Lo scaffale del debito di Kill Billy.
Con questo numero inizia una serie di recensioni che riguardano la problematica del “debito”. Sono 6 testi di vari autori che in qualche modo si compendiano a vicenda arricchendo la riflessione su questo meccanismo che segna uno dei modi di essere della contemporaneità, con ipotesi che lo interpretano come il dispositivo principe di varie forme di assoggettamento. Un debito dunque visto come marcatore delle differenze sociali nel senso non tanto che ne possa essere semplicemente l’indice, ma che (se non ne è la causa) operi per il loro mantenimento, che marchi e ampli il solco che separa il creditore dal debitore che, in origine, erano invece probabilmente scambiabili denotando così il modo di queste e quelle relazioni sociali.
La fabbrica dell’uomo indebitato, Saggio sulla condizione neoliberista.
Il saggio di Maurizio Lazzarato che ha suscitato una così buona curiosità da essere già stato tradotto in otto lingue, svolge tutta una serie di considerazioni a partire da una tesi che ha un punto di vista abbastanza originale. A partire da questa il testo cerca di verificarne la portata sia in relazione alla sua capacità di interpretazione della realtà contemporanea, sia per il suo possibile uso quale indicatore per una prassi che renda gli attuali conflitti di classe più incisivi. Sinteticamente la tesi sarebbe la seguente: il paradigma sociale non si organizza e si esprime intorno allo scambio, sia esso economico e/o simbolico, ma intorno al credito. Alla base della relazione sociale non c’è lo scambio che presuppone il concetto di eguaglianza (pari quantità e pari qualità), con tutta la problematica del valore, «ma l’asimmetria del rapporto debito/credito che precede, storicamente e teoricamente la relazione tra produzione e lavoro salariato. […] L’economia del debito riveste il lavoro nel senso classico del termine, di un “lavoro sul sé”, così da far funzionare in modo congiunto economia ed “etica”» (p. 26). È sicuramente un’affermazione di una certa originalità, visto che tanti autori hanno cercato di interpretare questa fase storica dominata dal ricatto del debito, ma il punto di vista di Lazzarato vede nel debito stesso l’incarnazione di un dispositivo che in qualche modo è all’origine dei rapporti e delle messe in atto di ogni tipo di organizzazione sociale. L’originalità della tesi è di avere esteso questo paradigma a più forme sociali – con un’ovvia attenzione al capitalismo – e non solo a quella delle origini, alla quale faceva riferimento il Nietzsche della seconda dissertazione della “Genealogia della morale”.
Non occorre qui riprodurre tutta la documentazione che dimostra la capacità pervasiva del meccanismo del credito/debito che occupa la prima parte del saggio e che prosegue tra le righe nelle altre parti, cosa per altro ben conosciuta e facilmente ricostruibile tramite una semplice analisi delle vicende economico-politiche degli ultimi anni. Quello che è più interessante è la ricostruzione dei modi e delle astuzie che il dispositivo dimostra di saper mettere in atto. L’operazione in termini attuali comporta diversi risultati, uno di questi è che la finanza, le banche, ma anche certi “investitori istituzionali” non sono semplicemente degli speculatori, sono appunto il modo di manifestarsi attuale del capitale (ne sono i “proprietari”, dice Lazzarato), mentre i capitalisti industriali sono ormai divenuti dei funzionari di questa valorizzazione finanziaria. La finanza non sarebbe dunque riconducibile meramente al suo aspetto speculativo, perché altrimenti si trascurerebbe il ruolo politico di essere la rappresentante del “capitale sociale” (Marx) o come diceva Lenin, di “capitalista collettivo”.
A far funzionare il dispositivo del debito, semplicemente individuabile nei meccanismi della finanza, sono una serie di accentuazioni che alcune scelte politiche hanno comportato. Si cita la cartolarizzazione (legge francese del 1988 votata su proposta del socialista Bérégovoy) che permette la trasformazione di un titolo di credito (e quindi di un debito) in un titolo negoziabile sui mercati finanziari (sono così, ad esempio, presenti nel mercato valori connessi a fatture emesse ma non saldate). Altro meccanismo che ha influito sulle articolazioni del debito è quello messo in atto nel 1979 per iniziativa di Volker (allora presidente della Federal Reserve e consigliere economico del primo staff di Obama) per il quale i tassi nominali sono passati dal 9% al 20% aumentando il debito pubblico degli stati incidendo in particolare sul debito dei paesi in via di sviluppo, ma anche al debito pubblico degli altri stati. La conseguenza è stata l’espansione del ricorso di questi soggetti ai mercati finanziari per trovare le risorse per la loro attività. Qui sarebbe da aggiungere a quelli citati da Lazzarato un altro evento che probabilmente ha reso più incisiva la capacità coercitiva del dispositivo debito/credito così come viene illustrato da G. Agamben e precisamente l’evento del 15 agosto del 1971, quando il governo americano, sotto la presidenza di Richard Nixon, dichiarò che la convertibilità del dollaro in oro era sospesa. Le conseguenze sono ben illustrate in questo articolo: qui il link.
L’analisi di Lazzarato prosegue sottolineando che se ben si guarda, dal punto di vista del capitale, il debito più che essere un handicap, costituisce il motore dell’economia contemporanea che riesce anche a «riprendere, attraverso politiche di austerità, il controllo sul “sociale” e sulle spese del Welfare, cioè sui redditi, sul tempo (della pensione, delle ferie ecc.) e sui servizi sociali che sono stati strappati dalle lotte all’accumulazione capitalistica.» (p. 45). Passiamo però alle implicazioni che il sistema del debito comporta. C’è subito una conseguenza morale connessa al debito che ingenera il concetto di colpa (qui Lazzarato riprende Nietzsche), esemplificativo il luogo comune che descrive i greci nullafacenti spaparanzati al sole di una delle innumerevoli loro spiagge in confronto con i tedeschi che sgobbano «per il bene dell’Europa sotto un cielo uggioso» (p. 48). (In realtà i dati sull’operosità delle due popolazioni sono in netto favore di quella greca). Segue il fatto che se nel credito e non nello scambio abita l’archetipo dell’organizzazione sociale, allora il rapporto economico che si realizza a partire dal debito implica un controllo sulla soggettività e sulle forme di vita, si evoca così un tipo di potere che esprime la capacità di intervenire nei rapporti sociali in termini sia creativi che distruttivi e in particolare nei termini stessi della soggettivazione.
Il meccanismo che ben illustra queste questioni è il modello dell’imprenditore di se stesso che imperversava negli anni 80 e che invece corrispondeva semplicemente a una forma di auto-assoggettamento al sistema. Qualcosa di simile all’auto-assoggettamento originario che consisteva in una memoria per la quale il debitore dava in pegno al proprio creditore qualcosa d’altro che ancora possedeva come ad esempio il proprio corpo, la propria libertà, la propria vita. Si ha così un’economia come processo di soggettivazione per il quale il debito non è solo un dispositivo economico, ma anche «una tecnologia securitaria di governo volta a ridurre l’incertezza dei comportamenti dei governati» (p. 61).
Qui uno dei meriti di Lazzarato è quello di aver scovato dei passi del giovane Marx in totale sintonia con il pensiero di Nietzsche: «Ma questa soppressione della estraneazione, questo ritorno dell’uomo a se stesso e dunque all’altro uomo non è se non parvenza; e tanto più essa è una autoestraneazione, una disumanizzazione assai più infame ed estrema, in quanto il loro elemento non è più la merce, il metallo, la carta, ma l’esistenza morale, l’esistenza sociale, la stessa interiorità del cuore umano, in quanto, sotto le spoglie della fiducia dell’uomo verso l’uomo, essa è la massima sfiducia e l’estraneazione perfetta» (Citazione da: Appunti su James Mill, in K. Marx, Scritti inediti di economia politica, Editori Riuniti, Roma 1963, pp. 232-233).
Il meccanismo dell’assoggettamento agisce anche nell’uniformizzazione dei comportamenti in modo tale che il soggetto debba tenerne uno tale da poter essere semplicemente giudicato meritevole del credito. Ulteriore considerazione riguarda l’entità del debito. Organico al funzionamento del dispositivo capitalista, esso potrà essere di proporzioni tali da potersi considerare infinito in maniera che l’uomo si senta perennemente assoggettato ad un meccanismo che trova come una rassegnazione o, al limite, una possibilità di uscita (di redenzione) soltanto in una trascendenza messianica. Qui il rapporto tra tempo e “credito” ci fa venire in mente un altro articolo di Agamben, lo potrete leggere a quest’altro link.
In nome del debito si sono messe in atto tutta una serie di misure di austerità che hanno provocato una generale precarizzazione del lavoro e, quindi, della vita tutta. Ecco comparire delle pratiche attraverso le quali si rendono i soggetti succubi di se stessi a partire da meccanismi anche semplici. Un esempio: i disoccupati che per ricevere l’assegno di sussistenza, erano tenuti a subire tutta una serie di interrogatori e a sottostare ad azioni di controllo atte a verificare un presunto o meno comportamento etico tale da giustificare il merito dell’assegnazione del contributo stesso.
Un’ulteriore considerazione merita il fatto che debito e diritti prendano poi strade divergenti: «Infatti, i diritti sono universali e automatici poiché riconosciuti socialmente e politicamente, mentre il debito è concesso a partire da una valutazione della “moralità” e si fonda sull’individuo e sul lavoro su di sé che egli deve attivare e gestire» (p. 142).
Le conclusioni vanno perciò nella direzione di annullare il debito e il suo potere opprimente. Le azioni conseguenti sono quelle di richiederne il non pagamento, battersi per la sua cancellazione. La ripresa della lotta di classe dovrebbe, secondo l’autore, ritrovare una forma di innocenza verso non soltanto il debito divino contro il quale si era scagliato Nietzsche, ma anche verso quello terrestre che «modula e formatta le nostre soggettività» (p.174.). La stessa individuazione e presa di coscienza dei meccanismi legati al debito ci possono restituire un soggetto capace di nuovo di riconoscere i punti attraverso i quali recuperare la propria dignità da poter usare in aperto conflitto con le forze che mettono in campo il dispositivo annichilente del debito. Ed è proprio nel riconoscergli tutte queste capacità, nell’averlo individuato come dispositivo veicolante la strategia di assoggettamento che il capitale mette in atto, che il saggio di Lazzarato si distingue da altre analisi che avevano egualmente preso in considerazione il debito semplicemente come caratteristica di un modo di presentarsi del capitalismo contemporaneo.
Maurizio Lazzarato, La fabbrica dell’uomo indebitato – Saggio sulla condizione neoliberista, Derive Approdi, Roma 2012. Pagine 175, € 12.00.
*Gilberto Pierazzuoli è un attivista di perUnaltracittà
Gilberto Pierazzuoli
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