Dove andiamo?

Molto è accaduto durante la “rottura” provocata dal virus.

Nelle settimane di confinamento ci siamo messi a servizio del tessuto delle pratiche di mutualismo dal basso nate in città e rivolte a coloro che rimanevano esclusi dalle misure emergenziali istituzionali. Questa parentesi e il risultato elettorale ci portano oggi a fare una riflessione e a chiederci in quale direzione andare, oltre a perseguire quella diffusione del pensiero critico che ci caratterizza e che oggi ci sembra non più sufficiente.

Guardiamo la realtà che sta intorno a noi. Una regione in cui ha vinto la paura suscitata ad arte da chi ha gonfiato un inesistente pericolo di vittoria elettorale di leghisti e fascisti, e con una stampa che ha polarizzato l’attenzione esclusivamente sui due maggiori competitori cancellando l’esistenza di qualunque altra voce autonoma. Un Paese in cui la vittoria del SÌ ha ridotto ulteriormente gli spazi di voci dissenzienti anche a livello nazionale. Un sistema elettorale, politico e mediatico che non solo chiude nei fatti ogni spazio di autonomia ma rischia di cancellare anche l’immaginario di ogni orizzonte alternativo.

Allora, dove guardare, dove ricercare, dove agire?

Qualcosa lo abbiamo già scritto nel nostro Manifesto per la riconquista popolare della città, uscito nei primi giorni della “riapertura”. In esso si delinea una riappropriazione urbana che procede per conflitti e progetti, provocati da soggetti collettivi e plurali; che avanza per pratiche sperimentali messe in atto da soggettività di movimento.

Attivare micropolitiche conflittuali, mettere al lavoro il desiderio, alimentare l’immaginazione, aprirsi alla creatività, valorizzare relazioni che vanno oltre la parcellizzazione sociale della famiglia basata sul nucleo eterosessuale a dominanza patriarcale. Per uscire dalla passioni tristi dell’austerità e contribuire a creare un immaginario altro, dissonante rispetto al sistema, potenzialmente destrutturante.

Ma cosa significa tutto questo nella pratica? Per prima cosa dare voce alle realtà resistenti dai centri sociali autogestiti alle esperienze di autorecupero abitativo, fino alle case del popolo rilanciate da giovani militanti e a esperienze fondamentali come Mondeggi e le molte altre con cui siamo in contatto, che hanno contribuito alla rivista e che contribuiranno.

Come laboratorio politico e come rivista desideriamo collettivizzare gli strumenti di critica e quelli di creazione di immaginario perché il lavoro fatto finora diventi di chiunque voglia praticarlo; sono tante le idee che stiamo provando a mettere in pratica a partire da una Scuola popolare di giornalismo. Tutto questo affinché anche la comunicazione e i suoi linguaggi non restino solo nelle mani di chi detiene il potere imponendo una visione unica di società e di futuro.

Non smetteremo di alzare i coperchi che nascondono scelte e decisioni che propagano ingiustizia sociale e ambientale, ma vorremmo sempre più far emergere quegli “imprevisti felici” di cui scrive Franco Berardi Bifo, quelle “pietre di inciampo” al sistema che ne determinano fratture, lacerazioni, con squarci e aperture su quello che, chissà, potrebbe persino diventare un modello complessivo alternativo al capitale.

*perUnaltracittà-laboratorio politico