Disertare è un atto collettivo e politico. Il manifesto delle/degli ingegneri disertori

  • Tempo di lettura:5minuti
image_pdfimage_print

Chi siamo?

Nel contesto di distruzione della vita e delle strutture sociali da parte di un’élite tecnocratica che concentra nelle sue mani potere e ricchezza, noi ingegner* capiamo che con le nostre attività contribuiamo ad aggravare i disastri ambientali e sociali in corso. Attraverso la nostra posizione sociale contribuiamo anche a perpetuare i sistemi di dominio che governano le nostre società.

Abbiamo deciso, quindi, di non partecipare più a questa farsa. Stiamo abbandonando le nostre professioni, i nostri studi, le nostre posizioni, per poterci organizzare al di fuori dei sistemi che ci hanno plasmato e al di fuori di questa bolla.

Siamo impegnat* in molti modi in lotte ecologiche e sociali. È all’incrocio di queste specificità, come ingegner* e come attivist*, che vogliamo agire.

Noi, disertor* felici (Désert’heureuses), ci rifiutiamo di continuare a robotizzare, meccanizzare, ottimizzare, informatizzare, accelerare e disumanizzare il mondo.

Perché disertare?

Prendiamo atto del numero crescente di coloro, anche tra di noi, cui sfugge il senso di ciò che fanno, che si sentono talmente a disagio nel lavoro o negli studi da giungere a volte al burn-out o addirittura al suicidio. Abbiamo deciso allora di liberare un po’ di tempo per capire le ragioni di questo disagio, di riunirci per analizzarne le origini.

Poiché abbiamo disertato e ci siamo uniti alle lotte e alle pratiche alternative nei confronti delle stesse industrie che ci hanno formato, abbiamo potuto intravedere fino a che punto la funzione di ingegnere è indispensabile al funzionamento del sistema capitalista ed estrattivista che devasta l’ambiente e riproduce le disuguaglianze sociali.

Durante gli studi ci viene insegnato che la scienza e la tecnica sono neutre e apolitiche, e che le leggi dell’organizzazione economica e tecnica delle nostre società vi sono integrate: le leggi della crescita, del progresso e dello sviluppo industriale, della soluzione di tutti i problemi attraverso tecniche sempre più complesse.

Nella nostra formazione o nelle nostre professioni non ci è mai stato chiesto di mettere in discussione la validità di queste leggi, e ci mancano completamente gli strumenti di analisi politica e sociale per farlo. È quindi facile per noi chiudere gli occhi sull’impatto reale dei nostri progetti e convincerci che ciò che stiamo facendo contribuisce al benessere collettivo.

Siamo ingranaggi di un complesso sistema di dominio:

– un sistema di classe che ha confiscato le conoscenze tecniche necessarie all’organizzazione delle nostre società e le ha messe nelle mani di élite tecnocratiche, che ha separato chi pensa i sistemi tecnici da chi li realizza o li utilizza;

– un sistema patriarcale e razzista che concede autorità e potere decisionale principalmente a maschi bianchi, e che si riproduce per mezzo di un insieme elitario di scuole di ingegneria che conducono soprattutto maschi bianchi a tali posizioni di autorità e potere;

– un sistema coloniale che organizza l’accaparramento e il saccheggio delle risorse nei paesi non occidentali attraverso la progettazione e la gestione di reti globali di trasporto di materie e di conversione di energia, rendendo, in più, le popolazioni interessate dipendenti da queste infrastrutture.

Siamo stat* rinchius* in una bolla tecnicista che ci ha consentito di costruirci intorno solide mura di negazione. Ebbene, noi Désert’heureuses abbiamo deciso di abbattere queste mura.

Quali diserzioni?

Ci rivolgiamo a tutt* le/gli ingegneri, tecnic*, ricercator*, a tutt* coloro che dubitano, si interrogano e criticano le implicazioni delle loro attività e il loro ruolo essenziale nell’industria.

Disertare per noi significa darci i mezzi per fare un passo indietro, per incontrarci e condividere le nostre esperienze in modo da non essere più soli di fronte alle incongruenze di questo mondo.

Disertare, per noi, non significa solo abbandonare tutto individualmente: le/i Désert’heureuses intendono rendere collettivo e politico questo atto per renderlo desiderabile e più affrontabile, fornendo di che proiettarsi nel “mondo esterno”. Esplorare il possibile, uscire dai vicoli ciechi che ci vengono offerti dalle aziende e dalle industrie, inventare altri modi di agire, di esistere e di realizzarsi.

Vogliamo essere un ponte tra il “mondo delle/degli ingegneri” e quello delle lotte e dei luoghi che sfuggono alla morsa del mondo commerciale, e dove si coltiva il mutualismo, la solidarietà, l’interdipendenza e l’arte di cavarsela. Perché solo unendoci a queste pratiche di condivisione abbiamo potuto intravedere le molteplici possibilità di vivere e organizzarci al di fuori delle logiche capitalistiche.

Alcune conoscenze e competenze dovranno essere abbandonate. Altre ci permetteranno di capire l’obbiettivo della nostra critica, oppure potranno essere deviate e messe al servizio delle lotte. Vogliamo apprendere e partecipare ai vari modi di coltivare l’autonomia e le alternative, e avviare il necessario smantellamento delle industrie distruttive.

Siamo consapevoli della relativa facilità di disertare in relazione alle situazioni di ciascun*. Probabilmente siamo i più facilitat* ad attuare quest’ipotesi e crediamo che i freni siano talvolta più psicologici che materiali o finanziari.

Faremo tutto questo con la consapevolezza delle nostre appartenenze etniche, di genere o di classe, dei privilegi o delle oppressioni che ne risultano e che possiamo, nostro malgrado, contribuire a mantenere. Attraverso il nostro modo di organizzarci, come anche attraverso le nostre azioni, vogliamo lottare contro queste oppressioni sistemiche.

Ritroviamoci dunque e diamo vita ad una rete di cittadin* che disertano, hanno disertato o diserteranno, che pensano e creano fuori dal sistema pur recitando la loro parte al suo interno, o che vogliono solo esistere e agire al suo esterno. Impegniamoci dunque ad essere un ponte che consenta ad altri di liberarsi dalle catene del capitalismo tecnocratico e, soprattutto, facciamolo divertendoci!

Il manifesto delle e dei Désert’heureuses

(traduzione dal francese di D.V.)

The following two tabs change content below.

Redazione

Il gruppo di redazione della rivista edita da perUnaltracittà

Ultimi post di Redazione (vedi tutti)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Captcha *