Emergenza abitativa, Sunia: “Famiglie allo stremo, tenuta sociale a rischio”

La segretaria regionale del Sunia Laura Grandi

Firenze – I dati dell’ultimo report della Caritas erano già illuminanti: la frattura sociale che si sta verificando nel Paese avviene spesso a causa del disequilibrio “tra un canone di locazione elevato – che rappresenta un’uscita costante – e redditi da lavoro modesti, e spesso incerti”. Tanto più in tempi di covid. Così, come confermano anche dal Sunia, capita spesso che le persone chiedano pacchi alimentari per mangiare in modo da riuscire a pagare l’affitto. Perché, e anche questo dà la misura dello sfilacciamento della tenuta sociale, gli aiuti richiesti sono sempre di più alimentari.
“La maggioranza assoluta delle famiglie che si rivolgono ai nostri sportelli – dice Laura Grandi, segretaria regionale del Sunia – è composta da gente che ha un problema: o mangia o paga il canone. E, in accordo assoluto con i dati Caritas, si tratta di famiglie sempre più italiane, con un ulteriore caratteristica: sono persone che hanno sempre lavorato”. Insomma a non saper più come fare a pagare il canone ci sono sempre più i lavoratori, con una ricaduta della crisi sulle classi lavoratrici impressionante. Rispondere alla domanda che si sente fare sempre più spesso nei talk show televisivi e sui grandi quotidiani, vale a dire “chi pagherà la crisi” è estremamente facile, vista dal punto di vista dell’emergenza abitativa, economica e sociale: sono i lavoratori.
“Il tema è semplice – spiega Grandi – chi si rivolge ai nostri sportelli con sempre più frequenza, è di solito il lavoratore che, causa misure anti-covid, è stato posto in cassa integrazione. Nella media, secondo i nostri calcoli, il reddito su cui una famiglia di questa fascia può contare è di 1500 euro. Di questi, dai 650 euro nel migliore dei casi ai 700 e oltre, vengono spesi per il canone. Il resto serve per eventuali spese di condominio, bollette, spesa alimentare. Se si ha anche un figlio o due, magari studenti, si arriva alla soglia della povertà”. E il meccanismo descritto va ancora abbastanza “bene”: pensiamo a tutte quelle famiglie che invece basavano il loro reddito su lavori pagati “in busta e fuori busta”, con un fuori busta non rilevabile per accedere agli aiuti. Che sono a loro volta strutturati sulla base della percentuale di reddito che viene meno causa covid. Come si fa a quantificare un lavoretto al nero, ad esempio? Un lavoro a chiamata? Eppure, magari era proprio quel piccolo introito in più che spesso dava la certezza di pagare il canone e fare la spesa.
Cose dette e ridette, ma non per questo risolte. Anzi. Con la seconda ondata pandemica, qualcosa di nuovo e più minaccioso sembra ruggire. “Intanto bisogna dire che le famiglie ormai, hanno rinunciato al rinunciabile per poter pagare il canone – dice Grandi – tagliata la scuola di nuoto, la serata in pizzeria, approfittando di amici e parenti per i vestiti, le scarpe ai figli, i libri di scuola e i vari strumenti per la didattica a distanza, cosa rimane da tagliare? Per molti è diventato impossibile persino onorare il canone abbassato da parte del conduttore, con l’accordo steso fra piccoli proprietari e Comune di Firenze. Ed è a questo punto che l’atteggiamento cambia”.
Cambia, ovvero diventa qualcosa di diverso rispetto allo scoraggiamento di poco tempo fa. “Si sta verificando una situazione pericolosa e terribile – dice Grandi – mettere le famiglie con le spalle al muro, mettere tanta gente che ha sempre tirato la cinghia per riuscire a far quadrare i conti nell’impossibilità di venire a capo della sua situazione economica, provoca un’ondata di rabbia diffusa, che nasce dalla disperazione. La gente smette di pagare il canone, perché non può fare “la conta”, come ci ha detto un nostro iscritto, “sul pane che mangia”. Una rottura sociale su cui neppure la proroga di cui ormai si parla, di altri sei mesi del blocco degli sfratti, può incidere, secondo il mio parere”.
Il perché è purtroppo elementare, non servono analisi complesse: “La gente ha perso la speranza, non vede nel procrastinare le proprie difficoltà una via di uscita, l’alloggio Erp o i social housing sono vissuti come un miraggio cui è inutile rivolgersi. Ci sono persone che sono giunte a un soffio dal ricevere i contributi della graduatoria straordinaria per covid, ma sono rimasti fuori perché il comune è riuscito a dare contributi fino alla 160esima famiglia e basta. Erano circa 300. Tutto ciò crea disperazione. E rabbia”.
Il problema non si pone solo a Firenze, come spiega Grandi. “Lo stesso stato d’animo è diffuso almeno in tutta la cintura, Campi, Sesto, Scandicci, nell’area metropolitana, in molte zone della Toscana. Ormai le persone che giungono allo sportello non chiedono neanche più aiuto, arrivano, rappresentano la situazione, se ne vanno. Addirittura, procrastinare per altri mesi aumenta il livello di rabbia, per la precarietà in cui si precipita, per la mancanza di soluzioni all’orizzonte”. Aumenta la disperazione.
E dunque? “Nuove politiche abitative, coraggiose e solutive. Basta appartamenti vuoti. Deve essere ripristinato un fondo regionale, strutturale per la casa, con gettiti certi, come si era impegnato il presidente Giani firmando il documento sulle politiche abitative di Sunia e Cgil. E per quanto riguarda i canoni, il nuovo equo canone, riattualizzato tramite gli accordi territoriali”.

L’articolo è uscito su STAMP Toscana

*Stefania Valbonesi