Villa di Rusciano. Asta ad agosto

“Impoverire il patrimonio del Comune attraverso vendite di immobili per fare cassa e intanto spendere 2.2 milioni di euro per ripavimentare via Panzani, (e in seguito molte altre del cosiddetto quadrilatero d’oro ) è una scelta sbagliata.  Utili argomentazioni di merito e di principio esistono per tutti i 13 casi di variante al PRG che verranno discusse col bilancio. Villa di Rusciano è una di queste, il lotto n 10 dei beni che il Comune vuole alienare. ..“ Cosi cominciava il comunicato stampa di perUnaltracittà – lista di cittadinanza, del 2 Aprile 2012, a firma di Ornella De Zordo e del sottoscritto; ancora una volta, sei anni dopo, torniamo sull’argomento contro la stessa ottusa sordità.

La villa Pitti a Rusciano non va venduta. Sul finire di marzo 2012 il Comune di Firenze (sindaco Renzi, assessore Meucci) pubblica un elenco di tredici immobili da mettere in vendita. Immediatamente appare evidente l’approssimazione e l’ignoranza che ha guidato gli estensori dell’elenco e sopratutto della Giunta guidata da Matteo Renzi, in materia di governo del patrimonio pubblico artistico. La prima segnalazione venne fatta alla Soprintendenza dal gruppo perUnaltracittà circa l’edificio conosciuto come ristorante “le Rampe”, ricavato (con qualche aggiunta posticcia) dalla casa degli attrezzi dei giardinieri dell’omonimo giardino della Firenze capitale, una tra le opere di architettura urbana più interessanti dell’Ottocento italiano. Con qualche penoso strascico il piccolo pregevole edificio fu tolto dall’elenco. Non così la villa di Rusciano, con la sua dote di giardini, (per la vendita denominati ‘area di pertinenza’) malgrado numerosi interventi fatti negli anni dalle consigliere De Zordo prima e in seguito da Giovanna Sesti (Quartiere 3), affiancata da un attivo comitato per i “Beni comuni “ formatosi nel Quartiere.

Ai primi di Agosto di quest’anno sarà messa all’asta per l’importo base di 7,2 milioni con un ribasso del 30% rispetto alla prima base d’asta di 10 milioni diventata poi di 8,2. Ancora una volta nel sindaco Nardella come nel suo predecessore e ispiratore Renzi, prevale il piglio autoritario del gestore degli interessi del capitale speculativo internazionale in spregio al ruolo di rappresentante pubblico nella amministrazione della città che invece pretende, come il predecessore, di governare da padrone.

Due sono le ragioni principali per annullare la vendita della villa affinché questo importante bene culturale rimanga nel patrimonio pubblico.

La prima ragione è che la villa deve restare aperta e disponibile alla popolazione e non diventare un hotel ad uso esclusivo di un turismo d’élite, come la destinazione turistico-recettiva fa ben immaginare. La sua stessa storia lo richiede. Fatta rimodellare e ingrandire da Luca Pitti con la direzione di Filippo Brunelleschi (Vasari) autore per lo stesso banchiere del palazzo di città, (vedi https://www.perunaltracitta.org/2016/02/29/8889/ ) occupa il caposaldo est dell’arco collinare a sud della città antica affacciandosi sul fertile Piano di Ricorboli, che nei primi decenni del ‘900 accoglierà la prima periferia cittadina. Il nostro caposaldo ha un corrispondente a ovest della città nel colle su cui sorge Villa Strozzi con parco e relativi annessi, lungo l’antica via per Pisa, poco fuori dalla porta di S. Frediano. Entrambe sono di proprietà comunale, molto presenti e fondamentali nella vita del quartiere e occasionalmente della città.

Il crinale che unisce i due caposaldi è costellato di architetture e di luoghi di interesse pubblico collegati alla lunga storia civile e artistica della città. Dal convento di Monte Oliveto alle ville di Bellosguardo, al convento di S. Gaggio, al Poggio Imperiale, da cui si sale ad Arcetri e alla casa di Galileo, oggi museo scientifico dell’Università. C’è la villa della Gallina (accanto alla Torre del Gallo) dove si conserva un prezioso brano della “danza dei nudi” del Pollaiolo. Sul crinale percorso da via di Santa Margherita a Montìci, troviamo la Fondazione Spadolini, che poi scende fino alla congiunzione con via Fortini (l’antica Cassia nova) dove pochi metri dopo, un’elegante mezza esedra con cancello, trasforma la via in viale della villa Pitti, con il grande giardino e i poderi retrostanti la cui unità antica risulta purtroppo amputata dalla vendita recente della seconda delle due case rurali e di parte del terreno agricolo (una vendita dichiarata per consentire il restauro della villa, mai nemmeno cominciato).

La modellizzazione dello spazio elaborata nel primo Rinascimento introduce nella città del tardo medioevo il principio di continuum spaziale, da cui si deduce e si generano equivalenze fra i tipi insediativi urbani e territoriali. Tra il palazzo di città e la villa suburbana, tra il giardino del palazzo e il parco agricolo. La collina circostante diviene l’estensione, la proiezione di un nuovo ordine ricercato dalle nuove “fabbriche” nella città. La collina sud con la sua conformazione semicircolare sembra la propagazione della circolarità che lega le porte arnolfiane.

Villa Pitti è tra le prime a dare corpo al modello “albertiano” o rinascimentale e non è un caso se occupa uno dei quattro siti con S. Miniato, il Belvedere, Villa Strozzi e Monte Oliveto (Michelozzo, con un famoso “cenacolo,” anch’esso in vendita!) che incardinano con immediatezza visiva la città antica alla sua collina. E ancora, non è un caso che tutti e quattro traggano dalla più remota antichità l’attualità del loro significato, cioè siano invarianti strutturali e strutturanti del territorio e documenti attivi della partecipazione fiorentina alla storia umana.

Forse non possiamo pretendere che gli Amministratori e i loro consiglieri conoscano gli scritti di Leon Battista Alberti sul modello della villa rinascimentale o le note di viaggio di Michel de Montaigne sui dintorni di Firenze, ma si può supporre che abbiano una vaga reminiscienza scolastica di quell’inno alla città, di un Foscolo ospite della bella Eleonora a Bellosguardo, fatta di venti, di aria, di acque che scendono dai gioghi appeninici, “Di luce limpidissima i tuoi colli/ Per vendemmia festanti, e le convalli /Popolate di case e d’oliveti /Mille di fiori al ciel mandano incensi.” Ecco, sono proprio quelle convalli di cui Rusciano e villa Pitti sono un avamposto.

A Firenze una insolita villa dal nitido disegno manierista sormonta la Fortezza di Belvedere che “domina” la città antica. Per quanto possa apparirci familiare è del tutto diversa dalle altre. Ha due facciate principali uguali e opposte; le due logge -opposte- al pianterreno, sono collegate da un ampio portale senza porta, come un arco di trionfo. Aria e luce attraversano l’edificio che si vede da grande distanza. Una facciata guarda la città, l’altra guarda la campagna, due parti di una unità ideale, di cui l’architettura si fa lieve messaggera. Insieme alla chiesa di S. Miniato ma con differenti significati, queste due presenze intervengono a tutte le scale del paesaggio, vicino e lontano. Tutti possono visitare e sostare al Forte di Belvedere, perché è pubblico.

Nello stesso modo le ville Strozzi e Pitti fanno riferimento agli itinerari che conducevano alla città e quindi alle sue porte: rispettivamente di S.Frediano (via Pisana) e S. Niccolò (via di Ripoli) e alle campagne qui fertilissime, che da esse si allargavano nel contado. Come nella città murata, gli itinerari collinari si svolgono attraverso luoghi significati da edifici cospicui che raccontano e trasmettono ciò che, né gli scritti, né le immagini possono restituire compiutamente. E’ la storia depositata nel giardino e nel grande terrazzo aperto al sole del mattino di questa “nostra” dimora negletta e messa all’incanto, nei suoi interni dalle proporzioni luminose, ricchi di capitelli, di soffitti, di portali e caminetti ispirati all’arte di Luciano Laurana, di qualità rara, unici in questa città, testimonianza dell’arte del costruire, di una perfezione portata fino al dettaglio, sentita come desiderio e bisogno di riscatto dalla barbarie, dalla violenza, dall’ingiustizia, attraverso la cura dell’opera del suo essere partecipe di un’ esperienza universale.

Sanno gli Amministratori che la vendita con destinazione alberghiera, che hanno preparato consegnerà a pochi turisti, selezionati dalla ricchezza e dal caso, questo tesoro pubblico, togliendolo al godimento di una cittadinanza vasta, senza confini ? e se lo sanno, quale grado di fanatismo libero-affaristico li rende così nemici del Patrimonio della città, dei suoi abitanti, dei visitatori, degli studiosi, dei curiosi di cose rare, del buon vivere, della cultura della città pubblica?

Malgrado tutti i soldi ricevuti dal governo centrale con il patto del 2016, è davvero Firenze una città in liquidazione fallimentare? Sappiamo che non è così e che anzi molte spese comunali, come l’acquisto del fabbricato uffici della “Leopolda” (un’icona renziana del bel tempo che fu) per trasferirci la Direzione che sta a Rusciano, appaiono discutibilissime se non addirittura sospette agli occhi dei cittadini più attenti.

C’è una seconda ragione non meno importante della prima per non vendere la villa di Rusciano. Una ragione più strettamente urbanistica, che riguarda gli standards, la misura non solo numerica della qualità urbana che un assessore alla “smart city” (sig. Bettarini) non dovrebbe trascurare, smart vuol dire anche attraente.

Evidenziato in verde: a Nord Villa Fabbricotti, a Ovest Villa Strozzi, a Est Villa Pitti a Rusciano. In rosso i quartieri di riferimento.

Dalla metà dell’ Ottocento la città occidentale, sottoposta a rapidi ampliamenti, si è dotata di attrezzature pubbliche più o meno pianificate organicamente che sono andate a sostituire e ad ampliare i compiti sociali svolti dai conventi. Queste “nuove” attrezzature sono decisive per misurare qualità e difetti della città moderna e contemporanea. Spesso sono l’eredità più importante del XIX e della prima metà del XX secolo. Nell’addensarsi della città antica e nell’ occupazione della campagna da parte di estesi tessuti edificati, un ruolo decisivo viene assunto da viali e piazze alberate, dai grandi parchi naturalistici con i loro padiglioni per la nuova e più estesa partecipazione alla cultura scientifica, letteraria e in qualche misura politica della città borghese. Il Piano di ampliamento di Firenze del 1915/24 non prevedeva queste attrezzature. Esso aveva disegnato un meticoloso reticolo viario indifferente però alle funzioni, fino al piede delle colline e forse si affidava a queste, come risorse vegetali almeno da guardare e sfiorare dalle strette vie che le percorrono.

La successiva espansione del dopoguerra ha messo in evidenza le forti carenze urbanistiche cui il sindaco La Pira inizia a dare risposte, ma saranno le successive lotte dei comitati (Legnaia, Soffiano e alcuni altri), in seguito al drammatico evento dell’alluvione, a ottenere l’acquisto da parte del Comune di villa Strozzi, del parco e delle sue pertinenze. In anni successivi e per altre vie, diventeranno di proprietà pubblica la villa e il parco Fabbricotti (demanio Regionale) a nord, lambita dal quartiere dello Statuto; e villa Pitti a Rusciano a est, costeggiata da via di Ripoli e dal quartiere del Bandino, oggi esteso con parti ad alta densità fino al raccordo autostradale.

I tre parchi si trovano dislocati in posizione strategica per servire i tre quartieri da cui sono stati raggiunti e oltrepassati, dei quali sono ormai parte integrante. La regolarità geometrica che li lega tra loro – un triangolo isoscele che inscrive la città antica – sembra uscita da una precisa pianificazione, come in in una città nuova. Mirabile ma non troppo stupefacente se si ripercorrono le geometrie e la logica sottostante che hanno guidato tutte le trasformazioni del territorio della città antica. Gli edifici di cui sono dotati i tre parchi e i giardini, possono accogliere servizi capaci di creare luoghi centrali di scala cittadina, di conferire loro interessi culturali diversi e originali rispetto alle rifritture turistiche, di trasformare aree periferiche in una città capace di estendere nello spazio e nel contenuto il livello anche dell’offerta turistica, di allentare la morsa al “centro storico” e di immaginare un’ urbanità nuova per chi abita in aree di margine. Tutta questa potenzialità, ereditata senza alcun merito degli amministratori attuali, ma per la passione e l’impegno democratico di alcune generazioni di cittadini di una composita base sociale, può essere vanificata in un soffio dalla vendita delle due ville.

Le ultime Amministrazioni comunali hanno sviluppato in crescendo l’affarismo inaugurato dalla nefanda stagione dell’ urbanistica contrattata. Non si sono mai occupate seriamente di habitat e di periferia. Prima di loro si era pensato che fosse incapacità intellettuale di lavorare a una visione strategica della città, di collegare le parti con il tutto. Poi con l’avvicendarsi degli ultimi tre sindaci, è emersa con chiarezza la scelta politica di costoro di assumere un ruolo ancillare nei confronti del capitale finanziario e di affidare ai sacerdoti del Mercato le scelte urbanistiche e infrastrutturali. Lo dimostrano in modo lampante tutte le (grandi) opere pubbliche scellerate più o meno in corso, come le ultime due linee tramviarie e i progetti della loro estensione affidati a caro prezzo alle imprese che le gestiranno; evidentemente più interessate all’incasso dei biglietti che a un servizio generale da offrire alla città. Un conflitto di interesse che fa molto comodo ignorare.

Sembra che il Sindaco e il suo Direttore generale frequentino assiduamente gli amati “Road Shows“ internazionali in cerca di acquirenti dei pregiati edifici pubblici messi in vendita da loro stessi. Forse dovrebbero chiedersi se questa furiosa passione per gli affari non li abbia spinti troppo oltre il limite della decenza fino a oscurare la gravità di ciò che stanno per fare, ad esempio, con la vendita della villa di Rusciano (a valere anche per villa Fabbricotti).

Occorre annullare l’asta che minaccia il “possesso” di Rusciano (la distinzione tra villa da vendere e parco da tenere è fumo negli occhi) e deliberare una moratoria delle vendite per verificare se esiste davvero una sistemazione patrimoniale che abbia senso, o se invece siano tutti solo atti di obbedienza religiosa al “mercato” e dissipazione criminale di risorse pubbliche universali e irripetibili. Solo una grande mobilitazione sociale può toglierci dal precipizio.

*Roberto Budini Gattai