Il processo contro il movimento fiorentino, il “processone”, il processo agli 86 – chiamatelo come volete – è giunto alla fine.
Martedì 16 febbraio 2021 la Corte d’Appello del Tribunale di Firenze ha emesso la sua sentenza: cade definitivamente l’imputazione per associazione a delinquere confermando il primo grado, decadono per sopraggiunta prescrizione molti reati, mentre 4 compagni sono stati condannati a 9 mesi e altri 22 a 8 mesi a testa per reati specifici legati a manifestazioni di piazza.
Rispetto alle perquisizioni, gli arresti domiciliari, agli obblighi di firma e al quadro che avevamo davanti nel maggio del 2011, quando scattò l’operazione, ci pare evidente sia emersa l’inconsistenza di quell’inchiesta.
Detto questo, non possiamo certo cantar vittoria e non tanto per le condanne, che comunque avevamo messo in conto, o per le migliaia di euro che ancora una volta dovremo pagare, quanto perché in realtà Questura e Procura attraverso questa azione repressiva sono riuscite a mettere sul banco degli imputati, assieme agli 86 tra compagne e compagni, le lotte che questi hanno portato avanti.
L’azione repressiva, accompagnata da “un’attenta” campagna stampa di criminalizzazione, attaccò le mobilitazioni contro i tagli e la privatizzazione di scuola e università, le lotte contro la privatizzazione della sanità e dei trasporti, l’antifascismo, lo sciopero generale lanciato sull’onda delle occupazioni studentesche proclamato dal sindacalismo di base che si intrecciò con la battaglia dei metalmeccanici contro il “modello Marchionne”.
Non ci interessa fare l’ennesima disamina del processo, ma rimettere sul piatto le motivazioni che spinsero sul finire del 2010 migliaia di lavoratori e studenti ad organizzarsi e lottare: proviamo a guardarle con gli occhi che abbiamo oggi, gli occhi di chi da un anno vive nel contesto della pandemia. Non abbiamo vinto, forse non abbiamo inciso abbastanza, ma avevamo ragione noi ed abbiamo ancora ragione noi!
Guardate lo stato in cui versano oggi la scuola, l’università, la ricerca, il trasporto pubblico, le condizioni di lavoro e il salario per chi ce l’ha, la disoccupazione di massa, la criminalizzazione di cui sono fatti oggetto i giovani a cui questo sistema ha tolto tutto.
Guardate poi la schiera di tutto quel ceto politico che si complimentò con la Questura per il “ripristino della legalità”: tutti assieme nella grande ammucchiata di governo per mettere le mani nella marmellata del Recovery mentre i loro “tecnici ed esperti” hanno lucrato addirittura sulle mascherine distribuite alle elementari.
Oggi abbiamo davanti una situazione molto difficile e pericolosa: un anno fa scioperavamo per non essere costretti a lavorare mentre il virus entrava nelle nostre vite e lottavamo anche perché si organizzasse il sistema dei tamponi e dei tracciamenti, perché finalmente la sanità tornasse ad essere uno strumento di tutela della salute pubblica e non più fonte di profitto.
Mentre viviamo lo stesso triste teatrino anche per i vaccini, a distanza di un anno, niente di tutto ciò è stato fatto se non rimarcare che “cedere quote di libertà” continua ad essere l’unico strumento di reale contenimento del virus.
Siamo all’interno di questo infame ricatto per il quale, coloro che fanno profitti addirittura sui vaccini, prodotti con il contagocce per scatenare aste al rialzo, fanno la morale a chi esce per aperitivo scaricando le proprie responsabilità sui comportamenti individuali: siamo al punto in cui è praticamente consentito solo avere relazioni mercificate, rinunciando alla socialità, al tempo libero, allo sport e sopravvivere all’interno della nostra bolla, tanto più piccola quante minori sono le merci che riusciamo ad accaparrarci sul mercato.
Possiamo imbottirci di psicofarmaci, buttarci dalla finestra, metterci una corda al collo, sfogare la nostra rabbia all’interno delle mura di casa o drogarci: ma guai a pensare di ribellarsi… il 30 ottobre e gli arresti successivi a quella serata stanno lì, come monito, a dirci proprio questo, senza mai dimenticare che le misure definite emergenziali permangono anche quando la causa attraverso la quale sono state giustificate viene meno.
Questa contraddizione però può essere rotta dal nostro protagonismo, dalla nostra volontà di ribaltare la società della privatizzazione dei profitti e della socializzazione dei costi: la lotta e la solidarietà, ieri come oggi, continuano ad essere l’unica via che possiamo percorrere per far valere la nostra ragione perché una società che superi le disuguaglianze, l’autoritarismo e lo sfruttamento non è solo un sogno ma una necessità collettiva.
LA LOTTA È L’UNICA VIA… SOLIDARIETÀ!
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