Coronavirus e lavoro, a Firenze fa quasi rima con coronavirus e turismo. Perché se il covid19 mette in ginocchio l’economia italiana, sono i più deboli della catena a prendere le mazzate più pesanti, gli invisibili del lavoro nero, delle partite iva, dei contratti creativi come quelli a chiamata, su su fino ai contratti a tempo determinato o a quelli che non corrispondono affatto all’effettiva natura e carico di lavoro. Il che a Firenze si traduce, in buona parte, con l’occupazione, fragile e cattiva, come testimoniano i report dell’Irpet e dei sindacati, che gira attorno al turismo, buona parte del famoso “indotto”.
Lavoro “cattivo”, tant’è vero che il primo licenziamento da coronavirus a Firenze è proprio nell’ambito del settore alberghiero ricettivo. L’operatore è dipendente di una cooperativa con appalti presso le strutture ricettivo-alberghiere di Firenze; strutture che, a causa della ben nota contingenza di pandemia, sono in fase o di chiusura o di forte diminuzione dell’attività per le disdette ricevute. A causa della situazione, si legge nella lettera di licenziamento, non potendo la cooperativa avvalersi delle attività delle operatore in altri settori aziendali, “La sua attività lqvorativa non può più essere proficuamente utilizzata dalla Cooperativa”. Dunque, la cooperativa recede dal rapporto “per giustificato motivo oggettivo”. Licenziamento con effetto immediato a far data dal ricevimento della lettera. Al posto dello svolgimento del preavviso contrattuale (da cui la cooperativa “esonera” il lavoratore), verrà corrisposta la relativa indennità sostitutiva. Spettanze di fine rapporto con l’ultima busta paga, una volta contabilizzate. come testimoniano i report dell’Irpet e dei sindacati, che gira attorno al turismo, buona parte del famoso “indotto”.
Ma non è tutto qui. Un altro rischio infatti potrebbe pendere su Firenze,
Infatti, il mercato degli investimenti alberghieri (quelli dei grandi fondi immobiliari, che ha visto pochi giorni fa un grande “colpo” da parte della società di Taiwan, la Lcd di Nelson Chang, che ha acquistato per 24 milioni il prestigioso Palazzo Serristori con giardino, per costruirvi undici prestigiose residenze di lusso, e gode di ottima salute) non sembra affatto intaccato dall’andamento generale. Del resto, come spiega un articolo del quotidiano on line T.P.I. it che ha interpellato Michele Maria Coscioni, consulente esperto nel mercato alberghiero, tale mercato riguarda per la maggior parte transazioni con un orizzonte temporale per l’apertura delle strutture di circa uno-due anni, dovuto in larga parte a ristrutturazioni e conversioni. Un mercato dunque che, proprio grazie alla crisi, potrebbe essere ancora più appetibile per i grandi fondi internazionali, che potrebbero spuntare ottimi affari su strutture che, magari già indebolite dalle svariate difficoltà del mercato, potrebbero non essere in grado di superare quest’ultima, criticissima contingenza. Insomma a livello di business legato al proprio patrimonio immobiliare, in particolare per l’accoglienza, Firenze, se non fa gola ora, tornerà a far gola. E in molti lo sanno.
Se questo è il capitolo patrimonio immobiliare e turismo alberghiero torniamo a guardare al lavoro ai tempi del coronavirus, a Firenze. Cominciamo dai casi, tutti fiorentini. C’è quello di Pietro, disoccupato, con contratto quasi concluso per un lavoro di cameriere in un ristorante, che ovviamente dall’inizio del coronavirus non ha più visto niente: né proprietario, né contratto. “Dopo aver aspettato per mesi questo lavoro ….” commenta. E magari averci pure contato per mettersi in pari, con le bollette ad esempio. O per allargare il parco alimentare, magari uscendo dal confine di pasta e pane. “Dieta mediterranea forzata”, scherza. O quello di Angela che, in ferie per ragioni di salute, viene convocata dal ristoratore per firmare, insieme ai colleghi, un contratto che modifica l’orario, a 20 ore settimanali. O ancora, Raul, contratto a chiamata…. mai più chiamato. O Andrea e Livia, entrambi contratto a tempo determinato, con speranze di rinnovo. Non ora, però.
“Il vero problema – commentano dai Cobas – è che queste segnalazioni stanno diventando sempre più importanti e ragionevolemnte saranno sempre in crescita. Anche se il vero snodo su cui si gioca buona parte dell’economia italiana sono gli invisibili, vale a dire quei lavoratori che se ne stanno nascosti nelle pieghe dei piccoli esercizi, delle microimprese, spesso senza contratto o con contratti non riconducibili nemmeno lontanamente a quelli nazionali, magari assunti per una qualifica e attivi per un’altra, timorosi, in quanto pochi e misconosciuti, di attivare denunce in quanto deboli e ricattabili”. Insomma tutto un indotto di invisibili che da questa nuova e a tempo indeterminato stangata dell’economia italiana usciranno non solo con le ossa rotte, ma ancora più deboli e ricattabili di prima.
Incalza l’Usb: “Tutto il finto lavoro stabile, vale a dire smart working, lavoro a chiamata, lavoro a tempo determinato con monte ore variabili, fino ad arrivare al lavoro nero sempre negato e molto usato (e in questo frangente se ne verificherà purtroppo la pregnanza nel crollo totale di molti redditi famigliari), comprendendo ovviamente anche partite Iva e lavoratori autonomi, sta andando incontro a forzature che ne rivelano le fragilità e che porteranno a gravi conseguenze sul reddito medio delle famiglie. Tutto è collegato. Nel caso della decisione di chiudere tutto, sarà un costo che si abbatterà sull’intera collettività. Per questo riteniamo che si dovrebbe prevedere l’accesso al reddito di cittadinanza per tutte le categorie che non possono accedere a una cassintegrazione”.
*Stefania Valbonesi
Stefania Valbonesi
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Ah Stefania Stefania, sempre la solita testarda indomita cocciuta.
Grazie di esistere!