L’autostrada tirrenica: scelta di retroguardia

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Sui giornali dell’ultimo mese, con riferimento al progetto dell’autostrada tirrenica, Confindustria Toscana ha scritto che «il futuro viaggia sempre su strada» e il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi ha risposto subito che anche lui la Tirrenica la vorrebbe e che senza l’autostrada la Maremma verrebbe condannata alla marginalità (si veda, ad esempio, “Il Tirreno” del 10 ottobre). Non è vero. Sono analisi basate su una visione stantia del rapporto tra infrastrutture e territorio e sulla riproposizione di una concezione affaristica o speculativa dello sviluppo.

ss_aurelia_strada_statale_modL’autostrada avrebbe forse avuto un senso fino a 30 anni fa, ma il futuro sarà basato sullo sviluppo di sistemi di mobilità ecologici e più adatti ai caratteri della penisola italiana: per questo sarebbe oggi molto più moderno e lungimirante investire sulla rete ferroviaria e sul trasporto marittimo. Un paese lungo e stretto, circondato dal mare, ad insediamento diffuso ed orograficamente accidentato non può permettersi di infittire la rete autostradale, che spesso ferisce i territori, attraversandoli senza lasciare niente; dovrebbe occuparsi di più dei suoi porti, dell’intermodalità, di manutenzione della rete ferroviaria e stradale esistente, compresa quella minore, del raccordo tra grandi vie di comunicazione e sistemi locali.

Riproporre l’autostrada che i territori hanno già bocciato, non solo attraverso i comitati dei cittadini ma anche tramite la maggior parte delle istituzioni locali, sarebbe una scelta miope e di retroguardia, pesante per le popolazioni locali, che dovrebbero sopportare lunghi anni di disagi, e per gli utenti, che si troverebbero a pagare profumatamente un’opera imposta dall’alto.

Sono finiti i tempi in cui un’autostrada poteva significare sviluppo dei territori attraversati. Oggi essa certificherebbe piuttosto il loro declino e un pericoloso cambiamento d’identità. Di sviluppo sostenibile si potrebbe invece parlare prendendo in esame l’intera problematica del corridoio tirrenico, che non è solo autostrada, ma anche ferrovia e navigazione. Ma purtroppo anche le scelte del governo nazionale vanno in senso opposto, costringendo ad esempio Trenitalia ad una logica commerciale che lascia in secondo piano il diritto delle persone alla mobilità e dall’altra opera a favore del trasporto privato su gomma, indubbiamente più costoso per i cittadini e più dannoso per l’ambiente.

Non è neanche vero, come dicono strumentalmente i sostenitori dell’autostrada, che da Rosignano a Civitavecchia non c’è niente e tutto si interrompe: c’è una superstrada a quattro corsie, tranne che per una ventina di chilometri dove le corsie sono due, inserita nell’itinerario europeo E80. La logica vorrebbe che il necessario ammodernamento di questa infrastruttura riguardasse prima di tutto quei venti chilometri, trasformandoli in strada a quattro corsie, oltre all’eliminazione degli incroci a raso a sud di Grosseto. Senza spese enormi avremmo una infrastruttura stradale moderna e adeguata al traffico. Andrebbe tenuta meglio, questo sì, anziché abbandonarla all’incuria con conseguente pericolo di gravi incidenti.

La mobilità è un diritto fondamentale, che richiede uguaglianza e pari opportunità di accesso, mentre l’alta velocità e le nuove costose autostrade sono opere socialmente inique, a vantaggio di pochi. Tutto in tempi di crisi, in nome della velocità e di una malintesa modernizzazione.

Ma è una modernità stolta, che dimentica i territori e i cittadini.

*Rossano Pazzagli, docente di Storia moderna, fa parte della Società dei Territorialisti

 

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Rossano Pazzagli

Rossano Pazzagli è professore di Storia del territorio e dell'ambiente all'Università del Molise. Dirige la Scuola di paesaggio "Emilio Sereni" ed è vicepresidente della Società dei Territorialisti/e

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