In alcune circostanze le presenze criminali possono presentare modalità di mimetizzazione e specifici elementi di contesto possono contribuire a rendere efficace questa modalità. Negli scorsi appuntamenti abbiamo sottolineato come l’attenzione sulle attività, formalmente legali o illegali, di gruppi cinesi abbia contribuito, secondo la nostra ricerca, a sviare l’attenzione da altre pratiche illegali e mafiose, che pure caratterizzano la realtà pratese.
Soffermiamoci sul contesto. Oltre agli elementi già considerati, quali sono le caratteristiche criminali dell’area? Quali i gruppi e quali le attività?
Possono essere utili due riferimenti preliminari al contesto pratese. Il primo, di carattere sociografico, riguarda il rapporto tra territorio e popolazione residente: la provincia di Prato è la seconda più piccola per estensione territoriale e numero di comuni (dopo Trieste) e, al contempo, la provincia toscana più densamente popolata. Su questo territorio relativamente circoscritto convivono, secondo magistratura e forze dell’ordine, diversi esponenti e gruppi criminali.
Il secondo elemento è di natura geo-politica: fino agli anni novanta quest’area è la periferia della provincia di Firenze. È ipotizzabile che in questo periodo il territorio sia stato, dal punto di vista criminale, poco «attenzionato» dalle agenzie di contrasto e che alcune presenze criminali siano passate inosservate.
Tornando alle caratteristiche criminali, distinguiamo le presenze mafiose registrate a Prato in due tipi. Nel primo tipo rientrano quei gruppi che nel territorio pratese svolgono soprattutto attività predatorie, si tratta dei clan dei Terracciano – di cui abbiamo accennato anche nelle scorse uscite – e dei D’Innocenzo. Il secondo tipo di presenza, invece, si caratterizza principalmente per la centralità delle attività imprenditoriali svolte. I gruppi cinesi, descritti in precedenza, e due clan di camorra rientrano in questa seconda modalità di presenza. Ci soffermiamo sul primo tipo, rimandando l’approfondimento ai clan di camorra ai prossimi appuntamenti.
I fratelli Terracciano, Carlo e Giacomo, originari di Pollena Trocchia, provincia di Napoli, arrivano a Prato negli anni novanta a seguito di una misura di sorveglianza speciale. Qui cercano di riprodurre lo stesso tipo di presenza del contesto di origine, con cui c’è un rapporto costante e continuativo, che consente loro di disporre di ingenti capitali.
La continuità è evidente anche dai campi di attività in cui inseriscono in Toscana in un’ampia area che da Firenze arriva alla provincia di Lucca. In questa zona, con metodi violenti, si impossessano di una serie di attività imprenditoriali ed economiche (in particolare nel settore dei locali notturni e della ristorazione), si occupano dello sfruttamento della prostituzione attraverso i canali dell’immigrazione irregolare, la gestione del gioco d’azzardo e l’usura, disegnando così un tipo di presenza che possiamo definire, appunto, predatoria. Come risulta dal materiale giudiziario, dell’organizzazione fanno parte anche prestanome, cogestori di locali e liberi professionisti a cui vengono richieste consulenze di natura giuridica e operativa. Come già indicato in un contributo precedente, il notevole patrimonio accumulato negli anni di attività è stato più volte colpito da sequestro e confisca.
Sempre nell’ottica della definizione iniziale, rientrano le caratteristiche dell’organizzazione, omertà e intimidazione esercitata anche ribadendo le relazioni familiari e i trascorsi nel gruppo Nuova Famiglia del clan Cutolo. Infine, le indagini della Finanza hanno permesso di accertare il vero e proprio «terrorismo psicologico» a cui erano sottoposte le vittime di usura che non riuscivano a pagare e che erano costrette, spesso con la violenza, appunto a cedere la proprietà di beni mobili ed immobili, sfruttando anche la presenza e la notorietà del presunto boss Giacomo Terracciano.
Di recente, dal gennaio di quest’anno, il clan è protagonista di uno dei processi con più imputati, dove sia contestata l’accusa di 416 bis (associazione mafiosa), celebrati in Toscana. Si contano infatti 52 imputati, per 16 dei quali vi è l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, anche armata, con reati come usura, estorsione, scommesse clandestine, sfruttamento della prostituzione, riciclaggio.
Diversa la situazione nel caso dei D’Innocenzo. Principale protagonista delle vicende giudiziarie è un imprenditore originario di Calvi Risorta (provincia di Caserta), vicino a due clan casertani. Dagli anni ottanta il gruppo D’Innocenzo finanzia, attraverso prestiti usurari, imprese in difficoltà e in alcuni casi entra in società con i proprietari delle aziende, fino a estrometterli del tutto facendo ricorso ad azioni violente.
Le indagini si avviano dalla denuncia di un imprenditore della provincia di Firenze, ma rivelano presto il ruolo del gruppo anche in alcune ditte tessili pratesi. Attualmente il processo è in corso, dopo il rinvio a giudizio del Gip del 2015 per associazione a delinquere aggravata da metodi mafiosi.
*Graziana Corica e Rosa Di Gioia
Graziana Corica Rosa Di Gioia
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