#iorestoacasa. E chi la casa non ce l’ha?

Al tempo dell’epidemia di covid19, a Milano, viene denunciato un senzatetto: “Violato il decreto”, recitava uno dei titoli dei giornali un paio di giorni fa. Sembra uno scherzo, ma non lo è.
In Italia “stanno iniziando a fioccare i verbali redatti ai senzatetto per violazione dell’articolo 650 del Codice penale”, non avendo rispettato l’obbligo di restare in casa per contenere la diffusione del coronavirus. Però si tratta di persone che, per definizione, una casa non ce l’hanno. A rilanciare l’sos su questa particolare situazione è l’associazione Avvocato di strada.

Di fatto multe ai “senza casa”, per il fatto di non essere a casa, erano state già comminate precedentemente in varie parti d’Italia da Genova a Bologna. Era il frutto della follia del perseguimento della “sanità del decoro” che sfociava in una forma di accanimento terapeutico.

La percezione dell’assurdità dell’atto giudiziario veniva mitigata, stornata, attraverso la considerazione che il reo poteva andare a commettere il delitto altrove, non sotto casa nostra: il classico nascondere lo sporco sotto il tappeto. Adesso, il fatto che per affrontare l’emergenza epidemica, per evitare il contagio si debba limitare ogni contatto, adesso che è indispensabile chiudersi in casa, il fatto che qualcuno ne sia sprovvisto si coglie in tutta la sua manifesta ingiustizia.

Che l’epidemia, in un mondo classista, colpisca più i poveri che i ricchi è ormai evidente e la situazione per quanto riguarda i senzatetto lo è ancora di più. Chiusi i centri di accoglienza diurni, ridotte le offerte dei pasti da parte della Caritas, sempre a Milano l’Opera San Francesco è stata per esempio costretta a chiudere la mensa e ha optato per pranzo al sacco per gli indigenti che sono stati quindi costretti a mangiare per strada. La Croce Rossa di Milano dichiara: “Si sono spostati dal centro e stanno più in periferia. Facciamo anche più fatica del solito a rintracciarli e a spiegare loro che cosa sta succedendo. Ovviamente loro hanno una percezione molto strana della realtà, non si rendono conto dei pericoli e spesso non credono nemmeno a quello che diciamo. In più non c’è cibo, non ci sono aiuti per loro, non ci sono più punti di riferimento”.

Il fatto è che all’interno di una visione securitaria attraverso la quale lo Stato si circonda di apparati repressivi, pensare di usare esercito e polizia per aiutare i più deboli, i più esposti, non è nelle corde del sistema. Non fa proprio parte del modo di comportarsi di detti apparati, non rientra nella loro visione. Al tempo dell’epidemia a Firenze gli attivisti di Potere al Popolo insieme ad altri gruppi, spazi occupati, associazioni si sono organizzati per portare la spesa a casa alle persone anziane. E questo la dice lunga sul modo di affrontare la realtà da parte di chi per mestiere reprime e chi è spesso vittima di quella repressione. Sono due modi di percepire il mondo; due modi di sognare e desiderare mondi diversi.

Al tempo delle epidemie bisogna chiudersi in casa, perché fuori le epidemie si muovono liberamente, fuori c’è il pericolo del contagio. Allora, chiusi in casa bisogna pensare a chi la casa non ce l’ha. Distrutta dalla guerra, dai bombardamenti come in Siria con i siriani allontanati e spinti fuori, divenuti profughi e ostaggi usati per un ricatto di chi vuole stare a casa anche se quella casa è stata spesso costruita con le risorse e a scapito di qualcun altro.

La crisi sanitaria, economica e ambientale ci possono sbattere sotto i ponti. Ma anche no. L’architettura ostile – paranoica espressione della crudeltà intraspecifica prodotta dal sistema competitivo capitalistico – ha creato una galleria di oggetti architettonici degna di un museo degli orrori. Sotto i ponti appositi spuntoni impediscono di potersi sdraiare. Anche le panchine non possono essere usate per dormirci, ogni angolo appena più protetto è munito di dissuasori. E non siamo all’interno di un film su una civiltà distopica. Siamo qui, adesso, nelle smart city dei sindaci sceriffo. 


*laboratorio perUnaltracittà