Soggetto e fantasia. Per una antropologia macchinica.

L’oggetto principale dell’antropologia filosofica è quello che si potrebbe chiamare il processo di ominazione che è una forma di svolgimento di tipo relazionale e dialogico per il quale il soggetto è sempre plurale, ma che, sulla scia dell’antropologia filosofica tedesca degli Scheler, Gehlen, Plessner e, aggiungo io, del francese Simondon, ha anche un carattere eccessivo, che eccede continuamente la possibilità ontologica della sua esistenza. Una umanità che non è data una volta per tutte, ma come «una variabile permanente in grado di realizzare produzioni culturali originali». Questa eccedenza ha a che fare con la tecnica, con il proiettarsi umano nel mondo anche tramite attrezzi, oggetti tecnici materiali e immateriali, attraverso i quali, con i quali, il soggetto si ibrida e si ridefinisce continuamente andando a costruire un ente la cui composizione è costituita da materiale biologico, materia inanimata, ma anche sostanza immateriale o cognitiva. Un soggetto che si esprime a partire dalla sua indeterminatezza di fondo. Ecco quell’ente è macchinico: il soggetto è una macchina umana capace di relazionarsi e determinata dal relazionarsi con gli altri e con il mondo e, in un certo senso, di abitare il mondo. Si tratta della «costruzione di una identità da parte di un soggetto di fantasia», «di una fantasia equipaggiata sempre più tecnologicamente».

L’uomo (e la donna) è senza mondo, non hanno cioè un mondo assegnato loro, perché la loro eccedenza è essa stessa formatrice di mondi. Ma non soltanto nel senso che l’umanità tecnica può agire sulla natura, ma che la natura tecnica dell’umanità, processa e ridefinisce continuamente il mondo.

Emergono da subito i due oggetti della ricerca di Fadini: il soggetto, il processo di soggettivazione, ma anche il contributo cognitivo che viene immesso nel processo, con un’ulteriore apertura verso la fantasia citata nel titolo che è un potenziale aggiunto – per connessione diretta – sia nella creazione del soggetto, sia per la configurazione del mondo a cui il soggetto si riferisce. Dice Gehlen nella citazione di Fadini: «Affermo che l’autentico carattere di gioco va cercato in tutto e per tutto sul versante dell’immaginazione e degli esonerati interessi dell’immaginazione. Naturalmente l’immaginazione è il nerbo autentico del gioco – anzi, a guardare ancor più in profondità, questo nerbo è il sorgere, e l’autogodimento, di interessi umani “superficiali”, esonerati, mutevoli a piacere (p. 15). Fantasia, immaginazione, gioco sono allora gli elementi che condizionano le routine software della macchina umana.

Questi due temi, il soggetto e la fantasia, sono il sottofondo di una ricerca a tutto tondo che si articola in sette capitoli più un supplemento che permettono a Fadini di fare i conti con numerosi autori e con altrettanto numerosi ragionamenti che insistono su questa materia, rivelando infine la possibilità che può fare dell’antropologia filosofica una forma fondamentale della filosofia politica dove si parla della fantasia come strumento per escogitare nuove vie di fuga e per costruire il soggetto che quelle vie di fuga ha pensato e che adesso potrà provare a percorrere. Fare i conti con certi autori permette a Fadini da una parte di dare una nuova lettura ai loro contenuti, di scoprire i potenziali dei loro ragionamenti, per scavare uno spazio nel quale la fantasia si possa distendere, dall’altra di farci uno spaccato originale di un dibattito latente che dal secolo scorso ha permeato la filosofia continentale scavalcando il millennio.

Questo approccio gli permette anche di ridefinire e di portare nuovi contributi alla serie di discussioni che hanno interessato l’ecologia politica, sciogliendo, anche indirettamente, le opposizioni tra natura e cultura, corpo e mente, alla ricerca di un soggetto che sappia e possa ridimensionare la sua agentività nei confronti dell’ambiente, calandosi nel mondo e sapendo fare della sua agentività, opera di fantasia per la costruzione di un mondo più sostenibile perché più giusto nei confronti del vivente e del non vivente. Là dove invece la realtà del capitalismo, la mancanza di fantasia, di immaginazione, della componente cognitiva ed emozionale della macchina umana, si accompagna al collasso di qualsiasi “ideale”. Ciò che allora rimane «è un soggetto consumatore/spettatore che fa capolino in una enorme discarica di scarti di spesa e di utilizzo» (p. 23). L’attenzione dell’autore non è però soltanto riposta nella critica del mezzo tecnico, anzi il mezzo tecnico intra diretto dalla fantasia e dall’immaginazione, che esso incorpora, può rappresentare una via di fuga dall’uso mercantile delle risorse dell’ibrido tecnico che l’umanità rappresenta. La macchina umana può così anche essere soggetto di fantasia. L’apertura al mondo degli umani-tecnici va di pari passo con il tentativo capitalistico di etero dirigerli in una dimensione predeterminata dall’assoggettamento al mercato. Ma il soggetto non è il singolo, il soggetto è collaborativo, ma nel modo di produzione capitalistico la facoltà cooperativa viene drenata dalla macchina, intesa qui come mezzo di produzione e questo avviene in maniera totalizzante quando la produzione è completamente macchinica, quando la fusione corpo biologico e macchina si sono interamente realizzate, o in quello che io chiamo modo di produzione del Capitalismo Digitale. Fadini apre allora al concetto di macchine desideranti (Deleuze e Guattari) che non sarebbero di altra natura. Una sola macchina che opera per un’istanza «di desiderio o di oppressione di desiderio», dove la differenza di risultato si ha quando «la macchina pretende di agire autonomamente». La macchina dei bisogni è infatti quella che si delinea a partire dall’utensile che si collega all’organismo prendendo atto delle sue mancanze, ignorando i rapporti sociali «come qualcosa di primariamente esterno all’utensile e alla macchina» (p.52), rapporti che aprono alla macchina desiderante che, partendo dalla parzialità umana, può così svilupparsi in maniera proficua, nel senso di felice.

Qui Fadini fa un’operazione veramente interessante. L’incorporazione del saper produrre umano nella macchina produttiva, la sua trasformazione in capitale fisso, nella fase avanzata di questo processo, riesce a incorporare anche ciò che è inventivo/creativo. Si ha così la possibilità attraverso la quale la vita intera venga messa a produzione con un’espropriazione profonda del saper fare umano che si perde; ma quella interiorizzazione anche della sostanza creativa ci fa intravedere nello stesso tempo una possibilità di intervenire sulla tipologia della produzione che allora potrebbe restituire la memoria dei saperi agli umani. L’operazione è quanto di più interessante si possa immaginare se facciamo riferimento a certe produzioni pressoché smaterializzate nelle quali il capitale fisso è il sapere collettivo, il general intellect di marxiana memoria, qui Fadini cita Gorz: «Questa possibilità di sottrazione e dunque di appropriazione del lavoro che è anche rifiuto e abolizione del lavoro, apre nel sistema una breccia attraverso la quale può in linea di principio avviarsi un esodo dalla società del lavoro e della merce» (p. 54).

Il processo di ominazione che come abbiamo visto è un processo correlazionale, non può non tenere conto dell’empatia che ha una sua conferma fisiologica nella scoperta dei neuroni specchio, quello che però Fadini propone è il confronto di un’affezione di grado immateriale: guardare al lavoro della simpatia in rapporto con quello dell’empatia, riconoscendo l’agentività attiva della prima in rapporto con l’automaticità della seconda. Ambiti che comportano forme diverse di stati d’animo con la simpatia che riesce a meravigliarsi quando resta «in attesa dell’inaspettato», quando apre alla collaborazione e non soltanto al riconoscimento dell’altro come simile.

Fantasia è dunque l’aprirsi di un sentiero altro, intraprendere un’avventura. Qui Fadini riprende la lezione di Ferruccio Masini, autore che ricorre nelle sue opere e a cui dà come un filo di continuità ai ragionamenti. «L’apparire dell’avventura» è allora «l’apparire dell’impossibile come possibile». L’avventura è allora compagna della fantasia, «un’esperienza estatica del mondo», alla quale ci si avvicina attraverso «la semplice sensualità del pensiero». Ma l’avventura ha un’esistenza paradossale. È un lemma metalinguistico. Masini dice che è il progetto di se stessa perché in quanto avventura è ciò che non può essere progettato. Anche a fermarci qui, si può intuire la potenza della fantasia come avventura. L’avventura apre al futuro, apre la possibilità che l’immaginazione pensi il futuro, alimenti il futuro. Perché quella sua impossibilità progettuale è comunque «generatrice di possibilità» dice Fadini. Seguono pagine dove Fadini e Masini duettano con l’intrusione benefica in sintesi di Deleuze che evoca un attore qualsivoglia, un agente, che libera «nella vita ciò che può essere salvato», ciò che nell’evento «non si lascia esaurire nella sua effettuazione», non si fa «fissare in un termine».

Il supplemento finale è ricco di suggestioni e ragionamenti sulla contemporaneità digitale che segnano un punto di svolta del rapporto tra l’umanità e la tecnica, sul fatto che l’umanità sia anche tecnica con un limite intravisto e già vedibile nel quale la tecnica vorrebbe riuscire a fare a meno dell’umano.

Ubaldo Fadini, Soggetto e fantasia. Per una antropologia macchinica, Clinamen, Firenze 2020, pagine 122, € 18.90

*Gilberto Pierazzuoli