C’è una differenza fondamentale tra la ruspa di Matteo Salvini e quella del sindaco di Firenze, Dario Nardella. Il primo la evocava quando era ancora solo segretario della Lega e non aveva alcun potere di andare a sgomberare alcunché salendoci sopra. Il secondo, nel pieno esercizio dei suoi poteri, si lascia riprendere in video mentre è in atto lo sgombero di un’area privata vicino al Poderaccio, quel disgustoso e inumano ammasso di legno e ferraglia, rifugio, al 18 giugno, di 243 persone tra cui 93 minori. Il punto non è eliminare quella baraccopoli ma tollerare che esista roba così e non preoccuparsi minimamente del destino delle persone che vi abitavano.
L’articolo prosegue dopo il video di Nardella con la ruspa
Ormai la ruspa fa parte dell’immaginario passato dei fans, sempre più numerosi, di Salvini. Ma era una ruspa presente solo negli slogan e sulle felpe. Anche quando un paio di volte il leader della Lega si è fatto fotografare su di una ruspa, quel macchinario era fermo, era stato portato nei pressi del luogo destinato ad un comizio, dai suoi supporter. Non era un’idea sua, avercela fisicamente lì. Quella di Nardella è una ruspa vera, che fa cronaca, non solo retorica da propaganda.
Che cosa succede, a livello di consenso e di opinione pubblica, allora, adesso che quella ruspa ha preso corpo dentro a quello che tutti purtroppo definiscono ‘campo rom’ (noi naturalmente preferiremmo al massimo ‘campo nomadi’)?
La posizione di Salvini, viene da sé ne esce incredibilmente rafforzata. Il Salvini della rincorsa al Governo del Paese evocava diabolicamente la ruspa, accostandola sempre al termine ‘rom’. Lo slogan efficace per le turbe xenofobe, era: “la soluzione ai campi rom è la ruspa”. Fa orrore immaginare a quanti pezzi interi della popolazione italiana, ascoltando quella frase abbia suscitato l’idea di un olocausto. Quelli da sgomberare con la ruspa sarebbero state proprio le persone, i maledetti ‘rom’, altro che baracche. Per i benpensanti rimanenti, per lo più attivi sulla carta stampata, la ruspa di Salvini era solo un modo per dire che qui campi dovessero essere rasi al suolo.
Il Salvini ministro si è poi ben guardato dal rievocare ruspe, schiacciasassi, asfaltatrici. Guarda oltre, e, su quel tema, vivrà alla grande di rendita per i prossimi 10 anni.
Arriva poi Nardella. E gli effetti, per chi guarda quel video, a questo punto possono essere due. Il primo, in gran parte più diffuso: “Salvini allora aveva ragione quando evocava le ruspe per i campi rom. Perché indignarsi tanto? Il sindaco di Firenze ora non fa altro che imitarlo”. L’altro, minoritario, ma che esiste: “ecco un altro che pensa di prendere voti con la ruspa”. Messi alle strette, nel segreto del voto, chissà quanti fiorentini a questo punto opteranno, è proprio il caso di ripeterlo, per l’originale invece della fotocopia.
E a quella minoranza che comunque si inorridisce tanto per la ruspa di Salvini quanto per quella di Nardella e ritiene che si tratti di una strumentalizzazione della vicenda del povero Duccio Dini? Non c’è risposta, al momento. Sconcerto, rabbia, rassegnazione. La sensazione che quella dei ‘rom’ sia una questione che scarica nel razzismo e nella guerra all’ultimo tutti i giganteschi problemi di questo Paese che sta scivolando via via, in termini sociali ed economici, verso il Maghreb.
Ma chi lo spiega più che ‘rom’ è un’etnia e non un sostantivo per indicare ‘nomade’. Chi glielo spiega che i due assassini di Duccio erano di nazionalità macedone, non ‘rom’? Chi glielo spiega, quando Salvini pretende un ‘censimento’, che i rom non rappresentano che lo 0.23% della popolazione italiana; e che il 90% di loro vive, lavora, paga le tasse, ha spesso la nostra nazionalità, per la soddisfazione di ogni leghista che (non) si rispetti? Certo non loro, visto che non hanno potuto prendere parola neanche alla manifestazione di piazza Ognissanti chiamata paradossalmente dallo stesso Nardella.
La democrazia italiana è monca, c’è la destra e non c’è la sinistra, e ogni clone di Salvini non fa altro che portargli voti.
Marco Bazzichi