L’involuzione delle grandi opere inutili e le imprese italiane

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Il 7 luglio 2016 durante l’assemblea annuale della Confindustria alcune dichiarazioni del presidente nazionale Vincenzo Boccia e del presidente toscano Massimo Messeri meritano un commento e delle riflessioni. Entrambi hanno sostenuto la necessità di continuare nella realizzazione di grandi impianti infrastrutturali per garantire la crescita anche in Toscana; se si portassero a termine le grandi opere in cantiere (TAV, aeroporto, inceneritore, terze corsie, tranvie) si avrebbe un aumento del PIL regionale dell’1% e ben 5300 nuovi posti di lavoro.

Con quali studi siano stati ricavati questi numeri non è dato saperlo, ma proprio negli stessi giorni il professor Marco Ponti rilevava come la realizzazione di grandi infrastrutture crei molto pochi posti di lavoro rispetto ai capitali investiti. Questa non è certo una novità, ma è regolarmente ignorata nelle autorevoli assise della Confindustria.

grandi-opere1Quel che lascia veramente perplessi è che ormai da decenni il problema delle grandi opere è emerso in tutta la sua gravità; ingenti risorse sono destinate a questo settore, ma i benefici per l’occupazione non si vedono. Si sono visti e si stanno vedendo invece tutti i problemi che l’ipertrofia delle infrastrutture sta causando al paese; tralasciando quelle ambientali (che non sono poca cosa) basta concentrarsi sulle anomalie economiche, occupazionali, urbanistiche e criminali che ne sono derivate. A cominciare dal progetto TAV italiano, la più grande infrastruttura realizzata in Italia dopo le autostrade del periodo del boom: costi mediamente aumentati di sei o sette volte, costi cinque volte superiori a quelle di linee ferroviarie di altri paesi, un sistema nazionale che collega solo cinque grandi città nel paese dei “cento campanili” lasciando il servizio regionale in condizioni pietose, una girandola di appalti e subappalti che ha visto l’infiltrazione di tutte le mafie possibili e fenomeni strutturali di corruzione.

Se poi guardiamo alla più imponente grande opera prevista a Firenze, il Passante TAV, la cosa è platealmente confermata: un progetto sbagliato e dalle lacune vistosissime ha già provocato aumenti vertiginosi dei costi; sbagliata la progettazione dello smaltimento delle terre di scavo, tanto che si è dovuto ricorrere ad emanare una nuova legislazione a riguardo; valutazioni errate hanno provocato uno sbilanciamento della falda che nessuna mitigazione pare rimediare. Gli aspetti più gravi relativi a questa opera sono però emersi dalle inchieste della magistratura che vedranno l’inizio del processo alla fine dell’anno; un sistema corruttivo diffuso a tutti i livelli nella pubblica amministrazione, ditte che hanno frodato tentando di utilizzare materiali inadatti, addirittura il montaggio di una fresa taroccata che non avrebbe mai potuto scavare.

Tutto questo è potuto avvenire per l’utilizzo di figure come il general contractor, un soggetto privato cui vengono delegati troppi poteri, anche quelli di controllare l’adeguatezza dei costi; un istituto che ha provocato enormi aumenti di spesa e quindi anche dei profitti per le imprese costruttrici, sempre garantiti dal soggetto pubblico. Un sistema che anche il Presidente dell’ANAC, Raffaele Cantone, ha definito criminogeno.

Praticamente tutti i cantieri TAV, tutte le nuove autostrade, porti, aeroporti vedono un pullulare di inchieste dove le stesse dinamiche si ripetono. Alla base c’è sempre un sistema (general contractor o project financing) in cui la ditta che realizza l’opera non ha nessun tipo di rischio, né di impresa, né di mercato, perché ogni capitolo di spesa vede sempre il soggetto pubblico garante. I profitti che si possono calcolare dai numeri che abbiamo sono impressionanti (esempio tipico i project financing degli ospedali, anche in Toscana), tali che nessun libero mercato può garantire.

Ebbene se questo è il PIL che la Confindustria pensa di far crescere ci sarebbero delle domande che alla fine tutti i cittadini si cominciano a porre. Perché certamente la politica italiana è corrotta, ma dove c’è un corrotto c’è sempre un corruttore e, sempre dalle inchieste in corso, si vede come l’intreccio tra politica, imprese, soggetti mafiosi è strettissimo e inestricabile.

I presidenti di Confindustria dovrebbero spiegare se dietro questi fenomeni delle grandi opere non ci sono fortissimi interessi dei loro principali iscritti; tutti i maggiori gruppi economici italiani si sono buttati sul business delle grandi opere: profitti altissimi, rischi zero.

Ci dovrebbero spiegare se questo è il modello di capitalismo che stanno propugnando in questo nuovo millennio, dove le principali imprese si stanno dedicando ad un parassitario sfruttamento delle risorse pubbliche, cioè degli Italiani, imponendo progetti dalla scarsa o nulla utilità.

Ci dovrebbero spiegare come mai le migliori e tecnologicamente più qualificate aziende italiane sono state smantellate o svendute, mentre i principali gruppi economici puntano solo e sempre a settori iperprotetti e parassitari dai profitti garantiti, dove non c’è alcuna competizione di mercato.

I presidenti di Confindustria dovrebbero anche spiegare alle imprese medie e piccole che subiscono i subappalti dei grandi gruppi, i ricatti cui sono sottoposte, l’imposizione dei prezzi, i tardivi pagamenti, le condizioni capestro, i continui fallimenti. Ormai è sotto gli occhi di tutti che esiste una oligarchia imprenditoriale che cannibalizza le piccole e medie aziende.

Ci vorrebbe un serio centro studi che facesse i conti di quanti posti di lavoro non si sono creati scegliendo di non fare opere di pubblica utilità, ma utili solo ai costruttori.

L’Italia non ha bisogno di pachidermi di cemento, ma di una diffusa manutenzione di quanto esistente, una miriade di piccoli e medi cantieri nei quali si faccia risorgere un paese in triste declino; questo però non rientra negli interessi dei signori del cemento: la grande opera è molto più vantaggiosa, concentra notevoli profitti facilmente controllabili, politicamente più gestibili, dove i costi della mano d’opera sono molto contenuti.

La miriade di cantieri di cui il nostro paese necessita vedrebbe non migliaia, ma milioni di posti di lavoro creati con la stessa quantità di risorse economiche drenate oggi dal corrotto sistema politico/imprenditoriale che impone la grande opera inutile.

La favola che le infrastrutture creano lavoro è morta dopo la fine del new deal, la novella che il libero mercato regola le magnifiche sorti dell’umanità non ha più ascoltatori; oggi le grandi opere inutili sono solo garanzia di profitti parassitari, il segno di un neofeudalesimo che non ha più nulla da dire alla storia, un capitolo che bisognerebbe chiudere velocemente. Per il bene di quasi tutti.

*Tiziano Cardosi

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Tiziano Cardosi

Obiettore di coscienza negli anni ‘70, attivista contro le guerre, già capostazione delle FS, oggi si occupa soprattutto di mobilità e del fenomeno delle “grandi opere inutili”, tra I fondatori del comitato No Tunnel TAV di Firenze. Attivista di perUnaltracittà.

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