La mafia secondo la stampa/ 3: Come arrivano i mafiosi?

Le due rappresentazioni discusse negli appuntamenti precedenti forniscono un’istantanea delle presenze mafiose. Ci raccontano di interessi economici o di organizzazioni che espandono i loro tentacoli sulla regione.

Un’ulteriore immagine che si può ricavare dalla stampa ci offre qualche indicazione anche sul «processo», cioè sulle modalità attraverso le quali gli esponenti mafiosi sono arrivati e arrivano in Toscana. In altre parole, se con la prima rappresentazione la stampa risponde alle domande «Perché [i mafiosi] arrivano?» e con la seconda «Come sono [i mafiosi]», in questo caso la domanda è «Come arrivano?». In merito a questo interrogativo, possiamo cogliere almeno due tendenze, alcune più caute sono in linea con la prima rappresentazione, e altre più allarmiste, vicine alla rappresentazione offerta nella scorsa puntata.

Una prima tendenza riguarda gli spostamenti che potremmo definire per via economica. I membri dei gruppi criminali, come è stato ricostruito in precedenza, si muoverebbero perseguendo deliberatamente la necessità di ampliare i propri affari. Significativi, ad esempio, sono gli articoli che descrivono questi spostamenti come paralleli ai lavori pubblici. Nel 2011, in occasione di un convegno sulla legalità ad Arezzo, Raffaele Cantone, in quel momento membro dell’ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione ma fino al 2007 magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, descrive i meccanismi di insediamento di esponenti della camorra nell’aretino come: «conseguenza dei lavori per la realizzazione della Direttissima Ferroviaria. È stata l’occasione in cui decine di piccole ditte, spesso infiltrate dalla camorra, si sono insediate in quella fascia» (La Nazione Arezzo, 22/05/2011).

Gli spostamenti per via economica sembrano basarsi su motivazioni intenzionali degli esponenti criminali. Altri articoli mettono in luce, invece, modalità non intenzionali, collegate ad esempio alle faide dei gruppi criminali nelle aree meridionali o alla necessità di dover gestire una latitanza. Una guerra di mafia in Calabria spiegherebbe secondo la stampa un duplice omicidio avvenuto in provincia di Arezzo nel 2006: «C’è una faida calabrese che geograficamente potrebbe essere collegata a queste morti e che riporta a una sanguinosa rivalità familiare cominciata dall’ incrociarsi di interessi opposti legati agli appalti sui tagli boschivi e proseguita con estorsioni e traffico di droga. La zona interessata dalla guerra di ‘ndrangheta è quella della Presila catanzarese» (la Repubblica, 11/04/2006).

In altri articoli, la Toscana viene presentata come “crocevia” di importanti latitanze che si inseriscono in un contesto in cui si sono create certe condizioni. Infatti, sebbene i mafiosi tendano a preferire zone limitrofe a quelle di origine, se la pressione delle forze dell’ordine diventa troppo forte, la scelta cade su zone dove è possibile contare su reti di supporto. Un caso esemplare è la latitanza di un importante esponente dei casalesi, possibile grazie a «cellule», aggregati mafiosi autonomi con un preciso progetto criminale da attuarsi in sede locale (Il Corriere Fiorentino, 17/03/2009), o, ancora, quella di un esponente della camorra, attivo negli affari criminali sul territorio e ritenuto anello di congiunzione importante tra Lucca e la Campania tanto da godere di una fitta rete di protezione in Campania e fuori (Il Giornale della Toscana, 20/05/2010). Ancora di più, la latitanza di un uomo di ‘ndrangheta conclusasi con l’arresto di sei persone, tra cui anche tre toscani, arrestate per favoreggiamento aggravato, concretizzatosi nel fornire al latitante il necessario per vivere e muoversi sul territorio, dall’appartamento alla tessera sanitaria (Il Tirreno, 24/02/2010). Altre rappresentazioni giornalistiche evidenziano la capacità di «mimetizzazione» e di condurre uno stile di vita low profile come nel caso della latitanza di un elemento di spicco del clan Marrazzo di Napoli, autista della Croce Verde a Marina di Massa, ritenuto dai colleghi una «persona serena e tranquilla» (La Nazione, 26/05/2009).

Un ulteriore elemento che avrebbe favorito gli spostamenti criminali è il soggiorno obbligato. Come è stato evidenziato in precedenza, non sempre è la magistratura a decidere il luogo in cui dovrà stare la persona sottoposta a questa misura, ma spesso le agenzie di contrasto chiedono al soggetto interessato di esprimere una preferenza sul posto in cui spostarsi. Questo provvedimento ha suscitato notevoli polemiche anche all’interno del fronte antimafia e tra gli studiosi − tanto da essere stato modificato più volte nel corso del tempo − ma ancor di più sui territori di arrivo dei soggiornanti obbligati, non ultimi gli amministratori locali che anche a distanza di molti anni ritengono il provvedimento giudiziario la principale causa di insediamento dei mafiosi nella regione (La Nazione, 29/09/2007).

Nei prossimi appuntamenti presenteremo dei casi specifici ed esemplificativi delle diverse modalità di arrivo e di insediamento sul territorio.

*Graziana Corica e Rosa Di Gioia