“Trasmigrazioni” scolastiche e classi-ghetto: ripartire dalla giustizia sociale di quartiere

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Ultimi compiti, verifiche e interrogazioni: tra irrefrenabili cadute e incredibili salvataggi la scuola sta per finire. Il suono della campanella della prima ora non smuove più il brulicare stanco nei corridoi e allo stesso tempo non riesce a contenere il fremito dell’estate -spensierata- alle porte. Come tutti i contesti sociali anche la scuola “vive in una contraddizione” (Badiou).

Da una parte ci si vuole lasciare il cancello alle spalle, dall’altra si palesa l’incertezza del futuro per chi è all’ultimo anno. Ma non sarà facile neanche per qualche professore: dai più affezionati alla routine che viene interrotta, ai precari che devono rinnovare la domanda in graduatoria, incespicando nelle varie procedure. Da quelli che hanno ceduto al canto delle certificazioni all’estero, avallate dal Governo, e sono ora in cerca di unə buonə avvocatə per convalidarle. Fino alle docenti che hanno accettato l’ennesimo corso Pnrr estivo contro la dispersione scolastica, in vista poi delle vacanze in Vietnam perché non hanno figli e a 34 anni non stanno programmando di metterne al mondo versus le colleghe che invece ce li hanno e, a luglio, non sanno dove metterli. Non è dato sapere che fine fanno lə docenti che vanno a scuola con magliette vagamente politiche o volantini sul referendum dell’8 e 9 giugno, può essere che abbiano più vite come lo zingaro Melquíades di Gabriel García Márquez, oppure no.

In questo mare magnum di incertezza e trasformazione, ci sarà chi, come gli struzzi, metterà la testa sotto la sabbia facendo finta che il futuro non esista. Sono gli studenti di quarta: maggiorenni ma non maturandi. Passeranno l’estate a programmare le feste nelle città di provincia: da sbronzi faranno i pensieri e gli incontri migliori, compreso quello delle loro stesse madri all’alba, che sembreranno degli alieni distopici e urlanti “questa casa non è un albergo”, con buona pace delle teorie delle scienze sociali sulla marsupialitá secondo cui “alcune famiglie tendono a curare i figli ben oltre la loro maggiore età” (Bertocchi, 2007, p. 20). Insomma, morto un papa se ne fa un altro, che non vuole i selfie con gli adolescenti. Ma – moviola – torniamo agli studenti che invece avranno l’esame di maturità e posteranno le foto con i fiori – sì, i bouquet sono tornati. Innanzitutto, ilarità a parte, ci sarebbe da chiedersi come mai tanti festeggiamenti per un diploma che, in un mondo che ti vuole iper specializzato, indica che non sei neanche a metà percorso. Non è che gli adolescenti hanno già imparato ad usare “lo scudo del Realismo Capitalista per proteggersi dai pericoli di qualsiasi ideale o credenza” (Fisher, 2009, p.31) e dai confusi tentativi politici? A partire dall’iscrizione a Medicina senza i test a numero chiuso. Ci saranno gli spazi? L’università della Sapienza garantisce qualche mese in presenza e da novembre online. E poi? E le aule per gli altri corsi? Ci risiamo: molte illusioni per alcuni e innumerevoli profitti per altri.

Invece, la scuola secondaria di primo grado (la vecchia scuola media che cambia pelle come il serpente o, per i più ottimisti, si trasforma come il bruco in farfalla) farà i conti con l’introduzione del latino. Mentre l’infanzia e la primaria staranno a fare la conta del numero degli “stranieri” in classe – che poi si tratta di nuove cittadinanze ovvero di bambinə natə in Italia. Ma i genitori, si sa, vogliono il meglio e non vogliono mandare i loro figli in classi ghetto. Non parlano italiano, rallentano il programma, gli insegnanti non li seguono. Osservazioni legittime ma spostare i bambini come pedine da un quartiere all’altro per metterli dove l’affluenza degli stranieri è minore, in realtà, acuisce il fenomeno. Ci saranno alcune scuole sempre più ghetto (tra Prato e Firenze in alcuni quartieri ci sono già classi composte dal 100% di alunni stranieri) e altre scuole sempre più privilegiate, che dovranno comunque fronteggiare la bulimia di certificazioni sanitarie, elargite a manica larga (in modo sproporzionale, per altro, rispetto agli insegnanti di sostegno) ma almeno solo a cittadini italiani.

I Comuni potrebbero (s)bloccare queste trasmigrazioni? Fermiamo da anni le persone alle frontiere, dovremmo aver imparato come si fa – al contrario però. Si deve agire politicamente sulla formazione delle classi per renderle più equilibrate; e si deve farlo prima che si replichi in Italia la “white flight’ (fuga dei bianchi) ovvero la neo segregazione presente nelle scuole americane dovuta alle strategie adottate dai bianchi per non mandare i figli nelle scuole pubbliche, iscrivendoli a quelle private (N. H. Jones, 2017; 2021). Si sposta foucaultianamente chi sa dove andare per migliorare la sua situazione, ma non a tutti viene concesso di farlo. Le indicazioni per stradario esistono già, se non funzionano inventiamo insieme nuove pratiche che soddisfino tuttə. Se non riusciamo a fermare la guerra, proviamo almeno a ripartire dalla giustizia sociale di quartiere e provincia.

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Dopo la laurea in Sviluppo economico e Cooperazione Internazionale, mi sono presa un anno sabbatico per Londra e poi l'India, infine per vedere i proiettili sui muri a Sarajevo. Tornata in Italia ho lavorato prima nei Centri di Accoglienza Straordinaria come insegnante L2 e operatrice legale, dopo nella scuola Secondaria di II° come docente di sostegno e di Filosofia e Scienze Umane. Da quest’esperienza nasce il mio blog “Lettera da un professionale” https://letteradaunprofessionale.wordpress.com/chi-sono/. Al momento sono dottoranda in Peace Studies presso La Sapienza con una ricerca sulle migrazioni.

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