Ecco come la vegetazione compensa le emissioni climalteranti

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Il ciclo del carbonio

Il pianeta terra da un paio di secoli immette in atmosfera gas climalteranti in quantità sempre maggiore. In particolare il biossido di carbonio è il principale prodotto della combustione delle sostanze organiche fossili e del metabolismo degli organismi viventi, o dalla loro degradazione biologica. Il ciclo del carbonio è bio-geo-chimico, serbatoi di questo elemento sono gli esseri viventi e la sostanza organica morta, le rocce, l’atmosfera e il gas disciolto nelle acque. Le piante verdi fotosintetizzano sostanza organica a partire dall’aria e dall’acqua; per lunghi periodi della storia terrestre il fattore limitante la crescita delle piante è stato proprio la ridotta concentrazione di CO2 nell’atmosfera, mentre la concentrazione attuale è ottimale. Se il pianeta fosse tutto coperto dalla vegetazione potenziale, il carbonio immesso in atmosfera verrebbe adeguatamente ri-catturato. Sin dal neolitico l’umanità ha ridotto la vegetazione naturale terrestre, sostituendola con colture e con pascoli per il bestiame allevato, di solito non altrettanto efficaci nella ri-captazione del carbonio. Il carbonio organico degli ecosistemi terrestri è contenuto principalmente nello strato superficiale dei suoli, ma non uniformemente: nei climi equatoriali e tropicali è presente soprattutto nella vegetazione, mentre in quelli temperati e freddi nel suolo, dove ha una durabilità anche decupla rispetto alla vita degli alberi costituenti la soprastante foresta. Le aree umide e le torbiere sono gli ecosistemi con maggiore capacità di sequestro a lungo termine del carbonio, la loro bonifica ne comporta la mineralizzazione, col ritorno in atmosfera; a seguire le praterie temperate e le foreste boreali, compresi i rispettivi suoli.

Tundra e torbiera artiche con allevamento nomade. Il carbonio organico si conserva a lungo

L’agricoltura basata sulla nutrizione chimica delle colture riduce progressivamente la quantità di carbonio organico nel suolo. L’allevamento dei ruminanti e lo smaltimento delle relative deiezioni generano grandi quantità di metano, gas dall’effetto climalterante ben maggiore rispetto al biossido, emesso anche da risaie permanentemente sommerse e liberato dalla degradazione delle torbiere artiche a seguito di fusione del permafrost.

Debiti e crediti di carbonio

Debito di carbonio è la quantità di CO2 equivalente emessa in atmosfera da un’attività o da un soggetto (un’azienda, un Paese), credito è una certificazione negoziabile che rappresenta la riduzione o la rimozione di CO2 dall’atmosfera. I crediti di carbonio devono essere certificati da enti di verifica indipendenti. A livello nazionale si calcola il bilancio del carbonio anche con inventari forestali dai quali si riesce a calcolarne la quantità immobilizzata nelle foreste e l’incremento di questa connesso con l’espandersi della superficie coperta (fenomeno diffuso in quasi tutta Europa) e col miglioramento strutturale. I cedui a turno breve con matricinatura ridotta, destinati alla produzione di legna da ardere, non offrono significativi crediti di carbonio, perché questo viene re-immesso in atmosfera dopo breve tempo e poco se ne accumula nel suolo. L’uso energetico del legno a filiera corta evita l’importazione di combustibili fossili nei territori rurali, ma legna o pellet trasportate a centinaia di chilometri di distanza con automezzi a motore termico vanificano questo vantaggio. Gli incendi boschivi, specialmente nella zona boreale, possono liberare in atmosfera così tanto carbonio, in precedenza sequestrato nel suolo e nel soprassuolo, da far risultare negativo il bilancio, come nel caso delle foreste gestite del Canada, peraltro afflitte anche da attacchi di insetti acuiti dal cambiamento climatico.

Arboricoltura da legno

Un tipo di vegetazione artificiale capace di generare crediti di carbonio è l’arboricoltura da legno, realizzata piantando specie arboree a rapido accrescimento i cui assortimenti sono destinati a prodotti durevoli, essenzialmente legname da opera.

Arboricoltura da legno nel Valdarno inferiore. In primo piano pioppi appena piantati, dietro piantagione di ciliegio e noce con ingresso di flora spontanea

Teoricamente anche l’arboricoltura da cellulosa può trattenere a lungo il carbonio nella sostanza organica, sotto forma di pubblicazioni a stampa destinate alla conservazione di lungo periodo. Paesi forti emettitori di gas climalteranti di origine industriale e trasportistica ricorrono per la compensazione all’arboricoltura da legno. In Cina son state piantate enormi estensioni, trattate come macchine da ossigeno; una specie molto impiegata è la Paulownia tomentosa, utilizzata anche in Europa, ma inclusa dal 2021 in una lista d’allerta per potenziale rischio d’invasività, con conseguenti rischi per la biodiversità locale; la germinazione dei semi è modesta, ma la propagazione per polloni radicali è così attiva da rendere difficile liberare i terreni a fine ciclo, anche con ripetute lavorazioni. Nell’Unione Europea alla fine del secolo scorso furono erogati ingenti contributi per l’arboricoltura da legno sui terreni ritirati dalla produzione, a finalità multipla: regolazione del mercato, produzione a ciclo medio-breve di legname pregiato, miglioramento del paesaggio e della biodiversità locali, sequestro di carbonio. Trattandosi di misura volontaria, gli impianti risultano troppo spesso mal concepiti e distribuiti, con risultati produttivi modesti, molte fallanze, effetti paesaggistici controversi (il PIT-Piano paesaggistico della Toscana riconosce valore alla pioppicoltura caratterizzante da molti decenni certi territori, ma lamenta l’effetto di chiusura visuale con elemento incongruo in altri). Quanto alla biodiversità, trattandosi di popolamenti artificiali, per contratto soggetti a periodiche lavorazioni, il contributo di questi impianti è limitato ai casi in cui i beneficiari non son stati troppo zelanti nella manutenzione, consentendo l’ingresso della flora e della fauna spontanee, per esempio orchidee nella fase iniziale, alberi e arbusti spontanei in quella avanzata. Il sequestro di carbonio è stato molto inferiore alle attese, per limitato accrescimento legnoso e soprattutto per mancato incremento della sostanza organica nel suolo, perciò i contributi di quel tipo sono stati in seguito molto ridotti. Arrivati a fine ciclo produttivo, i terreni possono essere rimessi a colture alimentari, con questo limitando nel tempo i benefici attesi.

Agroforestazione e aiuti allo sviluppo

Alcune società dedite alla compensazione dei debiti con crediti certificati si concentrano sull’agroforestazione multifunzionale realizzata da parte di comunità povere o problematiche, favorendone lo sviluppo economico-sociale:

1. assorbimento del carbonio a lungo termine;

2. arricchimento della fertilità del suolo e suo mantenimento nel lungo periodo;

3. conservazione della biodiversità;

4. miglioramenti della qualità dell’aria e dell’acqua, contenimento dell’erosione;

5. riduzione della pressione distruttiva sulle foreste primarie, dando atto che spesso sono proprio le comunità locali a compiere azioni distruttive per vendere legname pregiato, procacciarsi combustibile per uso domestico ed espandere le colture e i pascoli.

I progetti di aiuto allo sviluppo si basano su donazioni da parte di cittadini e su acquisto di crediti da parte di industrie che intendono compensare le proprie emissioni, anche attivando campagne connesse a eventi specifici, come nel caso di ENEL Jovanotti. Gli impianti agroforestali georeferenziati consentono a chiunque di verificare col telerilevamento le condizioni generali del sito, che non sono sempre incoraggianti né convincenti. Per esempio una piantagione di cacao eseguita su una porzione danneggiata di foresta equatoriale non è certo che offra un sequestro di carbonio più significativo rispetto alla foresta secondaria che si sarebbe sviluppata spontaneamente lasciando il terreno indisturbato, ma certamente offre alla comunità locale una produzione agricola vendibile. Anche cooperative del gruppo Libera Terra sono destinatarie di progetti di agroforestazione nelle terre confiscate alle mafie in Sicilia.

I piani europei di sviluppo rurale finanziano iniziative di agroforestazione, volontarie e non connesse al ritiro dei terreni dalla produzione, dunque dall’esito incerto in numero di adesioni e in risultati. Anche in Toscana si osservano alcuni di questi impianti eseguiti su terreni abbandonati da decenni, riconquistati dalla vegetazione naturale; in questi casi diventa difficile valutare l’effettivo incremento del sequestro di carbonio e della biodiversità.

Ecosistemi naturali

Gli ecosistemi naturali in equilibrio sono garanzia di stabilità, biodiversità, sequestro di carbonio, la loro tutela e la cessazione della loro conversione in altri usi del suolo è la miglior risposta al cambiamento climatico, di cui tuttavia essi subiscono gli effetti. Occorrono dunque azioni positive, richieste per esempio dall’Unione europea col regolamento sul ripristino della natura, che fissa obiettivi incrementali e qualitativi da conseguire entro pochi anni (Italia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Finlandia e Svezia hanno votato contro, ma sono ugualmente tenuti all’attuazione).

Poiché la mutata composizione dell’atmosfera non risulta reversibile in tempi prevedibili, ancorché si compia ogni possibile sforzo per la riduzione delle emissioni, è opportuno proiettarsi in scenari futuri anche con iniziative di migrazione assistita delle specie, particolarmente necessarie ove catene montuose orientate est-ovest costituiscono un ostacolo a quella naturale, avendo causato nelle passate ere geologiche gravi cadute di biodiversità, che sono invece state più contenute dove l’orientamento nord-sud favorisce la migrazione in risposta ai mutamenti climatici; l’Europa con Pirenei, Alpi e Carpazi è particolarmente a rischio, accentuato da un paesaggio fortemente antropizzato, che lascia poco spazio agli habitat naturali sui quali si concentra il Regolamento.

Negli altri continenti gli habitat naturali sono ancora in fase regressiva in estese regioni, aggrediti da attività agricole, pastorali e industriali di vario tipo, compresa l’estrazione di combustibili fossili eseguita anche nel disprezzo delle popolazioni native.

Conservazione e incremento degli habitat naturali e minori emissioni (compresa la riduzione dei consumi energetici) paiono essere le soluzioni al momento più promettenti per limitare il cambiamento climatico.

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Paolo Degli Antoni

Paolo Degli Antoni, dottore forestale, Comitato Ex Fiat Belfiore-Marcello

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