Maccheroni alla chitarra

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Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che prende su di sé i peccati del mondo: in questa piccola frase si uniscono 2 mondi: antico e nuovo testamento, il sacrificio e colui che si sacrifica. E, quando parliamo di sacrificio, la cosa da immolare deve essere simbolicamente molto vicina a chi compie il rituale, in particolare l’animale che provoca più empatia, quella stessa empatia che ingigantisce la repulsione verso l’atto della sua consumazione da parte di ogni vegetariano.

Sicuramente mangiare oggi, l’agnello a Pasqua, ha un significato meno religioso, lontano da un’idea di Agnus Dei, atto però sensibile ad un bel giro di soldi basato su una consuetudine senza nessun rimando al senso originario. Se lo volete cucinare ugualmente, e proprio in questo periodo, sapere il perché, non sarebbe una cattiva idea.

Io laicamente propongo un’altro “ingrediente” senza per questo voler compromettere il rito personale di ognuno, proprio per sottolineare i grandi viaggi di “rituali” percorsi nel tentativo di riconoscersi umani. Il grano, elemento al centro di uno dei rituali più importanti dell’antica Grecia: i Misteri Eleusini.

In questo caso, oltre all’ingrediente principale, una parte non secondaria la gioca “l’attrezzo” abbastanza non comune, allargando l’ambito di riferimento verso quella cultura materiale popolare sempre più minacciata da una globalizzazione che appiattisce tutto. Comunque una chitarra da maccheroni si può acquistare in quei negozi di casalinghi un po’ più forniti con una cifra intorno ai 20 Euro.

Siamo negli Abruzzi e sappiamo che, circa nella seconda metà del 1700 fu inventato un attrezzo chiamato “Maccharunare”, praticamente un telaio di legno rettangolare sul quale, nei lati paralleli più lunghi, vengono tesi sottili fili di metallo (rame oppure di ottone) distanziati tra loro 3 mm. Non abbiamo fonti documentali che attestino il perché della realizzazione di questo attrezzo. Si pensa che ad alcuni “maccharonari”, vedendo i telai usati per essiccare i maccheroni, sia venuta l’idea di realizzare appunto il Maccharunare che nel Pescarese, prende il nome di “Carrature” (da una declinazione dialettale abruzzese del francese “carrer”: squadrare regolarmente, lasciata dalla presenza francese in Abruzzo nella seconda metà del 1700).

Ci sono documenti notarili nei quali si è riscontrata la presenza (1779) di “un maccharonaro con corde di ottone stimato carlini 6”, mentre nel 1871 lu Carrature è presente nella dote di una sposa di Penne. In definitiva, questo nuovo strumento sostituì il Ruzzolo utilizzato per preparare i maccheroni a lu Rentrocele.

Il Maccharunare serviva a confezionare dei maccheroni ottenuti con la farina di grano duro impastata con acqua e uova, che venivano anche detti “maccharuni mezz’acque e mezz’ove”. L’impasto veniva spianato con un matterello fino allo spessore di 2 mm, la stessa distanza che intercorre tra un filo e l’altro: questo consentiva di ottenere dei maccheroni a sezione quadrata. Si tagliavano delle sfoglie della stessa grandezza del Maccharunare. Queste ultime venivano stese una per volta sui fili e facendo pressione con il mattarello e passando un dito sulla sfoglia tagliata alla base del Maccharunare come “suonando un arpeggio”, si lasciava cadere la pasta completamente tagliata.

Ma allora come veniva preparata all’inizio del 1500, in Abruzzo la pasta chiamata “Maccheroni a lu Rentrocele”? Questi maccheroni erano preparati con farina di grano duro, e impastati con gli albumi. Si stendeva poi la sfoglia di uno spessore di 3 mm e su di essa si passava un mattarello di ferro dentellato chiamato “Ferro per maccheroni” o “Ruzzolo” facendo pressione; si otteneva così una specie di tagliatelline chiamate Maccheroni a lu Rentrocele. Sembra che il nome di Rentrocele derivi proprio da questo movimento rotatorio compiuto dall’attrezzo sulla sfoglia, per tagliarla.

Per cui il Maccharunare sostituì il Ruzzolo utilizzato per preparare i maccheroni a lu Rentrocele, ma (forse verso fine del 1800?), cominciò ad essere chiamato Chitarra, è scritto nel “Vocabolario dell’uso abruzzese” di Gennaro Finamore del 1893, dove si legge “Catarre o Chetarre”. Alcuni pensano ad una somiglianza allo strumento musicale ma un bello studio porta rimandi linguistici che introducono etimologie che vanno da: kithár-a, oltre a ‘cetra’, significa anche ‘cassa toracica, a Gitter ‘inferriata- cancello’, a Gatter ‘recinto, steccato, cancello’, al il verbo gather ‘raccogliere, raccogliersi’, oltre all’avverbio to-gether ‘insieme’ e altre ancora.

Comunque si tenga conto che lo stesso tipo di pasta è chiamata tonnarelli in Lazio, troccoli (o torchioli o truoccoli) in Basilicata e Puglia settentrionale (sono perlopiù diffusi nella Daunia, ovvero nella provincia di Foggia), ma anche maccheroni crioli in Molise.
Diciamo per 4 persone

400 gr di farina di grano duro (o 200 gr di “0” e 200 gr duro)
4 uova

Versate la farina a fontana su una spianatoia infarinata, fate il classico buco al centro e mettete nel mezzo le uova che avrete aperto a parte (questo vi consentirà, se ce ne fosse bisogno di buttare via uova difettose e altre impurità), aggiungete una presa di sale e iniziate ad impastare fino a formare un impasto omogeneo, elastico e senza grumi e lasciatelo riposare coperto per un’ora e mezza. Ora stendete l’impasto con l’aiuto di un mattarello arrivando ad uno spessore di circa 5 mm e tagliate in sfoglie rettangolari un poco più corte della lunghezza della chitarra. Questo perché pressando poi con il mattarello sopra i fili la pasta si distende ulteriormente e rischia di fuoriuscire dal telaio. Pigiate bene in modo da tagliare la pasta in un unico passaggio. Man mano che tagliate i maccheroni alla chitarra, adagiateli sopra un vassoio infarinato.
I condimenti a vostra scelta

 

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Barbara Zattoni

"Cheffa" del Ristorante Pane e Vino, autrice di libri di cucina e altro (La cucina del riuso - Il libro dei dolci) e modista. Ha collaborato con perUnaltracittà al ciclo d'incontri "Europa tossica". Attualmente insegnante di cucina a Cordon Blue e chef a domicilio. Il suo sito internet

1 commento su “Maccheroni alla chitarra”

  1. Paolo Degli Antoni

    Per chi ha una spiritualità animista, la sintonizzazione col plenilunio di primavera (quest’anno il 31 marzo) si facilita con la ripresa della fertilità animale (le uova della ricetta di Barbara) e con i germogli vegetali, asparagi innanzitutto, effettivamente presenti su tante tavole pasquali anche in abbinamento con le uova

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