Pepe Mujica, il riposo del guerriero

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Lo scorso martedì 13 maggio, il presidente uruguaiano Yamandù Orsi ha annunciato la morte del suo predecessore José Mujica, da cui era stato pubblicamente appoggiato in una delle ultime uscite ufficiali. Del resto, Pepe – come tutti lo conoscevano – lo aveva annunciato da tempo: aveva deciso di sospendere le cure chemioterapiche e reclamava il diritto al riposo e a morire in pace, senza essere assediato dalle interviste: ‘Onestamente sto morendo. Un guerriero ha il diritto di riposare’. Oggi il suo corpo giace sotto una sequoia secolare, nel campo che ha sempre coltivato, accanto alla cagnolina Manuela.

Foto di ProToplasma K

José Alberto Mujica Cordano all’anagrafe, il comandante Facundo della guerrilla dei Tupamaros del Movimiento de Liberación Nacional, José Antonio Mones Morelli nei documenti falsi, semplicemente el Pepe per la maggior parte dei suoi sostenitori, uno degli ultimi leader popolari dell’America latina.
A 14 anni, orfano di padre, già appoggiava le rivendicazioni salariali degli operai di Paso de la Arena, sobborgo nella periferia di Montevideo in cui era nato nel 1935. Nel 1964 si unì al Movimento di Liberazione Nazionale dei tupamaros. L’MLN-t fu la prima guerrilla urbana di sinistra dell’America del Sud, influenzata dalla rivoluzione cubana, proclamava la riforma agraria e rubava il cibo ai ricchi per distribuirlo ai poveri, nel nucleo fondatore c’era José Mujica. Lo stato dichiarò guerra ai tupamaros e, nell’aprile del 1972, in uno scontro a fuoco con le forze militari ne morirono 8, i capi della guerrilla furono incarcerati come ostaggi di guerra in condizioni disumane e per Pepe si trattò della quarta reclusione. Una delle fughe dalla reclusione fu leggendaria: i prigionieri scavarono per mesi un lungo tunnel e, nel settembre 1971, 106 guerriglieri, tra cui il giovane Mujica, evasero dal carcere di Punta Carretas.
A quel periodo di lotta risale anche la sua relazione con Lucia Topolansky: si conobbero quando lui aveva 37 anni e lei 27, finché anche lei fu arrestata e le loro vite si separarono per 12 lunghi anni dal 1973 al 1985, il tempo della dittatura militare.

Pepe uscì dal pozzo della prigionia – grazie all’aiuto di Lucia – senza un rene, con sei pallottole nel corpo e con gravi problemi di salute ma con ancora intatta la voglia di sognare e di migliorare il suo paese: nel 1994 fu eletto come deputato a Montevideo, nel 1999 senatore, nel 2005 Ministro dell’Agricoltura Pesca e Allevamento del governo Vazquez e nel 2010 presidente con quasi il 55% dei voti. Il palazzo presidenziale è la fattoria in cui ha sempre vissuto con la compagna, la ex senatrice e vicepresidentessa Lucia Topolansky e i loro animali, coltivando fiori da vendere al mercato in cooperativa insieme ad altre famiglie della zona. Non ha mai abbandonato il suo trattore e il vecchio maggiolino Volkswagen celeste del 1987. Quando entrambi non ci saranno più, la loro casa diventerà una scuola agraria, per insegnare ai giovani a sviluppare il rapporto con la terra e a farne un lavoro consapevole.

Durante i suoi incarichi politici, Mujica si è reso protagonista di varie riforme sociali: nel 2013 l’Uruguay è stato il primo Paese al mondo a statalizzare la produzione, distribuzione, vendita e consumo della marijuana, come alternativa al proibizionismo e come unica forma di sottrarre ricchezza al narcotraffico. Altra strategia riuscita è stata la conversione delle energie del Paese verso le fonti rinnovabili. Infine, la legalizzazione di aborto e matrimonio tra le persone omosessuali. In Uruguay, la terra è fertile ma è in mano a poco più di 500 famiglie di proprietari terrieri e investitori stranieri: quando Mujica diventò presidente, fece approvare una legge che tassava maggiormente propri i grandi latifondisti, ma il Tribunale Costituzionale rese nulla la misura.

Molti crimini compiuti dalla dittatura rimasero impuniti: il Frente Amplio (la coalizione che ha governato l’Uruguay dal 2005) accettò di non applicare alcun effetto penale agli autori come gesto di riparazione perché la guerrilla rientrasse nella legalità stabilita. Lo stesso presidente Mujica aprì le porte alla riconciliazione, deludendo i settori più radicali che lo avevano appoggiato.

Fu criticato sia dai vecchi compagni di lotte per la mancata riforma agraria, sia dai liberisti per l’aumento della spesa pubblica, nonostante la crescita economica del paese e la riduzione della povertà.

Mujica credeva in un paese senza poveri, avrebbe voluto sradicare completamente la povertà dall’Uruguay e una delle misure adottate fu il cosiddetto Plan Juntos, un piano di riabilitazione socio-abitativa a cui il presidente contribuì con il 90% del suo stipendio: quindicimila abitanti di varie città beneficiarono di case nuove, al riparo dall’acqua e dal vento, perché tutti hanno diritto a un’abitazione degna e quartieri con servizi sociali. Il Plan prevedeva che l’amministrazione intervenisse con finanziamenti e macchinari e che gli abitanti mettessero a disposizione la propria manodopera, con il fine di fomentare la partecipazione civica e il lavoro comunitario.

Foto: Ricardo Stuckert/PR

Mujica ha sempre creduto nell’importanza dell’unione dei Paesi latinoamericani in risposta alle sfide globali e in questo era appoggiato dal presidente del Brasile e suo grande amico Luiz Inácio Lula da Silva, da Gabriel Boric presidente del Cile, da Gustavo Petro presidente della Colombia. Non solo: pur essendo a capo di un piccolissimo Stato, i suoi discorsi filosofico-politici, pronunciati in grandi occasioni e spesso davanti ai potenti della Terra, hanno riscosso un successo planetario e aperto la strada alla possibilità di vivere un altro mondo.

Mujica univa la filosofia e la politica, utilizzava la potenza della parola per smuovere le coscienze attraverso emotività e pensiero critico. Per la sua concezione di vita, per la sobrietà, per il suo vivere in armonia con la natura e ritenersi parte di un tutto più grande, incarnava perfettamente l’ideale stoico e anche per questo amava perdersi tra le pagine di Seneca appena poteva.

Nel 2020, Pepe decide di abbandonare la politica attiva, per motivi di salute personale, e lo fa con un toccante discorso in cui torna a parlare della vita: “Trionfare nella vita non vuol dire vincere. Trionfare nella vita vuol dire rialzarsi e ricominciare ogni volta che si cade”. La vita, l’amore, le relazioni sociali, lo sviluppo umano e la felicità sono temi molto cari a Mujica e oggi le sue parole risuonano più che mai attuali: “Veniamo al mondo per cercare di essere felici, perché la vita è corta e fugge via, nessun bene vale come la vita. Bisogna dedicare tempo all’amore, alle amicizie, cose che ci diano il senso della vita, non tutto deve passare attraverso il denaro. Lo sviluppo dev’essere compatibile con la felicità umana”.

“Vivere è amare. E amare è avere il piacere di trascorrere il tempo con un’altra persona. […] Come dicevano gli aymara, “povero è chi non ha una comunità, chi è da solo […] Vivere non è solo pagare tributi, ma bisogna cercare una causa per cui vivere: può essere la musica, la scienza, qualunque cosa, vivere significa sognare, credere in qualcosa di superiore, in qualcosa di creativo. […] Io mi sono dedicato a cambiare il mondo e non ho cambiato nulla, ma almeno mi sono divertito e ho dato un senso alla mia vita”.

E anche a quella di molte altre persone. Hasta siempre Pepe!

Filmografia

Álvaro Brechner, Una notte di 12 anni, 2018

Emir Kusturica, Pepe Mujica. Una vita suprema, 2019

Bibliografia

Andrés Danza – Ernesto Tulbovitz, Una pecora nera al potere. Pepe Mujica, la politica della gente, Gruppo editoriale Lumi 2017

Noam Chomsky – José «Pepe» Mujica – Saúl Alvídrez, Non fatevi rubare la vita, Ponte alle Grazie 2024

José «Pepe» Mujica, Non fatevi rubare la vita, Castelvecchi 2019

José «Pepe» Mujica, La felicità al potere, Castelvecchi 2018

José «Pepe» Mujica – Carlo Petrini – Luis Sepúlveda, Vivere per qualcosa, Guanda 2017

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Gabriella Falcone

Gabriella Falcone (Cosenza, 1985) si avvicina alla fotografia nel 2012, passione che la porta a seguire il Master in Arte y Técnica dell’Universitat Politècnica di Valencia. Lì, prende parte al progetto sperimentale LABi, collaborando alla gestione dello spazio culturale Fundación La Posta – Centre de Recerca de la Imatge de Valencia. Da due anni, è impegnata in un reportage socioantropologico sull’area grecanica della Calabria, tra spopolamento, memoria e futuro sostenibile. Attualmente vive a Firenze, dove lavora come bibliotecaria.

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