Per il nono anno consecutivo, nel 2019, la libertà in internet è diminuita. Lo dichiara Freedom on the Net nel suo rapporto annuale. Freedom on the Net è uno studio completo sulla libertà di Internet in 65 paesi in tutto il mondo, che copre l’87% degli utenti di Internet nel mondo. Tiene traccia dei miglioramenti e del declino delle condizioni di libertà di Internet ogni anno. I paesi inclusi nello studio sono stati selezionati per rappresentare diverse regioni geografiche e tipi di regime. Rapporti approfonditi su ciascun paese sono disponibili su freedomonthenet.org.
È il risultato di alcune tendenze. Se una volta i social media potevano essere strumenti sovra le parti nei quali poter raccogliere informazioni all’interno di una discussione civica, c’è stata negli ultimi anni una sterzata in favore dell’autoritarismo digitale. Regimi repressivi e agenti partigiani senza scrupoli hanno sfruttato gli spazi non regolamentati delle piattaforme dei social, usandoli come strumenti per la distorsione politica e per il controllo, esponendo i cittadini a una repressione senza precedenti delle loro libertà fondamentali. Una sorprendente varietà di governi sta implementando strumenti avanzati per identificare e monitorare gli utenti su una scala immensa.
Questo più o meno il senso con il quale il rapporto annuale esordisce. Ricordandoci della pervasività del sistema di raccolta dati che la rete rappresenta e della sua capacità non soltanto di spiare, ma anche di suggerire/manipolare i comportamenti, cosa che avviene o può avvenire anche nei paesi nei quali il rapporto annuale dice che la libertà di informazione è meno in pericolo, potremo dire che un certo allarme è come minimo dovuto. D’altronde in una relazione precedente la stessa organizzazione indipendente diceva:
“Le piattaforme digitali sono il nuovo campo di battaglia per la democrazia. Dare forma al flusso di informazioni su Internet è ormai una strategia essenziale per coloro che cercano di interrompere il trasferimento democratico del potere attraverso le elezioni. Gli attori politici storici in tutto il mondo usano metodi sia chiari che sfumati per scoraggiare i movimenti di opposizione, preservando allo stesso tempo un aspetto della legittimità popolare. Tali restrizioni alla libertà di Internet tendono ad aumentare prima e durante i voti cruciali”. Vedi qui la relazione completa.
I rappresentati di alcuni partiti politici hanno impiegato del personale per modellare segretamente opinioni online in 38 dei 65 paesi trattati in questo rapporto. In molti paesi l’ascesa del populismo e dell’estremismo di destra ha coinciso con lo scatenamento di post iperpartigiani sia da parte di utenti autentici sia da parte di account fraudolenti o automizzati, veicolando racconti falsi e infiammatori. C’è un lemma apposito che descrive la funzione di chi posta affermazioni per accendere la discussione: flame. Termine che si usa in più contesti ma che ha trovato in quello politico il luogo privilegiato per questo tipo di comportamento. In quello stesso contesto nel quale le fake news trovano la loro dimensione e il brodo di coltura più adatto alla loro diffusione.
Si è anche aperto il pericolo di influenze transfrontaliere venuto a galla in seguito allo scandalo delle interferenze russe nelle presidenziali degli Stati Uniti del 2016. Stati come la Cina, Iran, e Arabia Saudita si sarebbero adoperati per manipolare l’ambiente on line approfittando dell’incapacità degli stati cosiddetti democratici di aggiornare alla nuova situazione la trasparenza e le regole di finanziamento dei partiti politici e di applicarle efficacemente alla sfera digitale. Come aveva paventato Shoshana Zuboff nel libro Il capitalismo della sorveglianza, da noi qui recensito.
“Le tecnologie emergenti come la biometria avanzata, l’intelligenza artificiale e le reti mobili di quinta generazione […] presenteranno indubbiamente una nuova serie di sfide relative ai diritti umani. Sono necessarie forti protezioni per le libertà democratiche per garantire che Internet non diventi un cavallo di Troia per la tirannia e l’oppressione. Il futuro della privacy, della libera espressione e della governance democratica si basa sulle decisioni che prendiamo oggi”; questo sottolinea il rapporto, che riporta anche ad esempio quello che è successo in Sudan, dove le rivolte popolari hanno infine portato all’espulsione del presidente Omar al-Bashir, dove le autorità hanno bloccato varie volte le piattaforme social con una di queste interruzioni è durata un paio di mesi. Cosa simile è avvenuta in Kazakistan.
Dei 65 paesi valutati, 33 hanno registrato un calo complessivo da giugno 2018 – data del precedente rapporto – rispetto ai 16 che hanno registrato miglioramenti netti. Il maggior calo dei punteggi ha avuto luogo in Sudan e Kazakistan, seguiti da Brasile, Bangladesh e Zimbabwe.
Secondo Freedom on the net, la vittoria in Brasile di: “Brasile su tutto, Dio sopra tutti” che ha portato Jair Bolsonaro alla presidenza, è stata ottenuta tramite una strategia che prevedeva l’uso pesante dei Social Network attraverso i quali hanno diffuso voci omofobe, notizie fuorvianti e immagini non documentate.
In Bangladesh, per mantenere il controllo sulla popolazione e limitare la diffusione di informazioni sfavorevoli, il governo ha fatto ricorso al blocco di siti Web di notizie indipendenti, alla limitazione delle reti mobili e all’arresto di giornalisti e utenti ordinari. Cosa simile in Zinbabwe.
Di fronte alle proteste antigovernative diffuse a Hong Kong, gli amministratori hanno chiuso gli account individuali sulla piattaforma di social media WeChat estremamente popolare, in riferimento a qualsiasi tipo di comportamento “deviante”, compresi quelli che avevano postato commenti su catastrofi ambientali, e si parla della rimozione di decine di migliaia di account per contenuti presumibilmente “dannosi”.
Anche in paesi come l’Islanda, che vanta condizioni tra le migliori per una connettività quasi universale senza restrizione di qualunque tipo sui contenuti e forti protezioni per i diritti degli utenti, si la diffuso il fenomeno dell’estrazione dei dati, con una campagna di pishing di ampia portata.
Il commercio dei dati, così ben illustrato nel libro della Zuboff precedentemente citato, ha messo a disposizione – ha ridotto i costi di ingresso, dice il rapporto – non solo per i servizi di sicurezza delle dittature, ma anche per le forze dell’ordine nazionali e locali nelle democrazie, dove viene utilizzato con poca supervisione o responsabilità.
Ecco alcuni episodi citati nel rapporto:
- “Le autorità iraniane si sono vantate di un esercito di volontari di 42.000 persone che monitorano i discorsi online”
- “Il Partito Comunista al potere in Cina ha reclutato migliaia di persone per setacciare Internet e denunciare contenuti e account problematici alle autorità”
- “Nel dicembre 2018, è stato riferito che il Kazakistan aveva acquistato uno strumento di monitoraggio automatizzato da 4,3 milioni di dollari per tracciare i segni di malcontento politico sui social media”
- “La Russia ha utilizzato sofisticati strumenti di sorveglianza sui social media per molti anni. Nel 2012 il governo ha pubblicato tre gare d’appalto per lo sviluppo di metodi di ricerca relativi all'”intelligenza dei social network”
- “Negli Stati Uniti, le agenzie del Dipartimento per la sicurezza nazionale (DHS), compresi i servizi doganali e di protezione delle frontiere (CBP), i servizi per la cittadinanza e l’immigrazione e l’immigrazione e l’imposizione doganale (ICE), hanno utilizzato la tecnologia automatizzata per raccogliere e analizzare informazioni personali, con supervisione e trasparenza limitate. Affermando che il suo potere di condurre ricerche senza giustificazione si estende entro un raggio di 100 miglia da qualsiasi confine degli Stati Uniti, il DHS ha effettivamente affermato poteri di sorveglianza extragiudiziale di oltre 200 milioni di persone. CBP ha persino acquistato la tecnologia da Cellebrite, una società israeliana, per bypassare la crittografia e le password e consentire una rapida estrazione di dati da telefoni e computer, compresi i contenuti dei social media”.
- Ci sarà in Dubai una fiera sulle tecniche di intercettazione e monitoraggio dei comportamenti della popolazione alla quale parteciperanno come offerenti paesi come Cina, India, Israele, Italia, Stati Uniti e Regno Unito.
L’elemento che fa più preoccupare è che accurate o inesatte che siano, le conclusioni tratte su un individuo possono avere gravi ripercussioni, in particolare nei paesi in cui le opinioni politiche, le interazioni sociali, l’orientamento sessuale o la fede religiosa possono condurre a un esame più attento e una punizione assoluta.
La battaglia per la proprietà dei dati, con la dichiarazione degli stessi quali “bene comune” inappropriabile è ormai non più procrastinabile.
*Gilberto Pierazzuoli
Gilberto Pierazzuoli
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