Alla fine del mese scorso è stata pubblicata una ricerca elaborata da Ipsos per Changes Unipol, che fotografa un clima di crescente frustrazione tra i residenti di Firenze per un mercato immobiliare strangolato dagli affitti brevi. Per quattro fiorentini su dieci gli affitti a breve termine hanno aggravato la crisi degli alloggi, il 66% è d’accordo con lo stop al al self check-in tramite le ormai celebri keybox. Infine il 59% degli intervistati vede l’overtourism come un problema concreto.
La ricerca mette nero su bianco delle sensazioni che, non solo chi vive o lavora a Firenze ma anche chi soltanto la attraversa non può non provare. Una città travolta da un turismo insostenibile, definito con un neologismo ormai entrato nel linguaggio comune overtourism. Ma il problema del turismo che soffoca moltissime città e territori in tutto il mondo non è legato soltanto a quel che sottende il prefisso over, ovvero i numeri sempre crescenti delle persone che arrivano in città ma anche e soprattutto all’essenza stessa del turismo di oggi, che ben definì Marco D’Eramo una decina di anni fa ‘la fabbrica del turismo’. Un sistema industriale globale che trasforma le città, i paesaggi e le culture in prodotti standardizzati da consumare, un processo di produzione di massa, con meccanismi simili a quelli di un’industria dove lavoratori e territori sono sfruttati allo stesso modo, malpagati i primi e sfruttati al massimo i secondi in un processo di estrazione di ricchezza che nessuna tassa di soggiorno né indotto riesce minimamente a compensare.
Ciò che è rilevante in questo sondaggio è la percentuale di residenti che è d’accordo con la regolamentazione degli affitti brevi, un 66% degli intervistati quasi invisibilizzato dai media locali. L’opinione pubblica trova pochissimo spazio e rappresentazione sui media se non grazie ad attviste e attivisti di realtà come Salviamo Firenze, Wish etc. Per contrasto il CEO di Apartments Florence, Lorenzo Fagnoni, viene intervistato un giorno sì e l’altro pure per lamentare la presunta crociata che l’amministrazione fiorentina starebbe facendo contro gli affitti brevi per favorire gli albergatori. Una lettura che è passata anche nei social, abbracciata da pagine Facebook e Instagram e da gruppuscoli in odor di destra. La classica polarizzazione delle opinioni: stai con gli affitti brevi e con i poveri fiorentini costretti ad affittare ai turisti la casa della nonna o stai con gli albergatori cattivi? Ma se chi vive e lavora in città non riesce a trovare casa a prezzi abbordabili è probabile che la causa sia l’indisponibilità di appartamenti per la residenza che invece sono disponibili per gli affitti brevi. Al tempo stesso c’è la consapevolezza dell’esplosione di hotel e appartamenti di lusso, di studentati che in realtà sono alberghi e del fatto la quasi totalità degli affitti brevi è gestita da grandi società.
È proprio questo il merito della ricerca Ipsos, l’aver dato voce alla parte più debole in città, quella che non ha, di fatto, nessun tipo di potere. Residenti che in alcuni casi stanno scappando da Firenze, in altri ne sono forzatamente espulsi. Difficile anche nel primo caso parlare di volontà di andarsene. Davvero i residenti del centro storico sono liberi di andarsene o di restare nelle loro case? Oppure sono costretti ad andarsene perché la vita in alcune zone della città è impossibile per le persone normali che qui devono lavorare, risiedere e vivere? Una protesta silenziosa quella del lasciare la città, forse più una resa. La città ha perso circa 140.000 abitanti tra il 2000 e il 2020, oggi i residenti sono 363.000, solo il Quartiere 1 ha perso oltre 30.000 residenti a partire dal 1999, scendendo da circa 95.000 a meno di 65.000.
‘La città deve essere per tutti e ci devono essere le case, perché se non ci sono le case, non ci sono i cittadini e se non ci sono i cittadini, non esiste la città.’ Con queste semplici parole in una recente intervista per 100 minuti, trasmissione di La7, Ada Colau, sindaca di Barcellona dal 2015 al 2023, ha spiegato la scelta che ha portato la sua giunta a redigere e approvare un Piano urbanistico dell’accoglienza turistica bloccando di fatto gli affitti brevi in alcune zone della città. A Barcellona è stata realizzata un’indagine sulle opinioni dei turisti che a maggioranza avevano affermato che nella città c’era troppo turismo. Sarebbe interessante farlo anche a Firenze ed è molto probabile che le risposte che otterremo sarebbero le stesse che hanno ottenuto a Barcellona.
A Firenze il rischio è che anche il regolamento affitti brevi sia solo un pannicello caldo, ma è fondamentale il solo fatto di voler intervenire e provare a regolamentare. Di sicuro è innegabile che anche questo timido tentativo sia stato innescato dalle proteste degli attivisti e delle attiviste. Certo il blocco agli affitti brevi solo nel centro storico rischia di far espandere a macchia d’olio il fenomeno degli affitti brevi, come del resto sta già accadendo lungo il tragitto della tranvia e nella cerchia dei viali di circonvallazione. Pensiamo alla zona di Porta a Prato/Viale Belfiore e piazza della Libertà/Piazza Savonarola.
Sembra una lotta quasi impari contro le grandi finanziarie che si comprano a prezzi per loro irrisori pezzi di città un tempo pubblici, contro potentissime piattaforme come Airbnb che si prepara a spendere 10 milioni di dollari per influenzare le prossime elezioni di New York. Una cifra importante per far eleggere rappresentanti cittadini favorevoli a cancellare le attuali restrizioni che trasformano le prossime elezioni newyorkesi nel terreno di scontro per il controllo del mercato immobiliare, diviso tra chi vuole case a prezzi accessibili e chi difende il diritto a monetizzare le sue proprietà.
A quel 34% di fiorentini che lamenta la scomparsa delle botteghe storiche, quel 31% che invece lamenta la Disneylandizzazione del centro e quel 19% la perdita di identità culturale, ma che al tempo stesso pensano per 51% che il turismo sia un volano economico, è bene ricordare che il turismo ha una scarsa ricaduta sul territorio a livello di redistribuzione della ricchezza. I guadagni sono per pochi e i costi sono invece per la collettività in classico stile capitalista.
All’individualismo che spinge molti a pensare che con la loro proprietà privata possono fare quello che vogliono anche se questo è un danno per la collettività la risposta giusta la dà Ada Colau nell’ intervista già citata ‘Il comune può decidere cosa faccio della mia proprietà privata perché la città è uno spazio comune e non uno spazio privato. La città deve essere per tutti’.

Francesca Conti

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