Ferrale: un centro di rottamazione da rottamare

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“Un centro di eccellenza in Toscana, una struttura all’avanguardia che consentirà di smaltire in piena sicurezza i veicoli non più utilizzabili». In questo modo, nel lontano 2006, l’assessore all’urbanistica di Firenze, Gianni Biagi, presentava il Centro di Rottamazione del Ferrale.

“Un semplice principio di cautela dovrebbe spingere l’amministrazione a fermare il progetto di un insediamento estremamente pericoloso e potenzialmente inquinante, visto il tipo di rifiuti speciali che dovrebbero esservi trattati”. È la dichiarazione con la quale la consigliera di opposizione, Ornella De Zordo, dichiarava il proprio voto contrario all’approvazione del progetto del Ferrale durante la seduta del Consiglio Comunale del novembre 2008.

A distanza di 10 anni abbiamo conferma che l’impianto di rottamazione che sulla carta doveva essere il migliore del mondo si è trasformato in un incubo, per la città e in particolare per la zona agricola di sud ovest, quella di Mantignano Ugnano. Tanto che la Magistratura fiorentina, in seguito alle attività connesse al centro del Ferrale, ha citato a giudizio 48 indagati per gestione di rifiuti pericolosi e disposto il rinvio a giudizio per 13 persone per associazione a delinquere, gestione abusiva e traffico di rifiuti.

La costruzione dell’impianto era stata richiesta nel 2003 dalla società Ecofirenze, avrebbe dovuto riunire alcuni rottamatori presenti in città, liberandone le aree che sarebbero poi state ripianificate con il nuovo piano urbanistico. Detto così, sembrerebbe che ci fosse poco da eccepire, però fin dall’inizio, a ben vedere, il progetto ha mostrato i propri limiti e pericoli. Per questo, l’iter amministrativo è stato molto travagliato e avversato dai cittadini e dalle forze di opposizione presenti in Consiglio Comunale.

Le obiezioni mosse riguardavano prima di tutto il consumo di suolo in zona agricola che si sarebbe attuato con il nuovo progetto, nonostante la legge urbanistica regionale imponesse il riutilizzo di aree dismesse, sempre molto numerose a Firenze.

La pericolosità dell’impianto era anche denunciata perché costruito in aree alluvionabili e di esondazione della Greve e dell’Arno, con la falda freatica affiorante e il fosso Dogaione nelle immediate vicinanze. Durante l’alluvione dell’Arno la zona era stata sommersa per un’altezza di circa 2 metri, mentre sono frequenti i fenomeni di grave ristagno delle acque meteoriche. Gli stessi nomi dei luoghi, Pantano, Pantanino, lago Bisi, Borgo ai Fossi, stanno a ricordare il grave rischio idraulico presente nell’area.

Il semplice buon senso avrebbe consigliato ben altra localizzazione, in zone più sicure, anche nel rispetto della normativa nazionale ed europea che disponeva, anche questa, di privilegiare il reimpiego di aree industriali dismesse e di evitare le aree agricole.

Il progetto presentato inoltre non era conforme né agli strumenti urbanistici comunali né a quelli provinciali. Il piano provinciale addirittura includeva questa area in una zona per la realizzazione di parchi, riserve e aree naturali protette di interesse locale, che vedono ridotta la propria superficie a favore del centro raccolta rifiuti. E allora, cosa è accaduto? Le amministrazioni pubbliche incaricate hanno cambiato le previsioni dei piani, e voila, il progetto diventa legittimo e conforme, sì, ma alle nuove mutate disposizioni. Ubi maior, minor cessat: gli appetiti dell’interesse privato riescono a prevalere su quello pubblico.

Nonostante i ricorsi al TAR, le numerose assemblee indette dai comitati cittadini e dal Comitato di Mantignano Ugnano, gli studi della Facoltà di Architettura di Firenze, la tenace opposizione in seno ai consigli comunali e provinciali, le amministrazioni comunali e provinciali, sindaco Leonardo Domenici e presidente Matteo Renzi, e con loro il PD locale, hanno sempre sostenuto questo progetto che però, come da più parti sostenuto, si è poi rivelato fallimentare.

Non solo, ma il centro raccolta era enormemente sovradimensionato rispetto al locale fabbisogno, un carico insostenibile tale da far parlare di bomba ecologica pronta a scoppiare in una delle ultime aree agricole di Firenze, dal delicato equilibrio idrogeologico. La previsione non era del tutto fuori luogo, e con essa anche la probabile nebulosa di traffici irregolari vista la straordinaria capienza dell’impianto.

Insomma un progetto nato male e miseramente naufragato nei fanghi oleosi di rottami e ricambi metallici, bidoni e pneumatici, batterie e vecchie carcasse di automobili. Ora è la Magistratura che, ancora una volta, deve indagare a posteriori, su una vicenda opaca che la politica non ha voluto vedere, neppure dopo che si erano levate voci che indicavano con precisione le molteplici criticità di un progetto scellerato, fortemente voluto da grandi portatori di interessi economici e finanziari.

*Antonio Fiorentino

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Antonio Fiorentino

Architetto, vive e lavora tra Pistoia e Firenze dove rischia la pelle girando in bici tra bus, auto e cantieri. E’ un esponente del Gruppo Urbanistica di perUnaltracittà di Firenze, partecipa alle attività di Comitati di Cittadini e Associazioni ambientaliste.

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