“Ecologie politiche del presente” è il Laboratorio di studi che lo scorso 9 giugno, a Napoli, ha organizzato l’omonimo convegno presso l’Istituto per gli Studi Filosofici, coordinato da Nicola Capone, dello stesso istituto, con la collaborazione di vari ricercatori, tra cui i salernitani Giso Amendola e Gennaro Avallone.
Si è trattata di una riflessione a più voci sul tema delle Ecologie politiche. Tra i presenti spiccava l’intervento di Jason Moore, storico dell’ambiente e docente di economia politica presso il Dipartimento di Sociologia della Università di Binghamton, negli Stati Uniti.
Lo storico americano, in questi ultimi anni, ha contribuito, assieme ad altri studiosi, alla definizione teorica della cosiddetta “Ecologia mondo”, un’interessante prospettiva per comprendere le trasformazioni socio-ecologiche e storiche della società contemporanea.
Non si tratta di novità assolute, come sottolineava Gennaro Avallone: in Italia, nel 1972 Dario Paccino pubblicava “L’imbroglio ecologico” in cui, forse allora non del tutto compreso, ricostruiva gli stretti rapporti tra organizzazione capitalistica della produzione e appropriazione/distruzione della natura.
Jason Moore parte dalla critica di quello che definisce il “dualismo cartesiano”, con il quale umanità e natura si fronteggiano su piani nettamente separati. Da un lato il soggetto, possibilmente maschio, bianco, occidentale, dominante, dall’altro tutto il resto, non solo natura ma tutto ciò che ad essa viene assimilato, dal lavoro riproduttivo femminile non pagato al lavoro servile, al lavoro della natura.
Il capitale, per mantenere bassi i salari e alti i profitti, ha sempre bisogno non solo di utilizzare/dominare l’oggetto del dualismo cartesiano, ma anche di riprodurlo, di continuare cioè a produrre natura a basso costo (migranti, biotecnologie, colonizzazione dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, nuovi pozzi petroliferi, ecc.) affinché il meccanismo della accumulazione di ricchezza sia continuamente rilanciato.
Il soggetto domina e sussume tutto ciò che gli sta di fronte. La base della valorizzazione capitalistica quindi non è da ricercare solo nello sfruttamento del lavoro vivo, ma anche nella appropriazione del lavoro non pagato sia umano (femminile, precario, relazionale, dei migranti, ecc.) che extra umano (appropriazione della natura e delle basi materiali della produzione, petrolio, minerali, ecc.).
In questo modo la questione ambientale non è una delle conseguenze possibili del capitalismo, ne è invece una sua dimensione costitutiva: l’accumulazione capitalistica procede proprio a partire dalla appropriazione del sistema mondo, dell’ecologia mondo senza la quale il capitalismo non potrebbe darsi.
Se questo è condivisibile, allora si scorgono tutti i limiti della attuale narrazione mainstream dell’Antropocene, con cui si sostiene genericamente che la generica presenza umana sul pianeta si è trasformata in forza geologica a tal punto da modificarne in profondità la struttura.
Il nuovo marker geologico, sostiene Moore, e noi con lui, è da ascrivere ad una precisa formazione storica, economica e sociale, quella capitalistica, che a partire dal XVI secolo si struttura secondo rapporti di produzione di dominio/subordinazione/sfruttamento, quella che conosciamo ancora oggi. Egli propone quindi di introdurre il concetto di Capitalocene per storicizzare i fenomeni e superare la falsa narrazione del rapporto uomo natura.
Tentare di superare la narrazione tutta ideologica dell’Antropocene richiede di mettere al centro e di riconsiderare i rapporti di produzione, proprio per comprendere questo periodo della storia del mondo.
Vanno chiamati in causa non solo gli attuali rapporti di classe ma anche i rapporti di potere, di oppressione di genere (patriarcali), coloniali (razzismo, nuove campagne belliche, land grabbing, ), di mercificazione degli ambienti di vita (sistemi urbani e territoriali privatizzati) mediante i quali il capitale ricrea e produce natura e umanità a basso costo (cheap nature), processo divenuto ormai centrale per l’accumulazione capitalistica della ricchezza.
Secondo Moore, il tardo capitalismo, a causa delle profonde mutazioni in corso delle condizioni climatiche del pianeta, sembra avvilupparsi in una crisi senza vie d’uscita. Il mutato equilibrio termodinamico del pianeta garantisce sempre meno la produzione di natura a basso costo – i cosiddetti four cheaps: forza lavoro, cibo, energia e materie prime – contribuisce ad aumentarne i costi e a ridurre la disponibilità di ognuno di questi elementi. Il meccanismo di accumulazione capitalistica sembra a questo punto non garantire più gli alti tassi del passato ed essere destinato ad un ineluttabile declino.
L’ipotesi di annichilimento del capitale che Moore mette in campo, condivisibile in parte, è interessante perché in grado di aprire nuovi scenari di riappropriazione e di autodeterminazione del vivente, nuovi territori sinora inesplorati. Secondo noi, nell’immediato dovremmo aspettarci da un lato una maggiore velenosità dell’azione capitalistica nel tentativo di recuperare l’erosione dei margini di accumulazione ad opera di tutto il lavoro non pagato, dall’altro, questa produrrà una rinnovata germinazione di forme di resistenza attiva, sempre più estese e radicali.
Non possiamo non constatare le sempre più diffuse forme di lotta per la giustizia climatica, per la giustizia ambientale, in difesa della terra, in difesa del lavoro, contro il debito ecologico e in difesa della vita in generale che oggi si estendono nei nostri territori.
Vogliamo segnalare che nell’area fiorentina, l’intensità e la tenacia di questa effervescenza sociale ha messo a segno un’importante vittoria: l’inceneritore di Case Passerini, da 200.000 tonnellate di rifiuti all’anno, “un si farà” e le amministrazioni locali saranno costrette ad elaborare nuove politiche per la corretta chiusura del ciclo dei rifiuti.
Un popolo nuovo si sta manifestando, nuove connessioni stanno maturando.
*Antonio Fiorentino