In Italia il consumo di suolo è una piaga che sembra inarrestabile: nonostante la crisi, si continuano a perdere circa 50 kmq di terreni liberi l’anno, circa il doppio della media degli altri paesi UE. Questo equivale a cementificare ogni due ore un’area grande come piazza Navona, nonostante le decine di migliaia di capannoni e appartamenti inutilizzati presenti su territorio nazionale. I comuni continuano a mettere mano a strumenti urbanistici in cui aree agricole o semi-naturali diventano terreni edificabili la cui destinazione d’uso è assolutamente incoerente con le reali esigenze della popolazione che abita quei territori, smascherando così quanto questi interventi siano funzionali esclusivamente alla speculazione edilizia.
Per anni la spesa corrente dei bilanci comunali è stata finanziata con gli oneri di urbanizzazione, che dovrebbero invece servire a realizzare gli spazi pubblici e a uso pubblico (strade, piazze, parchi, etc.) giustificando così gli appetiti degli immobiliaristi il cui unico scopo era fare affari senza alcuna attenzione al territorio. A questa pratica si sono aggiunti dispositivi, tra i quali i diritti edificatori, la perequazione, la compensazione, che hanno sostanzialmente permesso ai comuni di concedere quantità di edificazione non necessaria e spesso in deroga ai piani, collocabili dagli operatori immobiliari in qualunque parte del territorio comunale o metropolitano, per investire dove le condizioni sono per loro più vantaggiose. Di fatto, si considera il suolo, bene comune da amministrare con parsimonia data la sua scarsità, una merce.
Nuove minacce arrivano dallo Sblocca-Cantieri (ora Legge n. 55/14 giugno 2019) voluto da Lega e M5S, forse la più grave deregolamentazione concepita dai tempi dello Sblocca Italia di Renzi. Con questo provvedimento, regole, trasparenza e vigilanza nel settore degli appalti pubblici diventano inutili ingombri. Non solo si aprono nuove porte alla corruzione e all’infiltrazione mafiosa, ma si compromettono ulteriormente la qualità e l’utilità delle opere realizzate che si tradurranno in gravi e pesanti costi economici e ambientali per la collettività.
Attualmente sono all’esame delle commissioni parlamentari numerosi disegni di legge in materia di consumo di suolo, che dovranno essere sintetizzati in un testo unico. Il problema è che tali disegni parlano semplicemente di “contenimento”, “riduzione”, “limitazione” o “contrasto” del consumo di suolo. Per Potere al Popolo l’unica strategia percorribile è bloccare subito e completamente il consumo di terreni agricoli e procedere alla messa in sicurezza dei territori nonchè al miglioramento delle loro qualità ambientali, sociali e paesaggistiche.
L’obiettivo è zero consumo di suolo, che significa impedire già da subito l’edificazione e la cementificazione delle aree naturali e agricole senza nessuna eccezione e utilizzare per i bisogni della collettività solo il patrimonio edilizio e infrastrutturale inutilizzato. Purtroppo per fare ciò non esiste una legge su piano nazionale idonea. Infatti l’unica normativa in vigore risale al 1942; nel frattempo regioni ed enti locali hanno sviluppato autonomamente le proprie normative andando spesso ad inseguire gli interessi dei cementificatori.
Non possiamo accettare che il nostro futuro sia trattato come una merce e permettere che i diritti ambientali ed umani, da quello della salute a quello dei beni e servizi fondamentali, siano subordinati alla logica della speculazione edilizia e del profitto.
*Potere al Popolo!
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