prezzi alle stelle a fronte di servizi decisamente non invidiabili. Tradotto: la ripresa economica dell’Irlanda è basata sull’esproprio economico dei cittadini.
Ma la strategia irlandese è per natura perdente, poiché si pone un intero paese sotto il ricatto costante delle grandi imprese estere: se si aumenta la tassazione, loro spostano la sede, e la crescita del PIL torna a scendere. Cosa c’entra tutto questo con l’aborto? Il primo punto è che in Irlanda si assiste ad un’alleanza globale delle forze reazionarie: il conservatorismo legato alla Chiesa e l’accumulo di capitale delle multinazionali. Questo fa del paese un terreno strategico. In fondo è nelle periferie che si assiste alle maggiori contraddizioni. Le periferie sono luoghi non saturi, quindi spazi di possibile colonizzazione e riproduzione del capitale. Il secondo punto riguarda la lotta per l’appropriazione del proprio corpo come base materiale per un’appropriazione della propria vita sociale e politica. Tanto le forze conservatrici degli anti-abortisti, quanto quelle del capitale globale si fondano sull’idea dell’esproprio della capacità di decidere per sé. Per questo, la lotta per l’aborto in Irlanda non dovrebbe esser lasciata sola: pro-choice significa scegliere, non solo sul proprio utero, ma sulla propria vita.
Infine, lo sforzo organizzativo delle forze conservatrici, ben al di là della sola Irlanda, nel cercare di difendere l’illegalità dell’aborto ricorda che i diritti non sono mai conquistati una volta per tutte. Oggi in Irlanda i conservatori provano a compattarsi e resistere. Domani potrebbero tornare all’attacco lì dove ieri hanno perso i loro privilegi. Per questo la lotta del popolo irlandese non dovrebbe essere lasciata sola. Messaggi di solidarietà sono giunti da Canada, Francia, Belgio, Germania. Nemmeno uno dall’Italia. E pensare che gli Irlandesi amano l’Italia! La conoscono, la frequentano, la stimano. Oggi hanno bisogno di sentire la solidarietà anche dell’Italia. Il carattere isolano del paese aiuta a costruire l’isolamento: un isolamento nel quale portare avanti il laboratorio politico conservatore-neoliberista nella periferia d’Europa.
Oggi sono le donne, domani i lavoratori. #repealthe8th!
*Francesco Ventura
Francesco Ventura
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