Se questo è un pollo

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Ulisse Aldrovandi, naturalista, botanico ed entomologo bolognese, realizzatore di uno dei primi musei di storia naturale, negli ultimi decenni del Cinquecento studiò i polli, amò questi animali e scrisse un libro dal titolo De Gallinis patavinis, in cui ci ha lasciato una descrizione di un gallo come “il perfetto esempio del buon padre di famiglia”. Nella sua casa di campagna allevò anche una gallina che si aggirava per casa tutto il giorno e la sera non andava a dormire in nessun luogo che non fossero i libri di Aldrovandi. Le cose sono assai cambiate da allora se 50 giorni e 2,650 chili di peso è quanto oggi intercorre tra la schiusa dell’uovo e il giorno della morte di una creatura nata sotto il segno del neoliberismo, con ascendente nell’ingegneria genetica e segni particolari petto e cosce abnormi. Si chiama “broiler” o anche “pollo a rapido accrescimento” e in natura non esiste, per incontrarlo occorre entrare in un allevamento destinato alla produzione intensiva di carne. Il pollo broiler è un ibrido commerciale, creatura incapace di riprodursi, frutto di incroci di razze diverse per ragioni di mercato: più carne, meno tempo. Mentre un pollo non broiler peserebbe circa 1,2 kg verso i 4 mesi d’età, i broiler arrivano a pesarne quasi 3 in meno di 50 giorni di vita e questo consente di mettere in vendita solo le parti preferite dal consumatore: vaschette di sole cosce, di sole ali, di soli petti. Nonostante gli scarti, il prezzo al consumo cala e aumenta il profitto degli allevatori, ma il prezzo più alto lo paga il pollo, che nonostante tutto è ancora un animale anche se – come direbbe il pensatore antispecista Massimo Filippi, autore di testi come L’invenzione della specie (Ombre corte 2016) e Crimini in tempo di pace (con Filippo Trasatti, Elèuthera 2013) – è stato sottratto all’animalità e inserito nel meccanismo del profitto.

Contronatura

Aumentare di 400 volte il tasso di crescita di un pollo, che negli anni ’50 impiegava 6 mesi per raggiungere il peso che oggi raggiunge in sette settimane, non è un’operazione innocente e priva di conseguenze: la crescita della massa carnosa non corrisponde a quella del sistema muscolo-scheletrico e cardio-respiratorio, per cui il pollo non sempre riesce reggersi in piedi e spesso crolla a terra con le gambe divaricate, sotto il peso di parti del corpo cresciute in modo abnorme che non arriva a controllare, ansimando, finendo i suoi tristi giorni in una posizione detta “splay leg”. A questo strazio si aggiungono problemi oculari e lesioni cutanee che rendono la breve vita di questi pulcini una spaventosa agonia. Le principali associazioni animaliste (Essere Animali, Animal Equality e Lav) hanno documentato le tribolazioni dei polli broiler svolgendo molte investigazioni all’interno dei mega-capannoni nei quali vengono ammassati all’ingrasso tra i 20.000 e i 30.000 individui, filmando polli morti di inedia solo perché una volta caduti non sono più riusciti a sollevarsi.

Al macello la lama con la quale vengono tagliate le loro gole è posizionata a un’altezza prestabilita e quando gli animali non sono tutti di grandezza uniforme il meccanismo s’inceppa e il macello procede a multare l’allevatore colpevole di aver rallentato la catena di “smontaggio”, per questo motivo all’interno dell’allevamento si procede giorno per giorno all’eliminazione di tutti quei soggetti colpevoli di un “mancato incremento ponderale” (una sorta di “giusta causa”), uccisione che spesso avviene nei capannoni stessi ad opera degli operai, di fronte agli altri individui, con torsione del collo e altri metodi spicci, come ha ben documentato un’inchiesta della trasmissione Report sull’allevamento italiano Fileni che ogni anno alleva 50 milioni di polli. Nel servizio si apprende che questi Frankenstein piumati possono anche essere proposti in versione “biologica”, purché i mangimi siano certificati e i farmaci un po’ ridotti.
La denuncia
Nel giugno 2022, l’associazione internazionale Animal Equality ha depositato presso la Commissione europea una denuncia contro i 27 Stati membri, sostenendo che l’allevamento dei polli broiler, condannati a sviluppare gravi patologie per tutta la durata della loro breve vita, viola la normativa UE sul benessere degli animali allevati. L’allevamento dei broiler sarebbe palesemente in contrasto sia con quanto disposto dall’articolo 13 del Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione europea, che riconosce gli animali quali esseri senzienti, sia con la direttiva 98/58 del Consiglio Europeo del 20 luglio 1998 riguardante la protezione degli animali negli allevamenti, che prescrive, in particolare, che agli animali non vengano provocati “dolori, sofferenze o lesioni inutili”. La Commissione europea ha riconosciuto l’esistenza della problematica sollevata e ha annunciato alcuni interventi nell’ambito della revisione della legislazione sul “benessere degli animali allevati”, in corso nel 2023, anche sulla base del parere scientifico dell’EFSA (agenzia dell’UE per la Sicurezza Alimentare).
Reazioni diverse sono state ottenute nel nostro Paese da Animal Equality Italia, che si è rivolta al governo italiano attraverso un’interrogazione in Commissione Agricoltura della senatrice Gisella Naturale del Movimento 5 Stelle e sottoscritta da altri 14 senatori, che chiedeva ai Ministri competenti di mettere al bando l’allevamento dei polli ibridi broiler per il dolore e le sofferenze che devono patire, sofferenze congenite definite “inutili” e pertanto da evitare, come stabilito dalla legge europea. La normativa europea proibisce dunque le sofferenze inutili legittimando implicitamente quelle “utili”: l’allevamento implica il fatto di considerare accettabile la sofferenza connaturata alle privazioni inflitte agli individui sfruttati a scopo commerciale, e già questo è sufficientemente problematico, ma il caso del pollo broiler aggiunge a tali privazioni un elemento intrinseco di deformazione e sofferenza fisica, che può essere evitata solo rinunciando a far nascere e allevare questo zombie semi-animale.
Dalla parte del profitto
Se è immaginabile – per quanto orribile – che le imprese difendano la loro libertà di fare profitto a discapito degli animali, meno legittima e comprensibile è la reazione che ha avuto il Governo italiano che, in risposta all’interrogazione della senatrice Naturale, ha sostenuto che la selezione genetica dei polli a rapido accrescimento non solo è in linea con un fantomatico “benessere animale” e un’altrettanto fantomatica “sostenibilità” (ignorando la problematicità riscontrata dalla stessa Commissione europea nell’allevamento di questi animali) ma ha anche assicurato che la normativa italiana sulla protezione del “pollo da carne” è la più avanzata nel panorama internazionale, screditando così anche EFSA, che ha ammesso le ripercussioni della selezione genetica sulla qualità di vita dei polli. La posizione italiana non sorprende: le istituzioni sono da anni appiattite sulle posizioni delle confederazioni di agricoltori e allevatori, e per le scelte operative sembrano avere assunto il loro stesso sbrigativo cinismo.
Basti pensare alla questione dei selvatici: prima i cinghiali, poi i lupi, oggi gli orsi, sempre affrontata proponendo logiche di emergenza, invocando con deboli motivazioni la riduzione numerica, delegando ai cacciatori e alle loro armi ogni possibile soluzione. Gli animali vengono costantemente indicati come responsabili della crisi di settori – in particolare la produzione casearia, ma anche la filiera non intensiva della carne – che, per la verità, sembrano in difficoltà soprattutto per ragioni di mercato, e sorprende come le istituzioni interpretino lo stesso punto di vista di chi ha particolari interessi economici, escludendo in partenza di compiere un percorso diverso, che guardi a più interessi, incluso quello ecologico, attraverso un esame attento, non rabbioso e preconfezionato, dei problemi, tenendo nella dovuta considerazione la dignità degli animali e il criterio della giustizia e della convivenza tra specie.
Violenza genetica
Se sui selvatici l’avversione nutrita da allevatori, agricoltori e rappresentanti istituzionali si sta consolidando attorno a precisi interessi economici e ideologici, sul tema del maltrattamento genetico subìto dai broiler (e da tutti gli animali allevati) sembra esserci negazione dell’evidenza o imbarazzata sordità. Ma il fatto che fare accoppiare animali vicini geneticamente porti a tare e malattie è ormai apertamente dichiarato sia dagli ordini veterinari sia da singoli studiosi come Massimo Raviola, veterinario torinese autore del libro Che razza di bastardo (L’Età dell’Acquario 2019), nel quale l’autore denuncia il fatto che in natura gli animali sono progettati per non fare caso all’individuo con cui si accoppiano, rafforzando la ricchezza genetica e di conseguenza la salute dei nascituri, che diventano sempre più robusti e adatti all’ambiente.
Far diventare l’animale un oggetto commerciale o produttivo attraverso il maltrattamento razziale e genetico crea inevitabilmente animali malati, tant’è che ormai i manuali di studio delle patologie veterinarie sono organizzati “per razze”. Come sostiene Raviola, gli umani praticano da sempre la selezione razziale degli animali allevati e tornare indietro è ormai impossibile ma potrebbe essere sensato concepire un metodo di selezione più rispettoso dell’animale, evitando corredi genetici molto vicini ed evitando di incrociare parenti stretti, come si è fatto con i polli broiler.
L’ipocrisia del benessere animale
Di fondo c’è poi l’ipocrisia della definizione stessa di “benessere animale”: la senatrice Julia Unterberger, durante la sua presidenza dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e l’ambiente, ha affermato che la legislazione esistente è ancora ampiamente inadeguata non solo sul benessere ma anche sulla violenza nei loro riguardi. Infatti, sebbene gli animali abbiano una tutela giuridica derivante dal loro riconoscimento come individui senzienti, questa protezione presenta una serie infinita di eccezioni: le norme penali a tutela della vita animale non si applicano per allevamenti, trasporti, macellazione, circhi, zoo, caccia e manifestazioni storico-culturali. Il “benessere animale” dunque al momento è un’ipocrisia, e quando ci si riferisce ad animali nati per morire si traduce, nella migliore delle ipotesi, in una minima riduzione del danno. Di fatto, per l’80% degli animali viventi il trattamento crudele è del tutto legale e il benessere è rimesso totalmente al buon cuore di chi li possiede o gestisce.
Eppure il 7 luglio 2012 un gruppo internazionale di autorevoli scienziati tra i quali Stephen Hawking, ha firmato la Dichiarazione di Cambridge della Coscienza, che sulla base di una enorme quantità di evidenze scientifiche dimostra come la maggior parte degli animali siano “coscienti e consapevoli nella misura in cui lo sono gli esseri umani”. La lista delle specie cui si riferisce la Dichiarazione comprende animali che hanno seguito tracce evolutive assai distanti da quella umana, come ad esempio gli uccelli, classe animale che comprende anche i polli. In Italia, secondo i dati dell’Anagrafe Nazionale Zootecnica, i polli macellati sono più di 550 milioni ogni anno, il 98% dei quali sono polli a rapido accrescimento, spettri nati in una macchina incubatrice, destinati al macello quando ancora pigolano chiamando una chioccia che non hanno mai incontrato e considerati – da noi umani – come carne da consumo la cui unità di misura non è il numero di individui bensì il loro peso: il consumo mondiale di carne di pollo, pallido riflesso di quel “Gallus gallus domesticus” che fu, viene calcolato in milioni di tonnellate.

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Camilla Lattanzi

Camilla Lattanzi vive a Firenze con Lorenzo, Durrina e Berneri. Ha collaborato e pubblicato articoli in numerose riviste (Altracittà, Altreconomia, Terra Nuova, Fuori Binario). È autrice e conduttrice della trasmissione radiofonica Restiamo animali (Radio Fujiko Bologna, Radio fragola Trieste, Radio Tandem Bolzano, ecc). Da 20 anni organizza a Firenze incontri pubblici per promuovere consumo critico, antirazzismo, nonviolenza e cultura antispecista. Ha prodotto i podcast A volte non ritornano e Lo scherzo, andati in onda su Rai Radio Tre. Vegana dal 2010, è amica della nonviolenza e dell’antispecismo.

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