Una Expo ai tempi del Jobs Act

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Cosa è una Esposizione Universale, o almeno cosa rappresenta dal punto di vista economico

Lasciamo perdere per un momento i titoli roboanti che negli ultimi anni sono stati assegnati alle Expo: a Lisbona, nel 1998, il tema era “Gli Oceani. Un’eredità per il futuro”; in Giappone, nel 2005, era la “saggezza della natura”; mentre, oggi a Milano ci si domanda come meglio “nutrire il pianeta”. Il poco spazio a nostra disposizione ci impedisce di de-costruire il discorso attraverso cui Expo è continuamente giustificata: non potendo partire dalla superficie dell’evento per evidenziarne le contraddizioni, in questo articolo ci limitiamo a definirne la sostanza.

Da un certo punto di vista Expo si può annoverare nella categoria dei Grandi Eventi. E come la maggior parte dei grandi eventi, serve a muovere e accaparrare enormi capitali per lo più pubblici — Expo 2015 Spa è una società partecipata per il 40% dal Ministero dell’Economia, per il 20% da Regione Lombardia, per il 20% dal Comune Milano, per il 10% dalla Provincia di Milano e per il 10% dalla Camera di Commercio Industria Agricoltura e Artigianato. Expo, dunque, è finanziata con i nostri soldi.

volontari expoD’altra parte, ciò che si ricaverà dalla kermesse andrà a vantaggio dei privati, che avranno la “fortuna” di poter esporre i propri prodotti. Che la fortuna è la virtù dei forti lo diceva Machiavelli. Per questo “i forti”, cioè quelle imprese multinazionali in grado di muovere equilibri politici o di pagare a Expo Spa una grossa cifra –per diventare sponsor dell’evento, per esempio – godranno, più degli altri, del sacrosanto diritto all’accumulazione di capitale. Alla faccia della “libera concorrenza” che i loro giornali e le loro televisioni sbandierano quotidianamente. Solo per fare un esempio, ha fatto abbastanza scalpore la vicenda del lotto di 8.000 mq assegnato a Eataly – la multinazionale del (cattivo) gusto proprietà della famiglia Farinetti – per circa 2,2 milioni di pasti previsti, la visibilità internazionale e una valanga di soldi. E non è stato un caso isolato.

Insomma, a fare due più due ci vuole poco: Expo – almeno da un punto di vista economico – esprime bene un movimento tipico nelle crisi del capitalismo, ossia la socializzazione delle perdite e la privatizzazione degli utili.

Costruire l’eccezionalità per trarne il massimo profitto. Quanto lavoro in Expo?

Per convincere chi paga le tasse a spendere soldi pubblici, al solo fine di favorire dei gruppi privati, bisogna addurre dei buoni motivi. Così nel 2013 è stato pubblicato “L’indotto di Expo 2015”, un’analisi dell’impatto economico del grande evento milanese nel periodo compreso tra il 2012 e il 2020. Lo studio, promosso dalla Camera di Commercio e dalla Società Expo 2015 spa, è stato curato da alcuni professori della Bocconi, che hanno semplicemente rispolverato e aggiornato una precedente ricerca (datata 2008) utilizzata durante la gara per l’assegnazione Expo 2015 e vinta dalla città turca di Smirne.

clashcityworkersLe cifre contenute nel report del 2013 sono abnormi rispetto alla realtà. Così scrivono gli autori: “Sotto l’aspetto occupazionale, si stima un volume totale di occupazione attivata pari a 191 mila unità di lavoro annue …”, precisando che per unità di lavoro “si intende l’impiego di un lavoratore a tempo pieno per un anno”. A distanza di quasi due anni dalla pubblicazione dello studio della Bocconi la situazione non potrebbe presentarsi più distante da quelle previsioni a dir poco fantasiose.

Nel luglio 2014, infatti, Giuseppe Sala, amministratore delegato di Expo spa, si è visto costretto a ridurre i numeri a 15/16mila persone impiegate nel sito espositivo tra la costruzione dei padiglioni e i sei mesi espositivi. Per il momento quelle di Sala rimangono mere previsioni, da trattare con molta cautela, visti i precedenti. Ad oggi gli unici numeri reali di cui disponiamo, sono quelli registrati dalla provincia di Milano, che superano di poco i 4.500 posti di lavoro per circa 1.700 aziende. Nel 45% dei casi si tratta di contratti a tempo determinato, mentre i contratti a tempo indeterminato coprono una fetta del 25.

Ma un sistema informativo che indichi con certezza la forza-lavoro utilizzata dalle imprese che ruotano intorno a Expo non esiste. Né è possibile distinguere tra le persone assunte per opere già progettate prima e indipendentemente da Expo e per quelle opere propriamente connesse all’esposizione. Se infatti la provincia di Milano si è dotata di un sistema di monitoraggio dei posti di lavoro “creati” dall’esposizione, lo stesso non ha fatto la Regione Lombardia, né le altre province lombarde. Così nel calderone del conteggio finale stanno finendo anche posti di lavoro e settori economici che con Expo non c’entrano nulla.

Insomma, dati alla mano, ci sembra che il tanto decantato rilancio dell’occupazione, che avrebbe dovuto ottenersi grazie a Expo, si stia rivelando una grande bufala.

Dalla fantasia alla realtà: lavorare di più per meno salario. Anzi, per niente

Per la verità, non solo i posti di lavoro creati da Expo sono molti meno del previsto, ma si va prefigurando un modello di relazioni industriali niente affatto vantaggioso per i lavoratori: per ora, infatti, gli assunti regolari da parte di Expo spa sono circa 800 di cui 195 tirocinanti con contratti a termine per la durata della fiera e con salari che viaggiano tra i 400 e i 500 euro al mese. ll 26 gennaio scorso, è stato annunciato dallo stesso AD Sala l’avvio da parte di ManpowerGroup dei procedimenti di selezione di altre 5.000 figure professionali per i padiglioni dei Paesi stranieri. Tra le competenze richieste ai candidati ci sono “dinamismo, iniziativa, capacità di lavorare in gruppo e determinazione, ma anche disponibilità al lavoro su turni (compresi sabato e domenica e festività), conoscenza delle lingue …, ottime capacità relazionali e di gestione dello stress”. Si tratta di lavoro remunerato, nell’ordine dei 700-800 euro mensili con orari flessibili 7 giorni su 7.

Il grosso della forza lavoro tuttavia lo forniranno i volontari. Si avete capito bene, V-O-L-O-N-T-A-R-I. Si tratta di decine di migliaia di lavoratori, divisi in tre gruppi. Il primo gruppo sarà formato da circa 10mila unità (erano 18.500 nell’accordo con i sindacati confederali del luglio 2013), che saranno rimborsati con un buono pasto al giorno, e che dovranno alternarsi in piccoli gruppi, impiegati per due settimane, cinque ore al giorno, in “attività ausiliare. Il secondo gruppo sarà composto dai “volontari per un giorno” del Comune di Milano che dovranno offrire la disponibilità del proprio tempo per un lunedì a scelta durante i sei mesi dell’evento e lavorare con una delle aziende partner dell’esposizione universale e a quelle aderenti alla Fondazione Sodalitas.

In questo stesso gruppo saranno inseriti i mille volontari reclutati dal Touring Club attraverso il progetto “aperti al mondo”. L’obiettivo è quello di coinvolgere mille persone per la “valorizzazione del patrimonio culturale” il cui contributo gratuito servirà a rafforzare l’“offerta culturale” di Milano durante l’Expo. L’ultimo gruppo è composto dai 140 ragazzi che verranno selezionati dall’Expo nell’ambito del servizio civile. Assisteranno full time le associazioni e le delegazioni dei paesi che parteciperanno all’esposizione universale; essendo reclutati dal servizio civile, riceveranno 433 euro mensili a testa per 12 mesi.

Se consideriamo che, stando ai dati forniti dal coordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato (Csvnet), il 62% dei volontari ha un’età inferiore ai 24 anni e studia, comprendiamo bene come Expo non solo non ha contribuito all’aumento dell’occupazione, ma ha notevolmente approfondito l’utilizzo di contratti precari, la compressione dei salari e la flessibilità totale dei lavoratori, andando persino a reclutare i propri volontari nelle scuole e nelle Università.

Lo Stato infrange le sue stesse regole. E il sindacato gli da una mano

Senza toccare tutti gli aspetti urbanistici, il balletto degli appalti e gli aspetti raccapriccianti aperti da una governance autoritaria del territorio, possiamo tranquillamente dire che Expo – anche dal punto di vista delle relazioni industriali – è un modo attraverso cui lo Stato infrange le sue stesse regole. In favore, naturalmente, degli imprenditori. Riguardo al lavoro volontario, infatti, un’azione legale dai risvolti deflagranti è stata intentata da un gruppo di lavoratori non pagati affiancati da alcuni giuslavoristi attivi all’interno dell’associazione Forum Diritti-Lavoro. L’esposto denuncia la violazione da parte di Expo spa della legge quadro del 1991 sul volontariato e quella che vieta l’interposizione illecita di manodopera. Secondo questa normativa, per volontariato s’intende un’attività “prestata in modo personale, spontanea e gratuita” per un’organizzazione “senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà”, ma come abbiamo visto Expo è un evento interamente finalizzato alla creazione di profitto, per quanto mascherato dietro un tema nobile come “Nutrire il mondo”.

Inoltre, come illustrato in precedenza, i “volontari” verranno utilizzati per accogliere i visitatori all’ingresso, indirizzare verso le biglietterie e le aree di prenotazione, dare informazioni e distribuire materiali, attività che rientrino a pieno titolo nelle mansioni tradizionalmente assegnate all’’assistente fieristico’: “non è sufficiente il ‘nomen iuris’ di volontario per escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro.”

Il bello è che l’operazione dei volontari si è resa possibile grazie a un accordo stipulato nel luglio 2013 tra Expo spa e i sindacati confederali CGIL, CISL e UIL. Se le condizioni del lavoro non pagato sono state stabilite nell’accordo del luglio 2013, i termini della non belligeranza con i datori di lavoro si trovano nell’accordo quadro del maggio 2014. Dal 2010 i sindacati hanno individuato nell’Osservatorio Partecipanti il luogo unico delle relazioni sindacali tra i datori di lavoro e le organizzazioni sindacali nei mesi di Expo.

L’Osservatorio, si legge nel testo dell’accordo, è la sede unica dove le organizzazioni sindacali “si impegnano ad affrontare le relazioni sindacali e qualunque controversia con gli appaltatori e i prestatori d’opera”.

L’accordo prevede che davanti a “qualunque conflitto, individuale o collettivo”, i sindacati si impegnano ad adottare una “procedura di conciliazione obbligatoria, preventiva a qualunque dichiarazione o azione unilaterale”. In base alla procedura prevista, va inviata all’Osservatorio una comunicazione scritta con un preavviso di minimo dieci giorni indicando la problematica da affrontare. Entro tre giorni viene avviata la conciliazione da parte dell’azienda interpellata, che si impegna a concludere la conciliazione nel giro di cinque giorni. In altre parole, in Expo non si sciopera.

Cosa possiamo fare noi

Di Expo ormai si parla solo in termini di vetrine infrante e “black block”. Forse però se ne parla ancora poco in termini di abbattimento del diritto del lavoro, di devastazione del territorio milanese, e di trasferimento abnorme di soldi pubblici in mano ai privati senza alcun beneficio per la collettività. Per quanto costituisca un evento isolato, Expo rappresenta un ottimo test per spingere in avanti la distruzione dei diritti dei lavoratori. Il contesto politico in cui esso è calato non è affatto idilliaco, anzi: con l’ideazione del Jobs Act il Governo, come mai era stato fatto prima, sta generalizzando la precarietà a tutti i settori lavorativi, inasprendo le divisioni e le contraddizioni già presenti nel mondo del lavoro.

Per questo bisogna prima di tutto sapere e far sapere cosa si cela dietro le superfici patinate della kermesse. Non solo: se è vero che “dove va il capitale va il conflitto”, allora possiamo aspettarci piccole lotte, vertenze e ribellioni da parte dei lavoratori che attraverseranno Expo. Hanno già scioperato (e sciopereranno nuovamente) i lavoratori di ATM, l’azienda di trasporto pubblico i cui dipendenti saranno costretti a una piena disponibilità oraria (in assenza di un serio piano di assunzioni) per rendere agevole il trasporto dei 20 mln di visitatori attesi. Si parla di defezioni da parte dei lavoratori belgi.

Bisogna dare sostegno e visibilità a queste lotte, coordinarle, provare a vincere. Perché ogni colpo inferto al modello Expo è un colpo inferto all’ideologia del Jobs Act. È un momento di presa di coscienza e di unione tra lavoratori di diversi paesi. Nel passato, le Esposizioni Universali hanno contribuito a cementare, tra operai di diversa provenienza, forti legami di conoscenza reciproca. Questi ultimi, sopravvissuti alle esposizioni stesse, hanno permesso la maturazione di un movimento operaio internazionale. Oggi, nell’era delle multinazionali e delle delocalizzazioni competitive, occorre ricostruire nuove solidarietà per poter vincere.

Non lasciamoci sfuggire l’occasione.

Clash City Workers-Toscana

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