Cronache dalla Firenze in decomposizione. Colpa dei “negri”, naturalmente

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Vengo a sapere che a Firenze è stato ammazzato di nuovo un senegalese un’ora dopo il fatto. Riesco a raggiungere la comunità senegalese e lo sparuto gruppo di italiani antirazzisti con loro solo alle 17 e trenta, dopo il lavoro. Una delegazione è stata ricevuta dall’assessore comunale al welfare Sara Funaro: in Piazza Signoria c’è disperazione, si piange, c’è rabbia. Il sindaco Dario Nardella non si vede e non si vedrà per tutto il lunedì, al contrario di quel che dicono i giornali. Dopo 2 ore di attesa che la delegazione torni in piazza si viene a conoscenza delle gravissime parole di alcuni soggetti istituzionali: “Nardella non si disturba per queste cose”. L’attesa snervante, lo sberleffo di Nardella e la tensione fanno scoppiare la scintilla: il presidio si agita, vedo partire un corteo spontaneo, forse verso la Stazione.

“Ancora una volta ci dicono che è un pazzo: ma non è un pazzo, è un razzista!” grida qualcuno. “Ci trattano come bestie ogni giorno, ci picchiano, ci sparano: siamo umani!” risponde qualcun altro. E in questa fase, mentre cerco di stare al passo di un corteo nervoso, che vengo a sapere che Idy Diene, il signore di 54 anni ucciso, era il secondo marito di Rokhaya Mbengue, già vedova di Samb Modou ucciso da Gianluca Casseri, il fascista di Casapound, in Piazza Dalmazia nel 2011. Vedova due volte per razzismo. Capisco allora quanto devono essere suonate violente le parole di una Funaro impegnata più a ribadire che Firenze è antirazzista e aperta e che Roberto Pirrone, l’omicida di Idy, sia solo l’ennesimo pazzo. “In Italia è stata fatta una campagna elettorale razzista, di odio e di paura e i partiti che l’hanno fatta hanno preso moltissimi voti: non ci sentiamo sicuri, abbiamo paura. Adesso basta”. Adesso basta, davvero.

Attraversiamo il centro di Firenze circondati da insulti e stupore: “Bestie!”, “Tornate a casa”, “Meno uno. Evviva!”. Qualcuno non capisce, non tutti sanno cosa è successo la mattina: spieghiamo a chi possiamo la cosa, qualcuno capisce e si ammutolisce, per molti il “meno uno” resta la risposta valida. Il clima è pessimo: un giornalista 50enne si avventa, afferrandola per la gola e sbattendola a terra, su una ragazza minorenne colpevole di aver chiesto di non riprendere. Un compagno ci raggiunge piangendo quando siamo già alla Stazione: era sull’autobus e ha osato dire che fa schifo sentire ripetere “che hanno fatto bene a farne fuori uno”. E’ finito circondato e insultato da dieci persone. Le ormai mitiche “fioriere rotte” si insinuano lentamente nel dibattito pubblico come vittime principali della giornata.

Sembra incredibile, ma i giornalisti locali (a parte rari e coraggiosi esempi) il giorno dopo raccontano una realtà rovesciata, dove Nardella ha incontrato la comunità senegalese e dove sparare e uccidere qualcuno viene messo allo stesso livello di spaccare due fioriere. Inizia una criminalizzazione acritica di ogni reazione, una sparatoria al pari di una reazione di rabbia provocata dalla paura, dalla disperazione e dal menefreghismo del Sindaco, l’omicidio scompare e lascia il posto al Je suis fioriera. Perché il razzismo, quello vero, dà più valore ai vasi che alla vita umana.

Il presidio del pomeriggio di martedì è di nuovo teso e quando Nardella si presenta, finalmente, la comunità senegalese (e non solo) non è compatta, qualcuno (forse con la memoria lunga che ancora ricorda la copertura che Comune e Regione offrirono a Casapound derubricando Casseri a semplice “pazzo” o forse per il disinteresse mostrato il giorno prima) non reagisce bene alla sua presenza. Il presidio gli fa notare che sarebbe bastato un segnale solidale da lui e quindi da tutta Firenze. Il clima è teso, ma uno sputo cancella ogni contesto e trova il perfetto capro espiatorio per ogni male: l’antagonista, figura mitologica utile a non pensare mai ai perché, alle cause delle cose. Così di nuovo la notizia del giorno diventano, dopo le fioriere, lo sputo a Nardella: finisce che la comunità senegalese, da vittima a cadenza regolare di morti ammazzati, diventa colpevole del grave affronto delle fioriere e decide addirittura di frugarsi in tasca per ripagare quei maledetti vasi antiterrorismo, mentre nel frattempo organizza il funerale di Idy Diene.

Finisce così che per un pezzo di comunità senegalese la paura di “incidenti” diventa così paralizzante da rischiare di tarpare le ali all’organizzazione del necessarissimo corteo solidale e antirazzista. Tutto questo mentre va in onda il Nardella show, il quale, durante la trasmissione “Il ponte del dolore”, dimentica molto velocemente il dolore, e, assieme agli altri ospiti in studio, sposta tutto il discorso sul “problema immigrazione” anziché sul problema “razzisti che sparano ai migranti”, facendosi scappare detto perfino che il Pd “si è occupato troppo di accoglienza e poco di sicurezza”: evidentemente il 9% di voti passati dal Pd alla Lega [Indagine Ixè per FirenzeToday] devono aver convinto i “democratici” a inseguire Salvini. I migranti finiscono da vittime a colpevoli, paura su paura, in una città che nasconde dietro la “pazzia” tutte le sue magagne, tutto lo schifo sotterraneo, tutto il razzismo strisciante, tutto l’odio e l’insofferenza.

Si è voluto negare fino all’8 marzo che quello di Pirrone fosse un atto razzista, lui stesso lo ha ribadito mille volte, eppure, piano piano si scopre che Pirrone, oltre ad avere una grande passione per le armi, amava fare battute sul suo profilo Facebook: foto di fette di prosciutto appoggiate sulle maniglie delle porte commentate con “Antifurto per musulmani”. Oggi, dall’analisi degli elementi in mano agli inquirenti sono uscite conferme dello sfondo razziale: le telecamere mostrano come Pirrone abbia percorso 500 metri da casa sua fino al Ponte Vespucci, di come abbia saltato ogni bianco incontrato, risparmiato una donna con un bambino in braccio ​e poi un uomo bianco, ​e poi abbia sparato 5 colpi contro Idy, due andati a vuoto, 2 tra braccio e spalla, quindi il fatale dritto alla testa.

Ma Pirrone è quindi un fascista alla Traini? Un Casseri 2?

Sarebbe assolutamente sbagliato definirlo tale. Non era legato ad alcuna realtà organizzata fascista, ma da qualche mese aveva deciso di comprarsi un’arma. Sappiamo anche che è indebitato fino al collo e che lunedì mattina ha deciso di uscire di casa per suicidarsi per la disperazione, poi non ha avuto il coraggio, quindi ha optato per finire in galera ammazzando “il primo che passa”, guarda caso Idy. Pirrone è probabilmente l’espressione della “guerra tra poveri” più evidente degli ultimi mesi. Pirrone non incolpa lo Stato della sua condizione economica, non incolpa chi ci affama e ci sta facendo pagare la crisi continuando a guadagnare, ma incolpa se stesso e si convince che suicidarsi è l’unica strada. Non lo fa, ma comunque lo sfogatoio della sua ira, della sua frustrazione, la “scusa” per andare in galera assume la forma di un 54enne senegalese: razzismo di riflesso, culturale, inconsapevole potremmo definirlo. Perchè nel brodo propagandistico di rabbia e odio, di bombardamento ossessivo di fatti di cronaca (nonostante i reati siano in diminuzione , di guerra ai poveri, di vendetta e meschinità e egoismo nel quale giornalisti, politici, opinion leader e social ci fanno ormai vivere, il problema non è chi ti affama, ma l’affamato. E probabilmente Pirrone avrebbe potuto uccidere anche un rom o magari un senzatetto, anche italiano, perché ci stanno abituando a colpi di propaganda che ci sono vite di serie A e vite di serie B e che le condizioni materiali sempre peggiori delle nostre vite sono colpa delle vite di serie B, parassiti, usurpatori, delinquenti, incivili. Sia mai infatti che ci venga in mente di prendersela con chi ci sottrae diritti e distrugge lo stato sociale a colpi di interessi versati alle banche.

E’ il risultato migliore e compiuto del Governo della Paura, trasversale ad ogni Partito di quelli che contano, che criminalizza una fioriera rotta come un affronto satanico, ma fa schizzare al 20% i consensi della Lega a Macerata. Perché una fioriera rotta è inaccettabile, giocare a sparare ai migranti è “tutto sommato comprensibile perché non se ne può più”. E qualche sputo alla razzistissima Meloni costa a Livorno 20 denunce e una macchina del fango da Istituto Luce, uno sputo a Nardella 3 denunce e nuova macchina del fango, mentre per Traini si parla di “gesto eroico”, c’è chi si offre di pagare le spese legali, mentre il Ministro dell’Interno Minniti si lascia sfuggire che “lo aveva previsto” per questo ha deciso di inondare dei nostri soldi bande criminali libiche per aprire lager anti-negro dove la tortura è ben testimoniata, invece che chiudere le organizzazioni fasciste e razziste.

Sarebbe ipocrita non dire anche che l’autoritarismo e il razzismo si stanno costruendo pezzo pezzo con l’assoluta complicità dei media mainstream, con la loro menzogna sdoganata e con un totale asservimento alla propaganda razzista. Da due giorni infatti il problema a Firenze sono “le violenze”, “gli antagonisti”, “gli sputi” e non lo scivolamento nel razzismo e nell’odio di una città come Firenze, storicamente solidale e antifascista. Da anni invece chi come noi scende in piazza contro tutte le leggi che ci hanno affamato, tolto la salute, la scuola, la casa, chi come noi sostiene i lavoratori, difende le famiglie sotto sfratto, si sente accusato di “apparire solo quando ci va di mezzo un nero”, di essercene fregati di Pamela (mentre Jennifer, ammazzata a Milano il giorno dopo da un italiano non figura mai nei discorsi), perchè l’Ordine dei Propagandisti ha deciso di parlare di noi solo quando ci sono tensioni, dipingendoci come macchiette, negandoci la complessità e la vastità di ciò che siamo e che facciamo. D’altronde sembra essere molto pericoloso affermare che l’unica sicurezza è quella sociale e non quella delle telecamere e delle armi.

A lunghi passi cavalchiamo verso una svolta razzista strisciante ma di massa: su questo va detto che Casapound e Forza Nuova, che non dovrebbero neppure esistere, non sono in grado di costituire una minaccia reale quando ci sono interi Governi e Partiti da doppie cifre di consensi elettorali che spingono per la fascitizzazione di massa, prima culturale e che poi comincia a dare segni nei meccanismi imitativi. La prima mano che si è armata ha fatto da precedente e ora è impossibile dire se l’ondata imitativa sarà controllabile o meno.

Ci aspettano anni bui, dove rivendicare umanità, dove rivendicare il coraggio di ribellarsi contro chi ci affama sarà motivo di criminalizzazione e di reato. La guerra tra poveri è arrivata a compimento a livello culturale e non ci sono vaccini, se non un lungo lavoro di ricostruzione di legami di solidarietà, culturali e di contrasto aperto alla narrazione del povero e non della povertà come vero nemico. Per questo abbraccio la comunità senegalese tutta, perchè forse non è scontato e tocca ribadirlo: ci sono italiani antirazzisti, ci sono italiani solidali, ci sono italiani che non vi lasceranno soli. E’ stato diffuso un Iban per sostenere la famiglia di Idy, che ha dieci figli in Senegal: sosteniamoli con un pò di aiuto economico, facciamo sentire la Firenze Solidale e Antirazzista.

Causale: In memoria di Idy
IBAN IT48M0760105138259708359713

Mi carico con Gramsci, in questi giorni così difficili: me lo immagino di là dalle sbarre fasciste, piegato dal dissesto fisisco a scriverci “Mi sono convinto che anche quando tutto sembra perduto bisogna mettersi tranquillamente all’opera ricominciando dall’inizio”.

Sabato in piazza 15.000 persone hanno ignorato i Padroni della Paura e hanno ricominciato, tranquillamente e determinati. Noi con loro.

*Ilaria Mugnai, detta La Norma

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Ilaria Mugnai

Lavoratrice precaria, attivista militante delle Brigate di Solidarietà attive con esperienze nelle lotte: dai collettivi studenteschi, all’emergenza abitativa, al mutualismo.

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