Angeli, diavolesse e fanciulle perseguitate

Abbiamo qui ricordato che, a partire dal Settecento, cioè con la nascita di quella società mercantile che diventerà poi borghese e poi ancora capitalista, alcuni ruoli e stereotipi femminili si sono imposti con straordinaria forza, funzionali al nuovo assetto che la famiglia andava acquistando nel mutato ordine economico e sociale.

Vissuti nella materialità storica della condizione delle donne, rilanciati nell’immaginario collettivo, sono stati ripetutamente rappresentati nelle varie forme artistiche, ma in particolare nella forma del romanzo, la cui potenza didascalica ha contribuito in modo determinante a rafforzarli.

Sarà solo a partire dagli anni ’60 del Novecento, con la nascita del movimento femminista e della riflessione teorica ad esso sottesa, che anche in ambito letterario vengono messi esplicitamente in discussione. In particolare alcune scrittrici angloamericane nei loro romanzi li mettono al centro della loro narrazione per farli esplodere, attraverso le strategie dell’eccesso e del rovesciamento, svuotandoli della loro oppressiva valenza ideologica e riutilizzandoli per l’articolazione di nuove forme di rapporti di potere e di pratiche discorsive.

Uno degli stereotipi letterari più diffusi e persistenti che vengono decostruiti è quello chiamato “l’Angelo del focolare” che, nelle varianti legate ai diversi momenti storici che imperturbabile attraversa, sempre riprende le sue sembianze fisiche, morali e psicologiche dal prototipo per eccellenza, quella Pamela, o la virtù premiata data alle stampe da Samuel Richardson nel 1740, che doveva intrattenere ma soprattutto insegnare alle ragazze della prima metà del Settecento l’ideale femminile a cui uniformarsi.

Dopo aver dilagato per oltre un secolo, questo modello femminile trova la sua perfetta definizione di “The Angel in the House” in pieno ‘800 per mano del poeta vittoriano Coventry Patmore, che così intitolava una poesia divenuta poi straordinariamente celebre. A quella definizione corrispondeva l’ideale di donna che era emerso dalla netta separazione della sfera femminile da quella maschile, dello spazio domestico da quello pubblico, dell’auto-abnegazione dall’auto-affermazione. Una donna lieta di essere relegata all’interno dei confini domestici, sottomessa e innocente, unica custode della moralità per il marito e la società tutta,

La potenza normativa di questo stereotipo viene denunciata, nel secolo successivo da Virginia Woolf, che in una delle pagine più famose dei suoi Saggi (Professioni per le donne) accusa proprio l’Angelo del focolare di essere la presenza che inibisce l’immaginario e la creatività delle donne. “E mentre scrivevo questo pezzo mi resi conto che se volevo recensire dei libri, dovevo combattere contro un certo fantasma. E il fantasma era una donna, e quando imparai a conoscerla meglio la chiamai come la protagonista di una famosa poesia, la chiamai L’Angelo del focolare. Era lei che quando scrivevo una recensione si metteva tra me e il foglio di carta, Era lei che mi disturbava e mi faceva perdere così tanto tempo tempo che alla fine la uccisi. La descriverò più rapidamente possibile. Era infinitamente comprensiva, estremamente accattivante, assolutamente altruista. Eccelleva nelle difficili arti del vivere familiare. Si sacrificava quotidianamente. Se c’era il pollo, lei prendeva l’ala; se c’era uno spiffero, ci si sedeva davanti lei; insomma era fatta in modo da non avere mai un pensiero, mai un desiderio per sé, ma preferiva sempre capire e simpatizzare con i pensieri e i desideri degli altri. Soprattutto – non c’è bisogno di dirlo – lei era pura…”

Questa figurazione, di cui già negli anni ’20 del Novecento Virginia Woolf denuncia la capacità di ostacolare la crescita artistica, emotiva e sociale delle donne, alcuni decenni dopo verrà irrimediabilmente rovesciata in alcuni romanzi di altre scrittrici. Vediamone due casi esemplari, nati dalla creatività di due tra le maggiori scrittrici angloamericane del tempo.

Vita e amori di una diavolessa (The Life and Loves of a She-Devil), il romanzo pubblicato nel 1983 da Fay Weldon, già nel titolo richiama per contrasto, lo stereotipo da decostruire. Alla fissità del ruolo della donna angelica, cui sempre nel racconto si allude, ma solo per meglio prenderne le distanze, si sostituisce qui il principio della metamorfosi, che diventa la cifra stilistica e tematica del romanzo. L’eroina, da sottomessa e infelice donna di casa (e qui il domestico viene presentato come una dannazione) si tramuta in una seducente donna di successo passando attraverso molteplici identità: la prostituta, l’infermiera, la donna d’affari, la bambinaia, la governante, la femminista, la milionaria.

La protagonista di questa riscrittura postmoderna del “domestic novel” si presenta in origine come semplice casalinga, ma una casalinga fuor di misura, sia rispetto ai canoni estetici (1,90 di altezza, 125 kili di peso), sia rispetto a quelli etici (si sposa in seguito a una gravidanza indesiderata), e estetici (è brutta e goffa). All’esaltazione delle doti domestiche che accompagna la figura dell’Angel in the house si contrappone qui il disprezzo riversato su di lei dal marito, che la considera “una cattiva madre, pessima moglie e terribile cuoca”. Inoltre, a differenza della ricorrente negazione del corpo, qui la dimensione corporea è al centro della narrazione: si tratta infatti di una donna il cui destino appare profondamente segnato dalla materialità di un corpo di cui si accentua l’abnormità delle forme. Un corpo, insomma, da correggere e normalizzare nelle misure e nelle linee, la cui trasformazione chirurgica accompagna il cambiamento interiore che da fallimentare angelo della casa trasformerà la protagonista in una diavolessa. Ed è in questo passaggio che il corpo, per completare il sovvertimento del modello originario, si scopre corpo sessuato: dopo aver sofferto le ‘pene dell’inferno’ per il tradimento d’amore, si converte esso stesso in un consapevole e ‘diabolico’ strumento di seduzione.

Anche lo spazio del domestico, setting ideale della convenzione, viene riproposto in termini alterati, come claustrofobico interno nel quale la depressione si accompagna alla bulimia della protagonista. Sul piano morale, all’irreprensibilità si sostituisce una smodata infrazione alle regole etiche: l’eroina seduce un giudice e un prete, altera le prove a carico del marito per rovinarlo finanziariamente, provoca volontariamente la morte della rivale. In un registro comico che demitizza i valori del domestico e del sentimentale, questa storia racconta la caduta del contemporaneo angelo del focolare, esplora l’insoddisfazione rispetto a un corpo costantemente sottoposto al giudizio e al controllo sociale, rivendica le identità multiple del soggetto femminile, annuncia la dissoluzione dei limiti che per secoli lo hanno definito.

Una versione più giovane, oltre che socialmente e psicologicamente ancora più fragile dell’angelo del focolare, è riprodotta nel personaggio della “fanciulla perseguitata” della tradizione gotica. I suoi tratti vengono riprodotti nelle innumerevoli vittime del sadismo maschile che pervadono il filone gotico, un genere letterario tra i più convenzionali e persistenti della nostra cultura, non a caso studiato dai primi formalisti russi. Chiuse nello spazio costrittivo della dimora (casa, castello o convento che sia), perseguitate dal “cattivo” (villain) potente e libertino, le fanciulle vincono ogni avversità grazie alla loro tetragona virtù, in un immancabile lieto fine che attesta un’edificante supremazia sulle forze del male. La formula ‘gotica’ presuppone un’alta prevedibilità stereotipica, la quale risente, come è stato dimostrato, dell’innesto con la convenzione del romanzo sentimentale: dopo svariate avventure e infiniti pericoli l’eroina trasforma infatti il malvagio in eroe pentito, sanzionando il trionfo dell’amore romantico che redime ogni male, fino a esorcizzare per sempre ogni sospetto e paura verso il maschile.

Anche questo modello femminile viene preso di mira e svuotato in chiave parodica della sua valenza ideologica per affermare la disobbedienza delle donne al canone imposto. Ecco il nostro secondo caso esemplare.

In Lady Oracle di Margaret Atwood, pubblicato nel 1976, questo tipo di narrazioni gotico-rosa viene assunto in prima persona dalla protagonista, che si confessa compulsiva divoratrice di una letteratura popolare che perpetua, come lei stessa riconosce, “degradanti stereotipi delle donne come deboli e perseguitate”. Ma il suo ruolo di lettrice si accompagna a quello di scrittrice di trame gotiche. I romanzi che scrive di nascosto, e pubblica sotto pseudonimo con enorme successo, raffigurano eroine sempre in pericolo, braccate da un potente seduttore, ostacolate da una moglie cattiva, oppresse da oscuri segreti, le quali, dopo essere state imprigionate in labirinti reali e metaforici, si avviano allo scioglimento del gothic plot con la rivelazione del vero amore e il lieto fine.

Ma, in un momento critico della sua esistenza la protagonista-scrittrice di Atwood comincia impercettibilmente a distaccarsi dalla trama consueta del romanzo che sta scrivendo, e a nutrire un’imprevista e inquietante simpatia per il personaggio della moglie cattiva, mentre la pura e casta eroina positiva le suscita un’avversione incontrollata: “Nei miei libri tutte le mogli cattive erano o pazze o morivano, o tutte e due le cose. Ma cosa avevano mai fatto per meritare questa fine?”

Non senza fatica, la scrittrice si costringe infine a far morire la moglie malvagia per cui ha cominciato a sentire attrazione; quindi, nel vano tentativo di concludere la storia secondo la sua routine narrativa, conduce l’eroina buona, che crede di aver portato il suo persecutore al bene, nel labirinto del castello, luogo minaccioso e proibito sulla cui soglia si trova appunto l’eroe convertito, che dovrebbe a questo punto salvarla. Invece, nei sui occhi la ragazza vede una strana espressione, scorge un pericolo e capisce che il cattivo, per niente redento, avrebbe ucciso lei come le mogli precedenti. Così, si sottrae all’incantesimo del sogno romantico. E si salva.

Questo romanzo nel romanzo, che può essere definito un “testo gotico non riuscito”, si conclude con lo smascheramento del sadismo maschile e la sconfessione del sogno romantico, due epifanie che implicano la liberatoria uscita dal ruolo claustrofobico della fanciulla perseguitata.

Al suo posto s’intravede, nel racconto principale, la possibilità di un diverso ruolo femminile affidato alla stessa protagonista-scrittrice, le cui vicende hanno esattamente ricalcato quelle della sua eroina (dopo aver vissuto nel pericolo, viene inseguita e minacciata fino a dover inscenare una falsa morte), e a conclusione delle quali si appresta finalmente a entrare in una nuova fase dell’esistenza. Libera dallo stereotipo di vittima che dai confini della finzione del romance gotico aveva invaso e segnato la sua stessa vita.

Dunque, a partire da qui, per le donne un altro mondo è (sarebbe) possibile.

Ornella De Zordo