Le dichiarazioni del sindaco Dario Nardella sulla volontà di candidare Firenze e Bologna per le Olimpiadi del 2032 lasciano interdetti sul momento, tanta è la stramberia della proposta; poi però quando si vede come la proposta è incensata dalla stampa e quando ci si rende conto della consistenza dello stormo di amministratori entusiasti di tutti i colori, in tutta la Toscana e in Emilia-Romagna, allora si comincia a sospettare che qualcosa di sinistramente concreto potrebbe esserci dietro questa battuta settembrina.
Certamente i padroni del cemento in Confindustria e gli albergatori si spellano le mani nell’applaudire per la ghiotta occasione che si presenta pensando ai milioni di turisti sportivi che invaderanno la città e ai miliardi di euro che pioveranno su una economia asfittica e senza idee.
Meno male che le parole di Nardella a Firenze, cui fanno eco quelle del sindaco bolognese Virginio Merola, siano solo un flatus voci. Firenze non ha le infrastrutture adatte ad ospitare eventi come quelli di una olimpiade. Nemmeno Bologna. Bisognerà che questi eroi degli spot elettorali se ne facciano una ragione. Il problema rimane quello della cittadinanza, in buona parte illusa e speranzosa da dichiarazioni che come minimo rappresentano un’arma di distrazione di massa o la promessa, in cattiva fede, di una panacea per tutti i mali della città.
A meno che non si pensi alla realizzazione ad una serie di infrastrutture per lo sport totalmente nuove, il che sarebbe miele alle orecchie dei costruttori e un disastro per una città satura come Firenze. Sarebbe certamente un impulso aggiuntivo alla perversa volontà di realizzare un nuovo aeroporto in una Piana che non ha posto e un sottoattraversamento ferroviario in cerca di guai (i danni agli edifici interessati sarebbero notevoli).
Ma Nardella offre sempre il suo volto ottimista e vuol ignorare – o forse ignora davvero? – che dove si sono fatte le ultime Olimpiadi è sempre stato un disastro economico, oltre che urbanistico.
Il disastro economico e finanziario della Grecia pare proprio iniziato con i lavori delle Olimpiadi del 2004, quando non si badò a spese per costruire nuovi impianti, enormi infrastrutture ricettive, costi per la sicurezza altissimi. Si pensava ai ritorni di immagine e di far della Grecia un paradiso del turismo. Molti osservatori notano come fu da lì, dai Giochi olimpici, che iniziò il declino greco poi spietatamente sancito da un’Unione Europea miope ed egoista a guida tedesca.
Per un elenco completo dei disastri olimpici si rimanda alla ricerca “Going for the Gold: the economics of the Olympics” di Robert Baade e Victor Matheson pubblicata dal Journal of Economic Perspectives (2016), riassunta nella tabella sopra.
Basta comunque restare in Italia e approfondire cosa sono state per il Piemonte e Torino le Olimpiadi invernali del 2006. Il giorno precedente la manifestazione di inaugurazione alcune centinaia di manifestanti avevano profeticamente portato in corteo nel centro uno striscione con la scritta “Torino 2006, devastazione e saccheggio” in mezzo ad una popolazione ubriaca di propaganda e perciò molto irritata da questa iniziativa di “anarchici” contro corrente.
Nei mesi e negli anni successivi la profezia si avverò pienamente. Iniziò con gli imprenditori, gli Agnelli in prima fila, che coinciarono a ritirarsi dalle società fatte nascere per realizzare le opere e sfruttarle dopo i giochi olimpici; fuggirono in tempo. Poi fu la constatazione che i turisti non venivano, anzi diminuivano. Poi si vide che gli impianti abbandonati erano inutilizzati e si stavano rapidamente deteriorando. Poi ci si rese finalmente conto che le infrastrutture sportive, dopo la conclusione dei giochi, non sono affatto portatrici di ricchezza, ma sono ingombri per i territori e costi enormi per la manutenzione di cui necessitano, non portano ricchezza perché sovradimensionate per i luoghi in cui sono state costruite.
Un capitolo particolare è stato quello dei Comuni minori che hanno rischiato il fallimento quando si sono visti accollare i costi di manutenzione degli impianti nel loro territorio.
Altri esempi nel mondo di città rimaste in preda ai debiti e con enormi infrastrutture abbandonate sono, oltre Atene, Barcellona, Berlino, Sydney, Pechino… Praticamente ovunque i Giochi olimpici sono stati per gli stati ospitanti un problema e non un vantaggio, tanto che recentemente molte città hanno rinunciato volentieri alla loro candidatura.
L’unico caso in cui forse le Olimpiadi sarebbero potute essere un vantaggio per la città sarebbe stata Roma. Nel 2016 quando si ragionò di questa candidatura, l’assessore Paolo Berdini pensò bene come la città avesse sostanzialmente tutti gli impianti necessari per una Olimpiade; i soldi che sarebbero arrivati sarebbero stati indirizzati a riqualificare i troppi quartieri periferici romani dove regna un vergognoso degrado sociale ed urbanistico. Invece il Comune, da poco guidato da un emergente Movimento 5 Stelle e contraddicendo il suo assessore, preferì affrontare la realizzazione di una speculazione gigantesca come lo stadio di Tor Vergata accontentando non i cittadini, ma gli appetiti speculativi così fiorenti nella capitale.
Qua a Firenze siamo ancora a ripetere il mantra trogloditico che questi eventi saranno un volano per l’economia. L’evidenza dei fallimenti economici dei Giochi olimpici nel mondo non la si vuol riconoscere e non la si vuol far vedere. Il prestigio di Firenze e, di conseguenza, del suo sindaco vanitoso valgono qualunque fallimento e spreco?
Noi crediamo però che non si tratti solo di vanità il voler ospitare le olimpiadi: i miliardi che arriverebbero metterebbero in ginocchio lo stato, gli enti locali e i territori interessati, ma sono una promessa, per i grandi gruppi finanziari, di profitti alti, senza rischi, tutti a carico dei soliti cittadini; anche per i politici che amministrassero tanto ben di dio qualcosa resterebbe pur attaccato alle mani, no?
Insomma con queste proposte Firenze probabilmente non ospiterà nessuna olimpiade, ma i suoi amministratori si candidano sicuramente a medaglie nello sport, tanto diffuso in politica, a chi le spara più grosse.
Tiziano Cardosi
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Tiziano Cardosi
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