Giustizia cieca (e di classe)

Egidio Tiraborrelli aveva 82 anni e un tumore. Era povero, viveva di una piccola pensione e di un assegno assistenziale ad integrazione. Era, forse, ignorante: non aveva studiato molto, aveva fatto il saldatore ed era emigrato per molti anni in Argentina.

Nel 2012 aveva aiutato un migrante a passare la frontiera italiana, una singola persona, non un terrorista, non un ricercato, una persona che fuggiva dalla sua vita altrove. Non c’era stato
scambio di denaro, né di favori, ma era comunque un reato “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.

ACER

Non aveva precedenti, Egidio, non sapeva cosa fosse più giusto ed opportuno in situazioni come la sua. Nel 2017 era stato  condannato a tre anni e mezzo di carcere dal Tribunale di
Ancona, ma non lo sapeva. Dopo essere stato denunciato non aveva più avuto notizie dalla Giustizia : aveva cambiato residenza e non aveva pensato di avvertire il Tribunale.

Nove mesi fa lo arrestano, il suo è un reato ostativo, non prevede pene alternative al carcere. Egidio è malato, ha già subito diversi ricoveri, in carcere non potrebbe ricevere cure adeguate; c’è una sola bombola di ossigeno in tutto il carcere, i detenuti devono usarla a turno.

A maggio l’avvocato chiede i domiciliari , ma con la condanna gli è stato tolto anche l’assegno di assistenza, non può vivere da solo nelle sue condizioni, passano i mesi, Egidio viene ricoverato in ospedale, a settembre il giudice di sorveglianza decide che potrà avere i domiciliari dopo le dimissioni dall’ospedale, dopo pochi giorni Egidio muore.

Questi i fatti.

Ennesima storia che ci interroga sul baratro che separa legge e giustizia.

Storia di una legge infame, che non fa differenza tra la solidarietà e il traffico di esseri umani. Legge emanata dal duo Bossi Fini e mai cambiata dagli innumerevoli Ministri della Giustizia dei governi che si sono succeduti in questi anni. Governi di centro sinistra o governi  postideologici, del cambiamento.

Storia di classe, un pensionato povero, privo di strumenti e di conoscenze incappa in una brutta storia e la paga con la vita, passando gli ultimi mesi che gli restano in carcere privo delle cure adeguate per un paese civile, perché “la legge è uguale per tutti”, “l’ignoranza non è ammessa”.

Un paese che ha visto gran parte della propria classe dirigente piegare la legge in Parlamento e in tribunale per decenni, una classe dirigente prescritta per ogni tipo di reato. Un paese che non presta alcuna attenzione agli ultimi, ai più fragili, che da sempre ci mostra come i ricchi e potenti siano sempre impuniti.

Un paese incattivito e cattivo e non solo per colpa di Salvini.
Non pensiamo di esserci salvati, c’è una cultura da ricostruire fuori dal palazzo, per la strada, nei carceri, nei tribunali, nei giornali, che di questa storia non hanno parlato.
Un paese da ricostruire, giorno per giorno, storia dopo storia.