Da 22.670 ore al mese di assistenza domiciliare nel 2008 alle 15.000 attuali: un taglio netto che il Comune di Firenze ha compiuto inesorabilmente sulla pelle dei più fragili e indifesi, anziani e disabili in primo luogo. È quanto denunciano i 150, tra lavoratrici e i lavoratori, che oggi hanno protestato sotto la Regione Toscana, nel momento esatto in cui le istituzioni festeggiano il nuovo stadio che costerà 150 milioni di euro, tutti provenienti da fondi pubblici nazionali ed europei.
Le priorità della giunta Nardella sono chiare, nessuno potrà negare d’ora in poi la volontà del sindaco, ovvero la scelta di abbandonare a se stessi gli ultimi in nome di un consenso facile quanto grottesco e populista.
Oltre ai nostri familiari in difficoltà, a subire il taglio dei servizi sociali sono proprio i lavoratori che contestano questa deriva con uno slogan più che appropriato: “Per la dignità del lavoro e la qualità dei servizi”. Chi li ascolterà? Andiamo con ordine per capire le radici della protesta.
Il 4 febbraio scorso il servizio comunale di assistenza domiciliare è stato aggiudicato alla Cooperativa Elleuno. Un cambio d’appalto che coinvolge, appunto, i circa 150 lavoratori, in prevalenza donne, e un migliaio di utenti. Negli anni questo servizio, che dovrebbe essere pubblico e gratuito, è invece diventato sempre più oneroso per l’utenza. Durante la fase di transizione i lavoratori si sono attivati per contrastare i possibili esuberi derivanti dalla discrepanza del monte ore contrattuale e le ore previste nel nuovo appalto. In questa azione sono sostenuti dalla CUB sanità, sindacato per cui la dignità del lavoro e la qualità dei servizi devono andare di pari passo.
È sotto gli occhi di tutti, infatti, come ci sia sempre più bisogno di questo servizio in una città che invecchia come Firenze. Eppure l’amministrazione ha continuato a tagliare, colpendo la qualità delle prestazioni, troppo spesso insufficienti a coprire i bisogni, e i gli stipendi degli operatori. Sono decine e decine di persone, soprattutto donne, che compiono un lavoro delicato con persone fragili ma che non vedono riconosciuta la sicurezza del posto di lavoro e dei propri diritti, rimessi in discussione ad ogni cambio appalto.
Con l’obiettivo di chiedere tutele e garanzie, continuità e potenziamento del servizio hanno organizzato nel tempo manifestazioni davanti al Comune di Firenze. Fino al colpo di scena avvenuto il 21 febbraio durante l’ultimo presidio quando una delle cooperative escluse dal ghiotto appalto ha fatto ricorso al Tar, obbligando il Comune ad una proroga di un altro mese, fino al primo aprile. Un colpo alle aspettative dei lavoratori che, dopo aver faticosamente raggiunto un accordo per il riassorbimento, dovranno patire un altro mese per capire che fine faranno i loro contratti.
Proseguono così le proteste: vogliono far capire alle istituzioni, ai fiorentini e alle tante associazioni, quanto sia preziosa la loro opera, il loro lavoro, nell’aiuto e il sostegno alle famiglie con persone anziane e disabili, ancora più indispensabile in questa fase pandemica.
Pubblichiamo di seguito la lettera aperta alla città delle lavoratrici e dei lavoratori che lottano per i loro e i nostri diritti.
Paola Sabatini
Alle Istituzioni, alle associazioni, ai cittadini, alle lavoratrici e ai lavoratori
Perché una protesta degli assistenti domiciliari delle Cooperative
Chi siamo
Siamo gli assistenti domiciliari del comune di Firenze, operatori che svolgono la propria attività nei confronti della popolazione fragile come anziani e disabili.
Il nostro lavoro è un lavoro di cura della persona nelle attività quotidiane e di aiuto nel soddisfacimento dei bisogni primari, come lo stimolo e l’aiuto nell’igiene personale, l’aiuto nella preparazione e assunzione dei pasti, la cura dell’aspetto fisico: tutte funzioni indispensabili per la dignità della persona che non è in grado di provvedervi da sola.
Il nostro lavoro è rivolto anche alla cura dell’ambiente domestico, in modo da permettere alle persone di vivervi in modo dignitoso. Fondamentale è anche il nostro ruolo nella socialità delle persone fragili, per le quali noi diventiamo non soltanto coloro che se ne prendono cura, ma anche un sollievo alla solitudine e un importante punto di riferimento.
Perché una protesta degli assistenti domiciliari del comune di Firenze
Da anni assistiamo al taglio dei servizi domiciliari, che significa per gli utenti, una maggiore difficoltà ad accedere al servizio e un peggioramento della qualità di questo,date le poche ore che vengono concesse. Per noi lavoratori vuol dire perdere ore di lavoro, rendere sempre più meccanico e stressante il nostro lavoro, prestare la nostra opera con la massima attenzione all’orologio dati i tempi lesinati da rispettare, correre da un utente all’altro, con la difficoltà di mantenere anche le tempistiche previste.
Naturalmente se si perdono ore di lavoro vengono tagliati anche i nostri stipendi, che già sono fra i più bassi nel settore socio sanitario: noi lavoratori delle Cooperative abbiamo stipendi più bassi di circa un terzo dei nostri colleghi del settore pubblico.
Nel 2008 le ore previste per l’appalto del Comune di Firenze erano 22.670 mensili; in quel periodo c’era anche un presidio di 96 dipendenti comunali anche loro adibiti a questo servizio. Nel corso degli anni, i dipendenti comunali si sono ridotti ai 16 attuali e sono state drasticamente tagliate le ore di servizio fino ad arrivare alle 15.000 di oggi, con la perdita di quasi 8.000 ore mensili.
Ma mancano davvero i bisogni della popolazione per questo servizio?
Quale famiglia può risolverei problemi di cura di una persona anziana non autonoma, ammalata, di una persona portatrice di handicap che ha bisogno di assistenza continua con due ore al giorno d’intervento assistenziale? Eppure questo è il massimo che può venire offerto secondo gli attuali parametri del servizio. Anziani, nuclei familiari con fragilità al loro interno, persone malate e sole che devono farsi largo nella burocrazia lenta e scoraggiante, dove, per attivare qualsiasi servizio occorrono mesi tramite assistenti sociali oberate di lavoro. In tale contesto, diventa logico che la famiglia stessa ricorra ad altre soluzioni come quella della cosiddetta badante. Ma quanto costa ad una famiglia una soluzione come questa? O l’eventuale degenza in una struttura? Troppo per le tasche di molte, troppo fino al punto di dover vendere magari l’unica abitazione di proprietà, o dilapidare i pochi risparmi di una vita. E qui inizia un circolo vizioso: pochi soldi, una badante disponibile a una misera paga, magari straniera e con la spada di Damocle del rinnovo del permesso di soggiorno legato alla disponibilità di un lavoro o meno.
Questo è quello che in realtà avviene e che consente al Comune di rispondere ai bisogni magari con un misero contributo badante piuttosto che con un’assistenza qualificata e per tempi sufficienti a garantire la qualità della vita delle persone assistite e la qualità del lavoro degli operatori. Diminuire le ore di assistenza domiciliare vuol dire di fatto scegliere di tagliare servizi primari alla persona ,ai quali nessuna associazione o volontariato può sopperire e scegliere la strada più facile e spietata da parte dell’amministrazione per far quadrare il bilancio.
E il volontariato?
Non siamo contrari al volontariato, all’impegno gratuito di persone che dedicano parte del loro tempo per soddisfare un bisogno della collettività, anzi alcuni operatori sono anche attivi nelle reti di solidarietà, ma bisogna fare anche le dovute differenze. Probabilmente un volontario che ha fatto il meccanico tutta la vita potrà svolgere alcune attività, ma non possiamo pensare che l’assistenza domiciliare si riduca alla presenza ad un domicilio, alle attività di compagnia o ad un semplice sostegno alle attività quotidiane di una persona in difficoltà.
Spesso le persone che assistiamo sono portatori di patologie anche gravi che richiedono professionalità e conoscenza, che il volontario nella quasi totalità dei casi non ha. Non a caso sono anni che il Comune richiede personale qualificato, in possesso di titoli professionali per i quali le lavoratrici, in quanto nella gran parte donne, hanno dovuto fare numerosi sacrifici e nella maggioranza dei casi pagarsi di tasca propria la formazione. Ci chiediamo come ad oggi questo non sia più una discriminante. Siamo convinti che noi e le nostre colleghe di lavoro abbiamo la professionalità, acquisita anche con anni di lavoro,per capire e segnalare eventuali criticità dell’utente siano esse di tipo clinico e sociali.
La pandemia doveva cambiare tutto
La pandemia che ha colpito in prevalenza la popolazione anziana e fragile ha portato alla luce le carenze del nostro sistema socio sanitario. La popolazione più debole ha visto accentuarsi la solitudine e la necessità di aiuto per mantenere una modalità di vita dignitosa. Durante la pandemia gli operatori domiciliari hanno sempre svolto il loro lavoro entrando nelle case delle persone fragili nelle quali nessuno, neanche i parenti stretti avevano accesso e dove hanno cercato, con estrema difficoltà di soddisfare i bisogni, facendosi a volte carico di problematiche non di loro competenza e lavorando in condizioni di estremo rischio, privi di ogni sicurezza. Nessun premio per noi operatori dei servizi appaltati nemmeno la misera cifra riconosciuta agli operatori sanitari pubblici per il rischio durante la pandemia.
Ora con il nuovo appalto in cui le ore non vengono garantite, rischiamo di essere puniti ancora di più anche sul piano salariale e dei propri diritti., se il monte ore non potrà essere garantito. Con il PNRR arriveranno fondi di cui una parte parrebbe destinata alla domiciliarità non solo per quel che riguarda le cure sanitarie ma anche per tutti quegli interventi che possono consentire la permanenza a domicilio , evitando ospedalizzazioni inappropriate o ricoveri in RSA. Chiediamo quindi che anche la Regione Toscana e il Comune di Firenze incrementino con le dovute risorse questi servizi, a supporto della popolazione anziana e a valorizzazione del ruolo dell’assistenza domiciliare.
Cosa vogliamo e cosa chiediamo
- Vogliamo un aumento dell’investimento nel settore che permetta il blocco delle riduzioni di orario del servizio domiciliare e il riconoscimento vero del nostro lavoro.
- Vogliamo un servizio che risponda realmente ai bisogni dell’utenza e non ai vincoli di bilancio.
- Vogliamo avere il tempo per svolgere il nostro lavoro in modo dignitoso.
- Vogliamo un’organizzazione del nostro lavoro che non preveda buchi di orario , con allungamenti indiscriminati dell’orario di lavoro, messa a disposizione di mezzi idonei per lo svolgimento del servizio e/o rimborsi per l’uso del mezzo proprio, che non sia la misera cifra forfettaria di 35 euro che copre poco più del costo di una settimana, senza contare l’usura del mezzo e l’eventuale rischio di danni a nostro carico.
- Vogliamo una sede da cui prendere servizio, dove procurarsi i DPI necessari e confrontarsi con i responsabili e fra colleghi sulle problematiche quotidiane, per un miglior coordinamento nello svolgimento del servizio.
- Chiediamo alle Istituzioni la valorizzazione di questo servizio sia in termini quantitativi che qualitativi e alle associazioni e ai cittadini di sostenere la nostra lotta per un miglioramento della qualità e quantità dei servizi e per il miglioramento delle nostre condizioni lavorative.
Per la dignità del lavoro e la qualità dei servizi