Renzizziamo la cultura! Il nuovo sistema museale e la direzione sbagliata

renzi_matteo_franceschini_darioE’ stato presentato giovedì 8 gennaio dal Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini il nuovo “sistema museale nazionale” da lui definito una “rivoluzione” con cui l’”Italia volta pagina”. Tutto ciò è vero, ma sarebbe stato bene che la stampa avesse avuto l’acume di chiarire ai lettori il senso di tale rivoluzione e il contenuto delle pagine su cui si è aperto ora il libro della cultura italiana, cosa che non è avvenuta.

Allora sento la necessità di chiarire innanzitutto che Franceschini sta agendo in nome e per conto di Renzi, come del resto deve necessariamente fare se vuole tenere il posto che ha. Chi non ricorda gli attacchi del nostro attuale Premier alle Soprintendenze quando era Sindaco di Firenze? Allora dovette battere in ritirata, portandosi comunque via un bel po’ di soldi dal budget degli Uffizi, ma ora, con ben altre forze, ha finalmente potuto veder realizzato il suo progetto. Ecco, finalmente ora le Soprintendenze sono debellate con gran fracasso di tamburi e solo questo di per sé mi fa sospettare che a qualcosa servissero. Dovevano essere riformate nel profondo e si doveva con decisione mettere fine alle mille profonde incongruenze, debolezze e zone d’ombra che ne impedivano un corretto ed efficiente funzionamento. Ma doveva restare integro il loro essere organi dello Stato, di uno Stato come ancora molti lo sognano, forte, trasparente, giusto e al servizio dei cittadini.

Ma vediamo nei particolari quali sono i punti che caratterizzano questa “rivoluzione”. Sinteticamente se ne possono individuare tre: maggiori costi, maggiore burocrazia, maggiore dipendenza dall’apparato ministeriale.

Cominciamo dai maggiori costi. Su questo punto è inutile sprecare parole, perché è evidente a tutti. Là dove c’era un direttore che costava quanto un misero funzionario ora ci sarà un dirigente di prima o di seconda fascia, in relazione all’importanza del museo. Per ciascun museo dotato di autonomia, quindi per 20 musei in tutta Italia ci sarà un apparato burocratico (ne parleremo poi) che avrà i suoi costi. Li avranno per decreto i 20 collegi dei Revisori dei Conti, non li avranno, sempre per quanto esplicitamente previsto da decreto, i componenti del Consiglio di Amministrazione. Non si sa se ne avranno i componenti del Comitato Scientifico perché non sembra specificato. Sicuramente avrà dei costi mettere su tutti quegli uffici di cui necessita un museo autonomo. Parlo di uffici tecnici e amministrativi (compreso ciò che concerne il restauro e la didattica), cioè di tutti i servizi che fino ad ora erano comuni e concentrati nel Polo Museale. Per questi non solo occorreranno soldi, ma anche spazi, che almeno per Accademia e Bargello non ci sono nel modo più assoluto.

Una possibile soluzione? Appaltare a studi esterni. Chissà se indovino…Ma forse indovino anche come si farà a far quadrare i conti, dato che tutta l’operazione musei deve necessariamente concludersi con un risparmio, essendo partita con il carrozzone della così detta spending rewiew. Si risparmierà sul territorio e sui musei non autonomi, che non sono – si noti bene – quelli di minore rilevanza culturale, ma quelli che fanno meno cassa, perché questo è stato il criterio usato nella scelta. A Firenze ci sono, in questo gruppo di esclusi, il Museo di San Marco, le cappelle Medicee e per ora anche il complesso di Palazzo Pitti, tanto per rendere l’idea. Per essi sono previsti 17 Poli Museali Regionali a cui il decreto dedica poche misere righe.

Quanto poi al secondo punto, la maggiore burocrazia, anche questo è un elemento che sta nell’evidenza dei fatti. Ognuno dei 20 musei autonomi sarà dotato di tre organi collegiali: il Consiglio di Amministrazione, il Collegio dei Revisori dei Conti e il Comitato Scientifico. Ogni atto del Direttore deve essere approvato e controllato nella sua attuazione dal CDA, mentre le funzioni del Comitato scientifico saranno consultive. Naturalmente si può sostenere che così si hanno maggiori garanzie sulla qualità del lavoro portato avanti dal museo. Non credo proprio, vista l’ingerenza nella gestione dei musei che il Ministro seguita a chiamare autonomi (ma, io mi chiedo, autonomi da chi e da cosa?), di figure designate da persone in ruoli estranei all’ambito storico artistico.

Il CDA, ad esempio, sarà composto, oltre che dal Direttore, da altri quattro membri nominati dal Ministero, di cui uno designato d’intesa con il Ministero dell’Università e uno d’intesa con il ministero dell’Economia e delle Finanze. Mi rifiuto di vedere la necessità di questo secondo membro. E comunque un istituto così concepito è un caso di elefantiasi burocratica almeno per musei relativamente piccoli come la Galleria dell’Accademia e il Bargello e non risponde in alcun modo alle esigenze di una struttura che per la sua complessità e delicatezza necessita di essere agile e flessibile. La conseguenza sarà che saranno gestibili solo i grandi eventi e non la quotidianità e le piccole iniziative che costituiscono il cuore scientifico di un museo. Avremo, insomma, grandi strutture ingessate al potere politico.

Si introduce così l’ultimo, ma più importante punto della questione, quello che sta da sempre al centro degli interessi di Renzi: con questa riforma si perde anche in campo culturale l’autonomia delle specifiche competenze tecnico scientifiche, che vengono assoggettate agli interessi della politica e della Finanza. Non dico dell’Economia, perché come scrive oggi molto lucidamente Antonio Natali, è nell’interesse anche economico di una Nazione avere cittadini colti. Le criticità aperte da questo ultimo punto sono purtroppo ribadite dal contenuto del Bando per la selezione dei Direttori per i musei autonomi.

Nonostante le assicurazioni del nostro Ministro, il bando prevede una laurea, ma non precisa quale laurea. Se è una svista preoccupa, se non lo è preoccupa ancor di più. Sotto il comma b che elenca le esperienze professionali in campo di tutela e valorizzazione dei beni culturali, si legge inoltre: “ …avere ricoperto ruoli dirigenziali, per almeno un quinquennio, in organismi pubblici o privati, ovvero in aziende pubbliche o private, in Italia o all’estero.” Ora, la tutela fino ad oggi è stata esercitata dagli organi dello stato, quindi l’inserimento del privato in questo comma fa nascere molti legittimi dubbi, tanto più che si parla di aziende e i musei aziende non sono proprio.

Si sa invece che la lotta contro i “tecnici” cioè contro coloro che possono opporre motivate e oggettive ragioni ai desiderata di chi detiene il potere è uno dei principali motivi conduttori unificanti dell’attuale azione di governo. Insieme, naturalmente, al sistematico smantella mento del concetto di cultura come autocoscienza personale e storica, come capacità di ragionamento e di critica, come opposizione alla melma del pensiero unificante. Il che non è pericolo di poco conto nei momenti che stiamo vivendo.