Pubblichiamo l’intervista al dottor Roberto Monfredini, medico veterinario, membro di Medicina Democratica e socio ISDE.
Roberto, ci puoi parlare del mondo delle carni industrializzate?
Il mondo occidentale ha insegnato negli ultimi 100 anni ma soprattutto negli ultimi 40, a trasformare le proteine vegetali in animali per un mercato che per molti anni ha vissuto con crescite esponenziali applicando le tecnologie “dure” e soppiantando le “morbide” , cioè intensivizzazione esasperata in sostituzione di un allevamento rurale contadino. Logicamente le suinopoli, conigliopoli, bovinopoli etc hanno permesso una produzione esagerata con una offerta di proteine animali a prezzi calmierati, ma dall’altro lato sono emerse le problematiche relative alla sanità animale per l’elevato numero di capi presenti. Il caso più eclatante è certamente stato la mucca pazza, proteine animali ricavate da farine di carne di pecore decedute per Scrapie, patologia virale da lentivirus, e somministrate a bovini, notoriamente ERBIVORI. Il sistema di controllo sanitario Europeo gode di uno standard elevato di efficienza, e difficilmente può ripetersi da noi una situazione di salto di specie per come viene intesa ora con il caso Covid in Cina. La globalizzazione ha innescato meccanismi di scambio merci che spesso possono incidere sulla nostra salute, ma non possiamo correre l’errore di confondere un sistema sanitario che ha 200 anni di storia come quello europeo e le problematiche cinesi relative alla SARS 1, 2, alla MERS, alla MEV (coniglio), etc . La cultura alimentare e la formazione veterinaria di controllo sono una barriera nel nostro continente allo svilupparsi di patologie infettive pandemiche o endemiche. Il mio parere in merito, che resta personale, è quello universitario, cioè il salto di specie difficilmente avviene in quanto esiste la BARRIERA di SPECIE, agenti infettivi che difficilmente possono by passare la specie in cui si sono adattati. Altra cosa se usciamo dal contesto europeo e dalla nostra legislazione sanitaria ed entriamo in mondi che si affacciano prepotentemente nel mondo commerciale delle carni “globalizzato”, e che non hanno una “completa cultura sanitaria” associando un mondo produttivo rurale a quello intensivo e selvatico, in questo caso la promiscuità, la scarsa igiene, la mescolanza di varie specie animali, la mancanza di rispetto, la sofferenza animale, giocano un ruolo da detonatore, ma che vede sempre l’uomo come artefice del salto di specie, il vero CATALIZZATORE. Da ricordare che il mondo della industrializzazione delle proteine animali è legato a sistemi economici che devono offrire SISTEMI EFFICIENTI DI PROFITTO, e lo sfruttamento animale avviene all’insegna dell’utilizzo di migliaia di tonnellate/anno di antibiotici, fattori di crescita, ormoni, antiparassitari, vaccini.
–Si fa un gran parlare di vaccini contro il corona, che ne pensi?
Per la bronchite infettiva del pollo sostenuta da un coronavirus, siamo riusciti a creare un vaccino vivo attenuato che si somministra intraocularmente con una goccia il primo giorno di vita, mentre per la gastroenterite del maiale (TGE), sostenuta pure da un altro coronavirus non abbiamo vaccino, così come per la peritonite infettiva del gatto(FIP), che si manifesta in forma peritoneale e polmonare. Fra le caratteristiche peculiari del virus corona, c’è la variabilità del genoma, instabile e termolabile, che rende ardua la produzione di vaccini. Da qui il rebus di un vaccino per l’uomo. Ma la presenza di un mondo virale non deve spaventare in quanto l’equilibrio è condizionato da diversi fattori a cui si può porre rimedio con la cultura e la conoscenza, altra cosa invece molto più pericolosa del salto di specie è il PROFITTO, per cui l’uomo sacrifica un ecosistema naturale cresciuto in milioni di anni utilizzando le barriere di specie, in pochi secoli, forse uno soltanto, e per questo non esiste vaccino.
–Ci avviciniamo troppo agli animali, invadiamo il loro habitat. Circa il 70% delle malattie infettive emergenti e quasi tutte le pandemie recenti, hanno origine negli animali e la loro emergenza deriva da complesse interazioni tra animali selvatici e/o domestici e umani.
Il nostro periodo è stato definito ANTROPOCENE, e non a caso è l’essere umano è il fulcro catalizzatore nel bene e nel male di questo periodo storico, e solo leggendo in quest’ottica gli scenari ambientali possiamo comprendere cosa sta avvenendo sulla nostra piccola martoriata terra. La biodiversità, cardine dell’equilibrio tra le specie animali e vegetali, viene depredata quotidianamente per scopi commerciali, ma occorre anche leggere la stessa nel contesto dei cambiamenti climatici, provocati dall’uomo negli ultimi 70 anni, nei quali i rialzi termici giocano un ruolo determinante nello spostamento dall’equatore di forme viventi che avevano il loro habitat in altri continenti. La stessa cosa avviene anche per il micromondo delle forme batteriche, virali, protozoarie, che possono albergare e vivere risalendo continenti che prima erano negati per le condizioni climatiche proibitive. Fondamentale per capire il microcosmo dei virus e dei batteri è quello di avere un ampia visione degli stessi, e comprendere che esistono famiglie, nel caso dei virus, genere, sottogenere, virus, specie colpite di cui fa parte anche l’uomo insieme alla quaglia tacchino, pollo, capra, maiale, bovino, cane, gatto, suino, pecora, oca, anatra, cavallo etc., ma questo non significa che se prendiamo in braccio un’oca o una capra con un retrovirus possiamo prendere l’AIDS, tutto il mondo virale si muove con specificità e barriere di specie. Accadde molti anni fa (1982-3) che un articolo di giornale mettesse in relazione l’AIDS con la FIV (sindrome da immunodeficienza del gatto da lentivirus) e per anni le persone hanno nutrito il dubbio che il proprio gatto potesse trasmettere l’AIDS, ci sono voluti anni perché il tutto fosse cancellato.
Mantenere in equilibrio due sistemi, un ecosistema naturale con un ecosistema artificiale creato dall’uomo a scapito dello sfruttamento perpetuo delle risorse naturali è probabilmente impossibile, il perpetuarsi del continuo consumo di suolo e della deforestazione e desertificazione, per svariati motivi economici isterici, incide sull’equilibrio naturale in maniera irreversibile (vedi COP 21 di Parigi), e in questo contesto possiamo leggere anche gli eventi relativi al virus SARS COV 2, ma solo come un anello piccolo dei grandi problemi che abbiamo innescato, sempre con l’uomo come catalizzatore del processo.
–Quali sono le criticità attuali degli allevamenti intensivi italiani?
L’allevamento intensivo o senza terra ha visto il suo periodo di boom economico negli anni 70/80/90, e si è accettata una forma di crudeltà e sfruttamento animale, in quanto il tutto era finalizzato alla produzione di proteine animali a basso costo (quasi un dogma comunista). Negli anni gli allevatori, piccoli imprenditori agricoli, che hanno visto crescere il loro fatturato in misura esponenziale, quadruplicando gli allevamenti, sono stati assorbiti in gran parte dalla grande distribuzione, e si sono resi conto di essere diventati l’ultimo anello debole della filiera, inseriti loro malgrado in una filiera che vede spesso allevatore, macellatore, distributore, trasformatore e produttore di mangimi come unico proprietario. Continuare nella ricerca di avere bocche da sfamare in gabbie vetuste al fine di utilizzare il 70% dei costi produttivi, con l’alimentazione importando cerali da tutto il mondo, con sofferenze indicibili degli animali, ci obbliga a invertire la rotta immediatamente. Non possiamo certamente attendere che un Europa ci detti le linee guida delle misure delle gabbie, aumentando di 5 cm le stesse e parlando di miglior benessere animale. Gli animali hanno il diritto di vivere senza soffrire, gli allevamenti intensivi devo sparire per come sono stati pensati fino ad oggi.
– Dato l’impatto maggiore sul clima sull’inquinamento, sul consumo d’acqua della carne rispetto ai vegetali, un passaggio dalle proteine animali a quelle vegetali, nella dieta è ipotizzabile ed auspicabile nel medio periodo?
Accertato che il consumo di proteine animali non cesserà, è certamente possibile ridurlo enormemente con quanto detto e sostituirlo con proteine vegetali in gran parte, senza quindi incidere ecologicamente sulla natura con processi di trasformazione del vegetale in animale. L’isterismo produttivo che si nasconde dietro la produzione della carne è inimmaginabile per molte persone, ed ha risvolti sociali (caporalato) ora che toccano anche le istituzioni in primis ( welfare). L’utilizzo della dieta vegetale o a bassa quantità di proteine animali, è senza dubbio un primo passo verso un miglioramento della salute individuale, una riduzione delle patologie circolatorie e oncologiche, e soprattutto una minor sofferenza degli animali.
–Vorrei che tu ci parlassi delle possibile ripercussioni dell’alterato rapporto uomo-animali.
La prima cosa che salta all’occhio guardando dal finestrino di un treno in corsa, è l’assenza di animali nei prati, la netta separazione tra terra e animali, relegati questi ultimi in capannoni di cemento con ventilazione forzata, luce programmata (aumenta la deposizione) alimentazione automatizzata, fecondazione artificiale, etc, priva l’occhio dell’uomo di un mondo che ritengo fondamentale per lo sviluppo cognitivo. Il nostro ecosistema artificiale creato su un ecosistema naturale, privandoci della visione del mondo animale ci separa mentalmente dal contesto nel quale noi siamo inseriti (vedi linea genoma topo-coniglio-uomo). A mio avviso l’essere umano ha NECESSITA’ di comprendere di essere parte del mondo vivente VEDENDO il mondo vivente, e non è sufficiente la delega che è stata data al gatto e al cane di riportarci dentro un mondo animale. L’equilibrio dell’uomo respira e trae la linfa dal poter vedere bovine al pascolo, conigli, oche, anatre, maiali, ma anche caprioli, tassi, tartarughe, merli, rapaci, ghiandaie, etc, nella comprensione quotidiana dell’essere parte di un mondo da rispettare e conoscere. La netta separazione fatta nel nostro paese (diverso il caso di Svizzera, Germania, Francia etc) relegando gli animali al sistema produttivo finalizzato alla remunerazione economica, ha privato le attuali e future generazioni di un equilibrato rapporto tra le stesse e la natura, cardine per la comprensione oggettiva dell’equilibrio e della bellezza in cui potremmo essere inseriti.
–Quindi questo alterato rapporto essere umano-animali, potrebbe influire sulla salute mentale delle persone?
La creazione di questo UOMO ARTIFICIALE che NON CONOSCE perché NON HA VISTO e NON HA SENTITO e NON PARLA, rende lo stesso schiavo di una società isterica legata alla comunicazione degli oggetti fra loro (5G) in cui l’uomo è immerso nella completa solitudine. Fino a metà del secolo scorso nelle campagne il giorno della vigilia di Natale si ringraziavano gli animali con la paglia fresca nella stalla e la pulizia accurata della stessa, si offrivano al maiale cibi succulenti, si lasciava accesa la luce nelle stalle o vi si andava a giocare a carte strigliando le bovine, questo era il rispetto per la loro vita in segno di RINGRAZIAMENTO, tradizioni che venivano da lontano e che riportavano l’uomo nella sua dimensione originale, assorbite dai bambini di allora e trasmesse ormai sfuocate, dai nonni di adesso. La nostra salute mentale transita obbligatoriamente su questa strada, e non è più possibile delegare alla economia le scelte sulla nostra psiche, occorre aprire i capannoni zootecnici per aprire le nostre menti, liberare gli animali per liberare i nostri pensieri, solo in questo modo possiamo ritrovare quell’ “io” che abbiamo perso nella corsa frenetica al consumismo legato alle proteine animali.
La nostra solitudine tecnologica comunicativa delle persone e delle cose agisce irrimediabilmente come ISOLANTE fra il contesto UMANO e quello ANIMALE, rendendo vano tutto lo studio di embriologia comparata, anatomia comparata, infettivologia “comparata”, parassitologia “comparata”, etc, in cui l’uomo viene visto e letto al pari di un qualsiasi essere vivente negli ultimi 200 anni. La solitudine in cui si sta immergendo l’umanità, separandosi dal contesto NATURA, spaventa per la crudeltà dilagante, e non è certamente un virus (artificiale?) il responsabile di tutto questo, ma occorre ricercare il responsabile DENTRO IL CERVELLO DELL’UOMO.
-Che ne pensi della prospettiva One Health?
Ogni atto che cerca di andare nella direzione di migliorare il rapporto tra animali e umani migliorando la salute di entrambi è da apprezzare, ma attualmente un animale di allevamento SOFFRE SEMPRE, in quanto impossibilitato ad avere una vita degna di essere chiamata VITA, pertanto vanno bene le sigle ma poi a conti fatti occorre al bovino lasciare il pascolo per rientrare la sera, al maiale occorre lasciare la terra, agli animali da cortile occorre lasciare l’aia e il lago, al cavallo lo spazio per correre , al coniglio il prato e la tana, etc. Non mi posso dilungare nel formulare esempi, l’elenco esposto sembra banale ma la realtà in cui è immerso il sistema produttivo delle carni è molto più brutta di quello che ci si può immaginare, e non è più possibile fare come gli struzzi.
Possiamo ancora lasciare la coscienza in un cassetto relegando la sofferenza animale solo a quel breve spazio di vita dell’animale finalizzato alla produzione di proteine per il nostro benessere, o avverrà che il meccanismo si ritorcerà contro noi stessi in quanto la speculazione economica si innesterà anche contro lo stesso uomo, fornendogli non più proteine animali nobili, ma sottoprodotti (definiti prodotti) nella alimentazione commercializzata e pubblicizzata sul telefonino. La ragione logica della alimentazione proteica animale (bambino/a) svanisce al cospetto di mezzi di comunicazione e marketing che incentivano all’utilizzo di proteine animali a tutte le età e sotto ogni forma.
Ripensare a tutto questo, domattina e non fra 10 anni, è scelta obbligata, riconvertendo tutti gli allevamenti, aprendo le stalle, recintando i terreni, e logicamente sostenendo lo sforzo con un grande piano di riconversione agricola.
Gian Luca Garetti
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