1948-2025, 77 anni di resistenza. Il 17 maggio Firenze in piazza per la Palestina

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A distanza di 77 anni dal 1948, quando fu proclamato lo stato di Israele con la cacciata di oltre 700.000 palestinesi dalle proprie terre, stiamo per assistere ad una nuova offensiva nella Striscia di Gaza assediata. La Nakba, che il popolo palestinese ricorda il 15 maggio di ogni anno, non si è mai interrotta, e con il genocidio in atto attraversa la sua fase peggiore.
Con un videomessaggio su X il 5 maggio il presidente israeliano Netanyahu ha annunciato che i soldati israeliani entreranno a Gaza nei prossimi giorni, e lo faranno con l’intenzione di restarci. La popolazione di Gaza dovrà essere spostata, per la sua protezione.
Il piano di conquista va di pari passo con quello proposto da Israele per la gestione degli aiuti umanitari: gli aiuti dovranno essere distribuiti presso centri di distribuzione situati nel sud di Gaza, nella zona di Rafah, a cui si potrà accedere dopo un controllo “di sicurezza” basato su riconoscimento facciale. Tom Fletcher, responsabile dell’agenzia delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari (OCHA), ha dichiarato che questo piano non è altro che una foglia di fico dietro alla quale si nasconde un progetto per ulteriori violenze e sfollamenti. Fuori da Gaza ci sono chilometri di camion incolonnati, ma Israele dal 2 marzo nega ogni accesso, “con l’obiettivo di spopolare Gaza dai suoi abitanti”.
Il Times of Israel riporta dichiarazioni del premier israeliano per cui: “stiamo distruggendo sempre più case, cosicché i palestinesi non avranno nessun posto dove tornare”. L’occupazione di Gaza e la deportazione dei suoi abitanti è ostacolata unicamente dalla necessità di trovare paesi che li accolgano, per Netanyahu. Dichiarazioni se possibile ancora più esplicite sono quelle dei ministri Ben Gvir, che ha parlato di bombardare i magazzini di cibo (ed è stato fatto), e Smotrich, che in una intervista ha parlato di Gaza come di una “infrastruttura terroristica” che sarà completamente distrutta, e i suoi abitanti trasferiti nell’area di Rafah. Il piano approvato dal gabinetto di guerra è esattamente questo: utilizzare la fame come arma per spingere famiglie disperate in campi di concentramento, e da lì trasferirli altrove.
Di fronte a progetti dichiarati di deportazione e di sterminio, in molti si sono finalmente espressi con condanne e appelli.
Ma in oltre un anno e mezzo di genocidio abbiamo capito una cosa: appelli e condanne non servono, Israele va avanti lo stesso. Anche di fronte ad una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che il 25 marzo 2024 ha chiesto il cessate il fuoco, ha continuato a devastare Gaza, perché chi ha il potere di intervenire e mettere in atto politiche concrete non lo fa.
Assistiamo in questi giorni a indiscrezioni e speculazioni, per cui addirittura Trump, offeso dalle manipolazioni di Netanyahu, si appresterebbe a riconoscere lo stato di Palestina. Le voci su una presunta tensione tra i due sembrano essere esclusivamente dovute alla necessità di Trump di non lasciare le sue “impronte digitali” su quanto che sta per accadere a Gaza: questa è l’interpretazione che Robert Jordan, ex ambasciatore USA in Arabia Saudita, ha dato ad Al Jazeera della mancata visita in Israele all’interno dell’ultimo tour in Medio Oriente. Come abbiamo già visto nei mesi scorsi, le voci e le indiscrezioni su presunte pressioni USA o trattative per un cessate il fuoco si sono sempre rivelate utili a far pensare a chi assiste a questo genocidio che in qualche modo c’è chi se ne sta occupando, mentre in realtà il sostegno a Israele è e resta sostanziale.

Il senso dell’appello di Firenze per la Palestina è questo: non aspettare che qualcun altro intervenga, e prende spunto dalle richieste che giungono da Gaza e dalla resistenza palestinese,
che ci chiede di trasformare la solidarietà in azione concreta, ed esorta tutte le persone libere del mondo e tutti coloro che si battono per la giustizia e la libertà ad intensificare la pressione sulle istituzioni perché prendano finalmente posizione con azioni concrete. Il sistema politico, mediatico e accademico italiano, con rare eccezioni, non contrasta Israele, ma continua a sostenerlo attivamente. È fondamentale ed urgente una mobilitazione generale in ogni ambito e un impegno diretto da parte di tutti. La solidarietà deve trasformarsi in lotta, l’indignazione e la rabbia devono essere convogliate verso iniziative concrete. Israele non interromperà la sua campagna di genocidio e pulizia etnica finché non dovrà pagare un prezzo per questo, e l’isolamento economico, politico, diplomatico, culturale, accademico, è il prezzo che noi possiamo riuscire a fargli pagare.
Gli slogan devono lasciare il posto ad iniziative concrete, e le attività in cui impegnarsi sono numerose:
Pressione economica diretta su Israele aderendo alle campagne di boicottaggio.
La richiesta a sindaca e consiglio comunale di interrompere ogni rapporto con Israele e di impegnarsi verso le istituzioni nazionali allo stesso scopo.
La pressione di studenti e docenti dell’ateneo fiorentino per il boicottaggio accademico.
La denuncia della connivenza dei media principali nell’offrire copertura al genocidio fornendo sempre la versione israeliana dei fatti, e l’impegno e la sollecitazione a informare e informarsi in modo autonomo, organizzando volantinaggi, dibattiti, presentazione di libri, informando anche tramite i social.
La campagna di pressione verso la Coop, perché rispetti il proprio codice etico ed interrompa la commercializzazione di prodotti israeliani.
La richiesta a Giani e alla Regione toscana di revocare l’incarico di presidente della Fondazione Meyer a Marco Carrai, console onorario di Israele.
La continua ricerca di dialogo e contatto con associazioni sindacati e partiti per spingerli ad occuparsi della questione palestinese, con proteste scioperi e adesioni alle campagne di boicottaggio organizzate dal movimento BDS.
La presenza nelle scuole e in tutti i dibattiti in cui veniamo invitati, per alzare il livello della consapevolezza della gravità del momento storico in cui ci troviamo, che vede l’Italia e l’Occidente in generale partecipare a quello che è il crimine peggiore dei nostri tempi.

Questi sono tutti esempi di attività che a livello cittadino Firenze per la Palestina ha portato avanti, da sola o in collaborazione con altri gruppi, ed è su queste richieste che è stata lanciata la manifestazione di sabato 17, con ritrovo alle 14:30 in piazza S. Maria Novella.

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Simone Sorani

Simone Sorani, nato a Firenze nel 1981, laureato in Filosofia, lavoro come cuoco. Attivo nel collettivo di Firenze per la Palestina.

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