Salute mentale a Sollicciano? Solo contenimento sociale

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Venerdì di fine luglio a San Salvi, sede della “Società della ragione”, quinto anniversario della scomparsa di Sandro Margara, padre della Riforma carceraria mille volte tradita, si presenta il rapporto di ricerca “Salute mentale e assistenza psichiatrica nel carcere di Firenze Sollicciano”, curata da Giulia Melani, Katia Poneti e Lisa Roncone con la supervisione scientifica di Franco Corleone. In premessa ai lavori si presenta l’edizione aggiornata dell’antologia di scritti di Margara La Giustizia e il senso di umanità, una pubblicazione da adottare come libro di testo per coloro che operano in carcere, anche suddivisa in fascicoli tematici per favorirne la lettura.

#242 Fuori Binario
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Uno di questi dovrebbe riguardare la salute in carcere visto che la popolazione detenuta, anagraficamente giovane, presenta un complessivo stato di salute assai peggiore rispetto alla popolazione libera. C’è caldo nella sede dell’incontro ma nel carcere ad alta temperatura di Sollicciano oggi le celle devono essere forni. La ricerca fornisce un primo quadro di conoscenza sul funzionamento del modello di assistenza psichiatrica e di tutela della salute mentale in carcere dopo l’abolizione degli Ospedali psichiatrici giudiziari.

Prima della loro chiusura i detenuti che nel corso della carcerazione manifestavano forme di disagio psichico, i cosiddetti “folli rei”, vi venivano inviati in osservazione psichiatrica e il più delle volte vi rimanevano. Questa sorta di orribile travaso non è agibile con le R.E.M.S (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), destinate principalmente agli autori di reato riconosciuti infermi di mente in sede processuale, per cui la questione delle situazioni di “disordine comportamentale”, ritenute ingestibili nel sistema organizzativo dell’istituto penitenziario, si manifesta con maggiore eclatanza. Si tratta di un tema che è stato spesso sovraccaricato di stereotipi e luoghi comuni che rischiano di nutrire una nefasta “nostalgia” dei manicomi.

La questione è esattamente un’altra: il carcere rappresenta un fattore patogeno che predispone all’insorgenza e allo sviluppo di diverse forme di disagio mentale. Lo conferma il fatto che disturbi psichiatrici sono stati diagnosticati in circa il 35% della popolazione penitenziaria, in particolare quelli correlati alla dipendenza da sostanze stupefacenti insieme ai disturbi di personalità e a quelli connessi a sintomatologia ansiosa e depressiva. La serie delle rilevazioni condotte dall’Agenzia Regionale di Sanità Toscana sullo stato di salute della popolazione detenuta nelle carceri della regione mostra come costante che i disturbi psichici sono sempre quelli percentualmente più incidenti, il 49,2% nel 2021, in preoccupante crescita rispetto alle rilevazioni precedenti.

In linea con questo andamento l’assunzione dei farmaci riguardanti il sistema nervoso costituisce il 53, 5% del totale tra ansiolitici, antipsicotici, antidepressivi, sedativi e altri. A circa 15 anni dal passaggio alla competenza regionale e delle Aziende sanitarie locali dell’assistenza medica penitenziaria la tutela della salute mentale in carcere resta un nodo di particolare problematicità. In particolare l’intervento di tutela è reso particolarmente complicato nel contesto carcerario dal difficile dialogo tra le finalità di controllo dell’istituzione penitenziaria e quelle di tutela della salute della cultura socio-sanitaria.

Nonostante i protocolli esistenti sopravvivono nodi normativi e culturali ancorati alla funzione di contenimento sociale del carcere che rendono difficoltosi i percorsi di prevenzione e di cura. Questi, a loro volta, sono largamente insufficienti e organizzativamente non sono in grado né di fornire quella continuità terapeutica che sarebbe necessaria né di rendere partecipe il soggetto in cura della propria condizione di salute, restituendogli un ruolo attivo nel percorso di riappropriazione della propria integrità fisica e mentale. Nella gran parte dei casi la presa in carico e il programma trattamentale si svolge nelle sezioni detentive ordinarie altrimenti, nei casi di patologie gravi, è prevista la collocazione del soggetto in cura in appositi spazi, a gestione medico-psichiatrica, denominati ATSM (Articolazione Tutela Salute Mentale), ricavati all’interno del carcere, dove è possibile strutturare un intervento intensificato con minori difficoltà rispetto alle sezioni ordinarie.

A Sollicciano è presente l’unica ATSM della regione (attivata nel 2019), per circa 8 posti, e qui vengono trasferiti dagli altri 15 carceri toscani i detenuti con una diagnosi di patologia grave. Al grande carcere fiorentino è dedicata la ricerca qualitativa sul sistema di relazioni tra le diverse aree coinvolte a vario titolo nel modello di gestione della salute mentale: area sanitaria, giudiziale, penitenziaria, socioassistenziale.

Le interviste ai rappresentanti delle istituzioni interessate hanno messo in luce punti di convergenza sugli aspetti più generali come la concezione multifattoriale della salute mentale o il profilo patogeno del carcere ma anche evidenziato scollamenti di responsabilità sulla presa in carico e conflitti di competenze tra il polo sanitario e quello penitenziario, in particolare rispetto alla catalogazione e gestione di quei disturbi psicosociali, di quei comportamenti oppositivi, di rottura della routine carceraria, di contrasto, che il presidio sanitario non ritiene appartengano alla sfera delle patologie psichiatriche. Su questioni delicate e complesse come l’assegnazione alla Atsm o il reingresso nella sezione ordinaria si possono manifestare importanti divergenze di vedute.

Ultima considerazione: nel microcosmo carcerario il presidio della sanità pubblica sembra ancora un avamposto in territorio di confine, le voci della ricerca indipendente possono renderlo meno lontano.

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Corrado Marcetti

Architetto, è stato collaboratore dell’architetto Giovanni Michelucci con cui ha partecipato ai progetti del “Giardino degli Incontri” nel complesso penitenziario di Sollicciano a Firenze, del “Parco nautico dei Renai” a Signa e del “Complesso teatrale” a Olbia, oltre che allo studio per il recupero urbano della Villa Ambrogiana di Montelupo Fiorentino. Ha diretto la Fondazione Michelucci con cui ha condotto studi e ricerche sui temi dell’habitat sociale e dei modelli insediativi e abitativi con particolare attenzione agli aspetti di innovazione sociale.

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