Il 9 aprile scorso la Cabina di regia, istituita presso il Dipartimento per le politiche di coesione e per il Sud della Presidenza del Consiglio, ha approvato il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne. Lo ha fatto senza una reale partecipazione né consultazione dei territori.
Il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne dovrebbe guidare le misure atte ad affrontare i fenomeni dello spopolamento e dell’invecchiamento della popolazione, la rarefazione sociale e produttiva e le disuguaglianze nell’accesso ai servizi, cioè ai diritti fondamentali alla salute, all’istruzione, alla mobilità e così via. Ma nonostante gli obiettivi annunciati, il Governo si è limitato a recepire acriticamente e passivamente il contributo del CNEL che ha suddiviso le aree sulla base di “obiettivi demografici” e del CENSIS, che ha classificato le aree sulla base della struttura demografica, delle dinamiche economiche, delle infrastrutture e dei servizi essenziali presenti.
In questi studi, Comuni delle aree interne vengono suddivisi in quattro categorie, che nel Piano governativo si traducono in quattro tipologie di obiettivi:
– quelli dove si può auspicare un’inversione di tendenza relativamente alla popolazione;
– quelli in cui è ipotizzabile una ripresa delle nascite;
– quelli dove si può solo sperare in un contenimento della riduzione delle nascite, senza rassegnarsi allo scenario peggiore;
– e, infine, i comuni in cui si può puntare soltanto ad un “accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”.
A parte l’uso violento del termine “irreversibile”, ci si chiede come sia possibile misurare la condizione delle aree interne utilizzando gli stessi indicatori del modello che le ha marginalizzate, se si usano i parametri della crescita, della competitività, dell’attrattività ecc. Si salvano solo i territori che contribuiscono alla Grande Macchina del profitto?
Queste aree – dice il Piano – non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse: “Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”. In pratica un accompagnamento alla buona morte, un’eutanasia dei paesi. E ricordiamo che le ultime due categorie – quelle della proclamata condanna all’irreversibilità – comprendono comuni collocati quasi totalmente nel Sud della Penisola, dai monti Sibillini in giù, per tutta la fascia appenninica, fino alla Sicilia e alla Sardegna. In pratica, una cristallizzazione e un aggravamento delle disparità territoriali e, di conseguenza, delle disuguaglianze sociali.
Di fronte a questa analisi, assunta a strumento politico di governo, i Comuni delle aree interne, le loro comunità e le loro espressioni democratiche e civili non possono restare in silenzio. Noi intellettuali, studiose e studiosi delle aree interne, consci della funzione culturale e civile che ci è assegnata, lanciamo un appello alle istituzioni nazionali e regionali per una revisione del piano strategico per le aree interne e ci mettiamo a disposizione dei territori per una mobilitazione contro l’ipotesi governativa, per il riconoscimento del patrimonio territoriale presente nei piccoli comuni italiani, presidi di territori fragili, depositi di risorse, umanità e virtù civiche preziose anche per affrontare la crisi generale della società contemporanea. Proponiamo ai Comuni italiani di discutere e approvare nei rispettivi consigli comunali ordini del giorno che stigmatizzino le analisi e le previsioni del Piano nazionale e ribadiscano la necessità di una vera strategia di sostegno e di rilancio per le aree interne del Paese.
Per adesioni scrivere all’indirizzo <officinasaperi2016@gmail.com>, indicando nome cognome, ente di afferenza, qualifica o professione.
Primi firmatari
Rossano Pazzagli, Università del Molise, direttore Scuola dei Piccoli Comuni; Ilaria Agostini, Università di Bologna, urbanista; Piero Bevilacqua, Università La Sapienza Roma, storico; Enzo Scandurra, Università La Sapienza Roma, urbanista; Vito Teti, Università della Calabria, antropologo e scrittore; Tomaso Montanari, Rettore Università per stranieri di Siena; Giuseppe Dematteis, Politecnico di Torino, presidente associazione Dislivelli; Antonella Tarpino, vicepresidente Fondazione Nuto Revelli; Marco Revelli, politologo; Angela Barbanente, Politecnico di Bari, urbanista; Ottavio Mazzocca, Università di Bari, presidente Società dei Territorialisti/e; Franco Arminio, poeta; Tonino Perna, Università di Messina, economista; Giacomo Cazzato, sindaco di Triggiano Presidente aree interne Sud Salento (LE); Domenico Cersosimo, Università della Calabria, economista; Pietro Clemente Università di Firenze, antropologo; Laura Marchetti, Università di Reggio Calabria, antropologa; Battista Sangineto, Università della Calabria, archeologo; Fulvio Librandi, Università della Calabria, antropologo.

Redazione

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