Toscana da eolizzare per salvare il pianeta?

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La Toscana viene investita da nuovi progetti eolici di grande taglia in terraferma, con aerogeneratori sempre più alti (1).

La dottrina del passaggio alle rinnovabili, nella sua forma pura e dura, sembra prevedere l’installazione in Italia nei prossimi anni di qualcosa come 5000 impianti come quello del Giogo di Villore (Mugello) e di una superficie di pannelli fotovoltaici pari al triplo della superficie dei tetti esistenti in tutto il territorio nazionale (2).

I progetti già in corso di approvazione in Toscana sono dunque solo delle avanguardie che saggiano la risposta delle autorità regionali e delle comunità locali, ma è evidente l’intenzione di questo settore industriale e finanziario di accedere a tutte le aree dove c’è vento, che coincidono con i crinali montani e altri punti panoramici e forestali, e questo non solo per creare gli impianti veri e propri, ma anche le strade di accesso per il transito dei necessari mezzi eccezionali e per i cavidotti. Questi ultimi possono essere anche molto lunghi perché non c’è relazione scontata di prossimità tra le zone ventose e le dorsali dell’alta tensione che vanno raggiunte per l’immissione dell’energia in rete e perché queste opere nulla hanno a che fare con l’idea di comunità produttive locali e di energia distribuita. Si tratta piuttosto di convogliare energia verso le zone industriali, soprattutto del nord: e la Toscana, se è meno interessante del sud per la quantità di vento, può compensare in parte questo svantaggio con la posizione geografica.

Perché concentrare ora l’attenzione critica sugli impatti degli aerogeneratori piuttosto che su quelli delle centrali fotovoltaiche?

Per una questione di maggiore e più urgente pericolo: i pannelli per quanto brutti e impattanti si potranno un giorno smontare e non lasceranno quasi traccia, almeno sul luogo. Un aerogeneratore invece, che pesa centinaia di tonnellate e che ha sotto terra un plinto di calcestruzzo armato di 1700 tonnellate, è una faccenda molto diversa e nel delicato paesaggio italiano comporta una manomissione irreversibile. Inoltre gli impianti fotovoltaici non richiedono né mezzi di trasporto eccezionali né nuove strade particolari. Avere una abitazione vicino a un impianto fotovoltaico non sembra comportare danni gravi, mentre averla vicino a un impianto eolico può voler dire la rovina del proprio progetto di vita. Il rischio maggiore degli impianti fotovoltaici messi in aperta campagna è che la loro occupazione di suolo, attualmente classificata come “temporanea” (3), possa aprire la strada a forme definitive di artificializzazione e impermeabilizzazione. Quello che hanno in comune invece le due forme di energia rinnovabile di nuovo tipo cioè eolico e solare è una serie di grandi punti interrogativi a cui al momento è presunzione sciocca dare risposte certe: se generalizzate, avrebbero la intensità energetica sufficiente a tenere in piedi un sistema industriale? Si riuscirà a risolvere la questione dell’intermittenza e dell’imprevedibilità? Il loro reale ciclo di vita quanta CO2 emette? E tante altre, soprattutto riguardanti il problema delle risorse minerarie (4).

Qui da noi, come altrove, i promotori di queste opere usano due diversi ragionamenti giustificativi, uno basato sulla rassicurazione, e uno invece sulla paura. Il primo ragionamento che viene usato è esposto in linguaggio tecnico e depositato nei documenti: per ogni determinato impianto si cerca di dimostrare che non comporta impatti gravi o illegittimi. Il secondo ragionamento rappresenta però il vero asso che viene giocato per superare di slancio le falle spesso evidenti del precedente, e consiste nell’evocare uno stato di necessità ambientale inderogabile, che imporrebbe comunque di aprire la strada all’occupazione eolica. Le direttive dell’Unione Europea e la legislazione nazionale e regionale sono state profondamente influenzate da questa impostazione e l’hanno rilanciata e resa dottrina ufficiale con il Green New Deal, il Repower EU ecc., che portano a emarginare la legislazione protettiva del territorio in teoria ancora vigente: in Toscana, in particolare, il nostro ammirevole Piano di Indirizzo Territoriale-Piano Paesaggistico. I governanti regionali e diversi amministratori locali in cerca di soluzioni energetiche green spendibili a breve sono ben lieti di farsi primi della classe di una visione che è colonna portante delle alleanze politico-economiche che governano attualmente l’UE.

Ora, parlare solo di crisi climatica invece che di crisi ecologica, e solo di transizione energetica invece che di transizione ecologica, può essere una innocente “sineddoche”, per riferirsi al tutto mediante una sua parte, oppure può essere un modo molto meno innocente per far pendere il discorso pubblico verso il soluzionismo tecnologico proposto dall’industria e dalla finanza riverniciate di verde. A volte si verifica addirittura il fenomeno opposto alla sineddoche, una specie di furto del nome per cui si dice transizione ecologica ma si intende solo transizione tecnologica. La crisi ecologica nel suo insieme e nella sua complessità viene messa in disparte (5).

La legislazione ispirata dal capitalismo green e dalle sue potenti lobbies contempla infatti al primo posto la sostituzione energetica con le fonti rinnovabili tramite il mercato, ben sostenuto però da varie forme di sovvenzione pubblica: siamo di fronte allo sviluppo di un nuovo gigantesco settore di capitalismo assistito. Un esempio di questo capitalismo assistito sono i finanziamenti privilegiati decisi a spron battuto dall’UE proprio in questi giorni a favore del settore, cioè installatori e produttori di pale eoliche, questi ultimi erano o sono sull’orlo del fallimento non per un problema di domanda di mercato ma di costi(6).

Di contorno alle energie rinnovabili è poi previsto l’efficientamento, compreso quello delle infrastrutture ottenuto mediante la digitalizzazione, il cablaggio, l’uso di sensori, droni, satelliti, radar, telecamere, l’intelligenza artificiale, e l’interconnessione capillare permanente di tutti e tutto. Questo progetto globale del capitalismo, che ad alcuni può apparire mirabile ad altri distopico, viene di solito definito come “transizione energetica unita a transizione digitale e industria 5.0” essendo quest’ultima un modello di impresa caratterizzato dalla cooperazione uomo-macchina per la produzione di merci personalizzate ai consumatori, evoluzione dell’Industria 4.0 basata sullo sviluppo a ritmi serrati di sempre più potenti tecnologie, in particolare nei settori dell’informatica, intelligenza artificiale e robotica.

Ne fa parte integrante il rilancio dell’auto individuale come auto elettrica o ibrida, e basata sulla guida autonoma o semiautonoma, che non è più un oggetto-veicolo a se stante, ma appunto il terminale di piattaforme di software e di servizi che corrono sul 5G e sulla rete satellitare.

Questo progetto, che investe tutto il mondo occidentale, e a cui la Toscana si accoda, è innervato con le tecnologie di intelligence e sicurezza. In Italia uno dei promotori massimi di questa visione ipertecnologica delle infrastrutture, specie urbane, è non a caso il gruppo Leonardo che ha il suo core business nell’industria degli armamenti. Il Sole 24 ore del 4.11.23 pag. 18 ha pubblicato il dossier Smart City, interamente ispirato alla documentazione aziendale di Leonardo. Nell’articolo di Claudia La Via si legge per esempio: “Gestione intelligente della mobilità, potenziamento della sicurezza, ma anche attenzione all’ambiente e a una gestione sociale ed economica più equa…la tecnologia e la digitalizzazione però, da sole, non bastano: occorre una vera intelligenza diffusa capace di dare un senso a tutte le informazioni e i dati raccolti. Per questa ragione oggi sta prendendo piede un nuovo sistema di gestione che ha nome Global Monitoring. Grazie a sistemi di comunicazione, piattaforme, sensori, satelliti, radar, soluzioni di cyber security e sistemi di intelligenza artificiale per operazioni di ricognizione, identificazione e intelligence (!), è possibile infatti non solo garantire la sicurezza di territori, infrastrutture critiche e trasporti, ma anche tutelare gli ecosistemi”. Ovviamente tutto ciò non ha proprio più nulla a che fare con la speranza originaria dell’economia verde, che significava iniziativa dal basso, fortemente pacifista, con al centro l’etica della sobrietà, della lentezza, del valore d’uso, e della comunità creativa e low-tech (dotata di tecnologie semplici), per un diverso rapporto con la natura.

Nel capitalismo green è protagonista invece il tecnofeudalesimo di Zuckerberg, Musk, Gates e simili personaggi della costellazione detta Big Tech. Costoro annunciano uno scenario accelerazionista spinto fino al trans-umanesimo dove si continua ad accrescere la ricchezza misurabile e acquistabile con denaro, e si preservano grazie a questo gli ecosistemi, e si pensa di trasferire questo tipo di civiltà basata sull’artificialità spinta e sulla mercificazione assoluta anche nello spazio.

Però non si vede da nessuna parte il decoupling, cioè il promesso disaccoppiamento tra crescita dell’economia e crescita delle emissioni (che sono la parte gassosa dei rifiuti).

Gli scarti solidi e gassosi aumentano con il prodotto interno lordo, e scendono con esso solo in coincidenza di crisi come il Covid o il crollo delle borse, per il semplice fatto che non esistono merci immateriali, consumi immateriali, crescita immateriale.

L’efficientamento energetico perseguito nei casi virtuosi a livello aziendale non abolisce la tendenza generale alla crescita delle emissioni.

La causa di quest’ultimo fenomeno controintuitivo è che i vantaggi che un’impresa ricava dall’efficientamento vengono reinvestiti nell’azienda stessa o altrove per accrescere i rendimenti monetari degli azionisti e per proteggersi dalla concorrenza in un mercato aperto dei capitali e delle merci, e quindi proteggere il valore delle azioni, in una spirale senza fine.

Inoltre la guerra sta cambiando la visione dell’energia degli Stati perché la sta facendo considerare sempre di più asset strategico. Il clima di contrapposizione mondiale spinge gli Stati ad accaparrarsi tutte le risorse energetiche: carbone + petrolio + gas + nucleare + rinnovabili.

E non è un caso infatti se le fonti di energia rinnovabile già installate non si stanno andando purtroppo a sostituire, come nella narrazione rassicurante dell’energia pulita, ma si stanno andando ad addizionare a quelle fossili.

Dal 1995 a oggi sono stati emessi più gas serra che da 1750 al 1995 (7).

Inoltre gli aumenti di produttività delle fonti di energia rinnovabile, raggiunti grazie agli incentivi pubblici, arricchiscono chi le installa-gestisce e vende la corrente prodotta, e non fanno diminuire di un centesimo le nostre bollette, e questo per un meccanismo economico artificiale, diciamo pure un privilegio.

La complessità dei mercati energetici continua a venire utilizzata esclusivamente a vantaggio dell’oligarchia. L’abolizione dei settori di maggior tutela è l’ultimo vergognoso capitolo di questa vicenda di espropriazione alla rovescia, cioè dal basso verso l’alto, che è la storia delle privatizzazioni dei sistemi energetici (8).

In conclusione, anche in Toscana, gli impianti di energia rinnovabile possono essere utili solo se fanno parte di una trasformazione che contempli l’intervento su tutti gli aspetti della crisi ecologica, e del controllo pubblico e di comunità sull’energia, in una visione cioè di transizione ecologica dal basso e di giustizia climatica, che è un principio che non deve essere applicato solo al rapporto nord-sud, ma anche nord-nord. Ciò significa anzitutto: in un quadro di difesa intransigente della naturalità residua e di riduzione di CO2 attraverso la sobrietà e di maggiore “lentezza” delle nostre vite, non in una prospettiva accelerazionista, nevrotizzante e alienante.

Quello che invece si sta prospettando con i progetti di grandi impianti in corso, anche in zone forestali, è un sacrificio ulteriore di natura e di paesaggio nell’intento di superare con metodi ingegneristici le emissioni di CO2 lasciando intatto il paradigma della crescita. Dopo un po’ di tempo tutti si accorgeranno, temo, che i boschi sono stati sacrificati all’addizione energetica e al sacro valore strategico degli asset energetici, e ai profitti privati, e non alla transizione né energetica né tanto meno ecologica, ma sarebbe meglio evitare di accorgersene troppo tardi.

I drammatici eventi delle frane e delle alluvioni(9)indicano la via per una Toscana più verde: tra le cose da attuare stanno le stesse direttive europee sull’obiettivo 30 % di aree protette, obiettivo poco noto e ancor meno rispettato forse perché non produttivo di profitti immediati.

NOTE

1 Monte Giogo di Villore, Mugello, 7 aerogeneratori di circa 165 m. rotore compreso; c’è poi il progetto denominato “Badia del Vento”, previsto nel comune di Badia Tedalda (AR) ma con impatti anche nel comune di Casteldelci (RN) ed in altri territori limitrofi con 7 aerogeneratori di 180 m di altezza, ed è il primo di una serie di progetti adiacenti come quello denominato “Poggio Tre Vescovi”, e tutti rivolti nel crinale Tosco-Romagnolo tra parchi e aree naturali protette dell’alta Valmarecchia e Valtiberina. Infine nel comune di Orbetello è proposto un impianto di nove aerogeneratori di 200 metri e in quello di Manciano uno di otto generatori di 200 metri che sta creando particolare scandalo perché distruggerebbe il buio necessario a un osservatorio astronomico che si era spostato in quella zona a questo scopo, cioè per sfuggire all’inquinamento luminoso ormai quasi onnipresente (basta guardare le foto satellitari). Uno degli aspetti meno noti ma più sgradevoli dell’impatto degli aerogeneratori, cioè l’illuminazione notturna richiesta dalle esigenze di sicurezza aerea, sta arrivando a conoscenza del pubblico proprio a seguito del caso Manciano.

2 Queste sono almeno le cifre contenute nel libro di Mauro Romanelli La risposta (Firenze, 2023, si veda a pag. 82 e segg.) un testo che condensa in modo nitido e drastico quella che si può definire la risposta tecnologica al problema climatico, dove al centro di tutto sta il fattore tempo che resterebbe (10-20 anni, vedi pag. 114) prima che si raggiungano i punti di non ritorno.

3 Vedi: Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente SNPA Consumo di suolo. Dinamiche territoriali e servizi ecosistemici (ottobre 2023 pag. 44 sgg.)

4 Per quanto riguarda il problema minerario e delle materie prime critiche per la transizione, la questione è estremamente dibattuta e dà luogo a previsioni contrapposte e spesso molto partigiane. Per cominciare a farsi un’idea autonoma niente di meglio che la lettura del ricco rapporto di Enea del marzo 2023 Il problema delle materie prime critiche per la transizione ecologica.

5 Oltre all’aumento del CO2 nell’atmosfera si deve tener conto dell’acidificazione degli oceani, dello spessore dello strato di ozono, del ritmo di estinzione delle specie, dei cicli dell’azoto e del fosforo, del consumo del suolo (comprese le foreste), della disponibilità di acqua dolce, del carico di aerosol e di entità inquinanti artificiali come le sostanze chimiche di sintesi, degli elementi radioattivi e gli OGM. Tutti aspetti che poi interagiscono tra di loro. Chi vuole approfondire il tema controlli i dati e i grafici dello Stockholm Resilience Centre.

6 Per il piano di sostegno al settore eolico dell’UE (ottobre 2023) v. https://italy.representation.ec.europa.eu/notizie-ed-eventi/notizie/la-commissione-definisce-azioni-immediate-sostegno-dellindustria-europea-dellenergia-eolica-2023-10-24_it . La grave crisi di redditività dei produttori di aerogeneratori (non degli installatori) che si è manifestata di recente non è chiaro quanto sia strutturale e quanto contingente, riguardando in particolare gli investimenti nel settore eolico off-shore americano. Secondo Der Spiegel Siemens Energy e i concorrenti come Vestas, General Electric e Nordex si sono impegnati negli ultimi anni in una concorrenza “rovinosa” e hanno immesso sul mercato in rapida successione turbine eoliche sempre più grandi. A ciò si aggiunge la crescente concorrenza dei fornitori cinesi che entrano nel mercato globale con prezzi notevolmente più bassi. Una spiegazione è che si tratti della prima manifestazione della difficoltà di approvvigionamento di materie prime del settore.

7. V. tutto il recentissimo saggio di Paola Imperatore e Emanuele Leonardi L’era della giustizia climatica. Prospettive per una transizione ecologica dal basso ed. Orthotes, Napoli-Salerno, 2023 in particolare l’Introduzione in cui vengono utilizzati i dati del Global Carbon Project.

8. Ai produttori elettrici privati, quindi anche ai produttori da fonti di energia rinnovabile (FER), è consentito di vendere la loro energia all’ingrosso sul mercato elettrico privatizzato, e in particolare sul cosiddetto Mercato del Giorno Prima dove avvengono la maggior parte delle transazioni, a un prezzo detto “marginale”, o “di equilibrio”, che non dipende in sostanza dal reale costo di produzione da FER, ma dal costo di produzione, ben più alto, dell’energia prodotta con le fonti fossili e soprattutto del gas (il cui prezzo va perciò tenuto molto d’occhio). Il differenziale tra costo di produzione e prezzo marginale, detto in termini tecnici “rendita inframarginale”, viene trasferito interamente sui profitti dei produttori, che diventano a volte così superprofitti, mentre il prezzo di borsa e quindi poi le bollette non risentono di alcun sollievo, anzi stanno incamerando tutti i contraccolpi del mercato energetico mondiale e degli effetti della speculazione finanziaria. A questi prezzi di borsa si aggiungono dopo i margini di guadagno dei dettaglianti di energia in pseudo-concorrenza tra loroPer il meccanismo detto del prezzo marginale o prezzo di equilibrio v. Guido Salerno Auletta https://www.teleborsa.it/Editoriali/2022/02/11/prezzi-roventi-regole-inefficienti-1.html

9 Si veda l’intervista ad Alessandro Bottacci ex Direttore del Parco delle Foreste Casentinesi, rilasciata profeticamente pochi giorni prima delle ultime alluvioni in Toscana 

https://www.ilfilo.net/le-foreste-toscane-e-la-transizione-ecologica-intervista-ad-alessandro-bottacci/

*Residente per lo più nella campagna di Vicchio, Paolo Chiappe ha partecipato con osservazioni e articoli alla procedura autorizzativa per l’impianto eolico Giogo di Villore

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Paolo Chiappe

Paolo Chiappe, fiorentino, ex insegnante, da molti anni vive soprattutto nella campagna di Vicchio. Redattore di riviste della scuola, editore del cabreo mugellano dei Georgofili, ha partecipato a diversi movimenti della scuola, politici e del territorio e ora fa parte di uno dei gruppo di cittadini che elaborano le osservazioni al progetto Giogo di Villore.

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